fontana di don Tullio

Ascolto

Vorrei fare qualcosa ma non posso, e allora guardo, ascolto storie.

«Ciao mamma, non volevo disturbarti ma ho bisogno di te, sto impazzendo.»

Si tengono a distanza, sono sedute vicine ma separate da mascherine, dalla paura di contagiare l’altra, più forte del timore di prendere la variante; sta girando, non è più un incubo, si convive, è normale.

«Hai fatto bene a cercarmi. Mi piace sentire la tua voce. L’ultima volta sono stata troppo dura con te, sapevo di ferirti ma non potevo stare zitta!»

Nell’aria c’è l’afa estiva più opprimente del secolo. Nell’ombra, il sollievo sembra apparente. Il ventaglio ricamato non basta alla signora infastidita che con eleganza, sussurra sottovoce: «Su, su bambini andate a giocare lontano, Ernesto Maria dorme, lasciamolo riposare!»

Il caldo è opprimente eppure sudati, sfrenati, non smettono di correre mentre la loro palla rossa rotola veloce da un piede all’altro, nei viali e sulle aiuole in fiore della Villa.

«Così giovani e già tanto teppistelli ma che vuoi fare, sono serviti da badanti dalla nascita e così moriranno, soli, accuditi da straniere pagate quattro soldi!»

«E dai mamma, sei la solita. Rigida, acida, inflessibile e che cavolo… Non sei mai andata in pensione, sempre pronta con la bacchetta in mano a dare ordini, sgridare, assegnare compiti, a recitare giudizi, emettere sentenze» la giovane le si rivolta contro, infastidita, gesticola freneticamente puntando il dito a destra e a manca.

«Questo è giusto, quello è sbagliato, è bianco, è nero, mai un grigio, mai una via di mezzo, un compromesso!» Poi si placa, tira a sé il figlio, diventa tenera.

«Dai, Non ti preoccupare, stai tranquilla! Ernesto non si sveglia, dormirà profondamente almeno per un’altra ora. Anche di questo volevo parlarti. È normale secondo te? È vorace, frenetico, mi distrugge i capezzoli! Ogni volta doppia razione, prima un seno a sinistra, poi l’altro a destra. All’inizio la poppata è un piacere assoluto ti assicuro, ma sta diventando un dolore insopportabile. Il signorino quando finalmente è sazio, sprofonda in coma, guardalo! Un amore. Mi tortura ma mi fa morire di gioia.»

«Tu no, che fatica farti mangiare. Delicata con me, con il mondo poi, non ne parliamo: sei esagerata! Sei fatta così, non pretendi mai niente, sei il dubbio fatto persona. Ti piace ascoltare, ti distrai non ti imponi, subisci e non affronti mai il toro per le corna. Eh sì, mi hai fatto vedere le stelle, dolori e febbre, quella tremenda mastite poi mi fece passare la voglia di avere altri figli. Ecco perché sei l’unica erede!»

«E dai mamma! Poi dici che non ti voglio parlare. Ogni volta mi fai sentire in colpa, questa poi è assurda. Mi hai raccontato del travaglio, lungo e doloroso, ma mai dell’allattamento, deve essere stato uno shock, rifiutata dal proprio angioletto. Pagherei qualsiasi cosa per poterti vedere in quella scena. Poverina, la mia mammina tutta di un pezzo delusa e sconfitta sul campo. Dai non ci credo: non mi hai mai mollato un secondo, eri morbosa, asfissiante; tutti gli esami da privatista, roba che nemmeno nell’Ottocento, e che cazzo!»

«L’avevo rimosso. No, non hai colpe. Non hai preso niente da me, tanto è vero che non ti sei mai ribellata. È la natura. Rifiutavi il mio latte malato e avevi ragione, quello artificiale del resto, non era un granché. Più mi sentivo inadatta e più mi attaccavo a te. Sì, è vero, sei stata la mia unica ragione di vita. Sì, anni sabbatici come stai facendo tu con Ernesto Maria, la storia si ripete solo che a te è toccato un maschio!»

«E quindi? Cosa vuoi dire?»

«Tu delicata, lui vorace! È la natura!» con piglio marziale, impettita, si volta verso i giardini fissando la fontana del Settecento di don Tullio. Il passato. Si assenta dalla figlia che la richiama all’attenzione più volte. Sembra svanita in un vuoto senza suoni, immobile, imprigionata da ricordi violenti.

la fontana di don Tullio

«Mamma che ti prende», la giovane trentenne la strattona con forza e nell’impeto le saltano gli occhiali sul selciato polveroso. È un cambio di scena improvviso, sta arrivando un pallone con dietro due scalmanati. Il passeggino viene allontanato dalla mano della giovane donna che, lasciata la presa, si lancia per terra a raccogliere la montatura metallica delle lenti che luccicando al sole sono minacciate dai furiosi calciatori in fasce. Colpito dalla palla, Ernesto Maria emette un fragoroso vagito, alza di scatto la piccola schiena per un attimo dando prova di nascenti ma già poderosi addominali, poi si gira dall’altro lato, si accoccola e pacioccone riprende a sognare. La nonna è più veloce, posato l’antico ventaglio sulla panchina, si alza con prontezza, anticipa la figlia intenta a togliersi dalla faccia l’enorme massa di capelli neri corvino che le arrivano fino al petto. È un attimo: una splendida esibizione atletica da sorella maggiore più che anziana signora dai capelli neve con luminosi sprazzi lilla sulla testa. Chinandosi raccoglie gli occhialini alla Lennon della figlia e voltandosi verso i torelli minacciosi, li arresta con un gesto quasi divino: con il semplice palmo della mano respinge l’assalto. Poi dici che le madri sono assenti e non servono a niente.

«Grazie mamma, giochi sempre a tennis?»

«Sempre! Hai sentito di Roger? Mannaggia, che palle, senza di lui Wimbledon è proprio una noia.»

«No mamma, lo sai che odio il tennis, è traumatico, è competitivo, e poi non vedo la pallina, è piccola, troppo veloce. Nuoto e solo nuoto! Al mare e in piscina ogni volta che posso. Come ben sai anche il parto in acqua è stato un’ottima scelta: abbastanza rilassante per me e per Ernesto. Ma per te una ennesima assenza. Anche nello sport ti ho delusa, vero? O tennis o ippica, questo volevi per me? Ricordo bene?»

«Ma che dici, sono fiera di te, sei il mio orgoglio. Professore ordinario a trent’anni, questo volevo per te e ci sei riuscita alla grande. Al circolo faccio schiattare tutte le mie amiche, parlo sempre del mio mito, mia figlia, scienziata internazionale, una luce per l’umanità: forte, onesta, indipendente e con le palle altro che quei loro maschietti, mammolette, mammoni debosciati», mentre ride con gusto si avvicina stretta stretta al suo tesoro accademico.

«Dai Laura, bando alle stronzate, che mi devi raccontare?»

Il richiamo alla realtà della madre sembra aver rotto l’incantesimo; non le vedevo così vicine e allegre da tanti anni, erano mesi che non venivano a trovarmi, le ultime volte avevano litigato urlandosi frasi sconce, offese gratuite senza senso, poi sono sparite. Mi mancavano: ci voleva un’estate speciale per riaccendere bisogni frenati dal rancore. Fatti nuovi scatenano azione: “cosa le sarà successo?” mi chiedo curioso.

Le due donne si guardano negli occhi, è calato un silenzio impacciato, nervoso, mentre il bimbo dorme beato.

«Mamma, sto impazzendo! Ti ho chiamato anche se so che non vorrai aiutarmi.»

«L’ho pensato subito, il problema è lui?» la sua voce altera si fa fredda mentre staccandosi, si risiede più in là, sulla panchina di ferro grezzo, verniciata di verde bosco, rovente dove batte il sole.

Vorrei fare qualcosa ma non posso. Lì in fondo, nemmeno i miei colleghi sempre verdi possono qualcosa. Fermi, sempre vestiti dagli stessi colori, sembrano insensibili all’andare del tempo, saccenti e laterali sono condannati a non subire mutazioni, incuranti e rigogliosi sono immobili nella loro immortale certezza, e mi fanno molta pena. Mi guardano invidiosi delle mie amiche fedeli che tornano a trovarmi in ogni stagione. Le ho viste crescere, cambiare, farsi donne da bambine, invecchiare per sparire e rinascere fanciulle. Ad una ad una passano le storie umane, nel freddo sbocciano da gemme luminose, dal gelo esplodono nel tepore del risveglio ogni giorno, finiscono come le foglie in autunno per rifiorire bellissime in nuove primavere. Nudo spogliato in inverno, queste donne mi trovano pronto a soffrire insieme a loro dopo le luci e le risate nelle feste, quando i botti colorati e le bottiglie vuote diventano spazzatura. Io dono loro sicurezza e pace, ecco perché si confessano, litigano e si alleano ai miei piedi. Trovano nella natura la forza di reagire, sanno sanare ferite aperte, sangue mai cancellato. Sanno creare nuova vita. Trarre forza dal dolore. Ribellarsi alla violenza e donare ancora amore. Donne.

Vorrei fare qualcosa ma non posso, ascolto storie. La mia ombra è folta in estate ma non serve: quando una donna desidera bruciare viva al sole, non vuole ristoro né nascondersi, non si stanca, non si doma, è pronta alla guerra, senza prigionieri.

Questo io faccio, è il mio destino, oggi ascolto la bella nonna con schizzi lilla sulla testa, domani, sentirò Ernesto Maria crescere, fare il monello, litigare con gli amici e di stagione in stagione, incidere la mia corteccia con i suoi amori, sempre ché non m’abbandoni anche lui; di troppe storie, di troppi bimbi non ho più notizie.

In questa Villa sarà ancora Natale, con luci di un giardino incantato dall’apparenza.

Vorrei fare qualcosa ma non tocca a me.

questo racconto è parte dell’ebook

I racconti dell’Avvento 2021 di AA.VV.

scaricabile gratuitamente a questo link: https://www.librierecensioni.com/libro/i-racconti-dell-avvento-2021-aavv.html