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La Venere di Diego

Copertina libro De Silva

Copertina libro De Silva

un commento a “I valori che contano (avrei preferito non scoprirli) di Diego De Silva, Einaudi, 2020

Questa volta prima di scrivere questo commento, ho letto diverse recensioni, ormai più di un anno è passato dall’uscita dell’ultima puntata delle avventure dell’avvocato Malinconico che finalmente vedremo in una fiction RAI in TV, era ora, aggiungo.

Scevra da recensioni e analisi, la lettura di questo libro è stata più interessante del solito e lo posso dire, ragionando con il senno di poi: a non sapere prima cosa c’è dentro rende ogni pagina più godibile e sorprendente a chi, come me, già conosceva l’avvocato – di gemito, più che di grido.

Documentarsi è sempre molto più che istruttivo, addirittura illuminante quando scopri quanta eleganza viene investita nella promozione: la lettera di presentazione che si vede in questa recensione linkata, è una chicca d’autore che gli addetti ai lavori hanno avuto modo di apprezzare come extra. Malinconico buca lo schermo e squarcia la vita reale.

Allora, tornando a noi, e non tanto per dare un contributo minimamente originale (cioè quel pizzico di sale che serve a dare sapidità), ma per trasmettere la mia ennesima meraviglia trovata nella lettura di un bel libro, posso affermare di aver scoperto un personaggio eccezionale: la Venere di Diego è straordinaria, tanto che… no questo non lo posso scrivere, non è elegante! e su Venere, ci torno dopo.

Sebbene, intimamente, sia un semplice ma preziosissimo coglione a scatenare l’inferno e il paradiso delle emozioni, oltre I VALORI CHE CONTANO che danno complessità e immortalità alla narrativa di De Silva, la forza del protagonista Malinconico si amplifica sullo spessore dei personaggi che gli riempiono la vita. Tralasciando quelli delle puntate precedenti (lo so, anche questo non è elegante!) e prima di affronatre la visione della Venere di Diego, dico che Benny Lacalamita può essere un Peppino di Totò e forse anche di più. Non confondo gli attori con i personaggi, provo a riferirmi alla forza dei personaggi impressa da interpretazioni irripetibili.

Forse esagero, forse sono colpevolmente irriverente verso indiscutibili mostri sacri, forse no! la trasposizione o meglio la respirazione di quanto succede nella società italiana a me è arrivata diretta anche se Benny a tratti è più vicino ai personaggi interpretati dal grande Aldo Fabrizi insieme a Totò, non spalle ma giganti. Ecco perchè l’attesa della fiction di Malinconico è per me densa di aspettative. Le pagine, così come io le ho lette, richiedono personaggi veri prima che interpretazioni di personaggi immaginati. Vedremo!

Da qualche mese, ogni volta che da sud entro a Salerno anche la tangenziale mi ricorda Benny

– Cristo, Benny, qualche volta sforzati di non prendere tutto alla lettera. Le parole non sono istruzioni per l’uso, sono anche allusive, imprecise, improprie. Mi rendo conto che per te non è facile arrivarci, ma sono le parole improprie che cambiano la vita delle persone.

«I titoli di coda della vita in comune» è la frase di Malinconico che riempie la prima parte non solo come artificio letterario, come il ferro dentro i pilastri di una costruzione narrativa, è una frase dura e permeabile come il legno di una croce su cui vanno a morire tutte le storie, è il lievito che permette a De Silva di far crescere nel lettore la consapevolezza di quanto possenti possono essere le parole; usate come un’arma, impropria appunto, sono capaci di mettere fine e dare nuovo inizio ai capitoli della vita di un essere umano. Suo malgrado Malinconico è un vincente che bastona colleghi, giudici e clienti, ma di più se stesso e continuamente lo fa con ragionamenti veloci e potenti come fa una mazza di baseball prima di un fuori campo.

I capitoli come Eyes Wide Shut de noialtri e Sommarie informazioni, scorrono veloci e ci portano alla Venere di Diego che è il ’68 portato nel XXI secolo, la ribellione e la saggezza dei giovani che sbaragliano il vecchio e stantio status-quo: ecco perchè questo personaggio mi ha fatto impazzire. Citando alcune frasi provo a rendere omaggio al racconto, oggi, di un astro umano dirompente come Venere.

C’è di male che non sono una bambina, nel caso non te ne fossi accorto. E se non arrivi a capire che prevaricando tua figlia in questo modo l’autorizzi a disprezzarti, vuol dire che hai il quoziente intellettivo di un cavallo a dondolo.

… poi …

La scusi, avvocato; anzi ci scusi. io e Venere siamo facili al battibecco, come può vedere, – interviene Dasporto in sua difesa; e lei lo guarda con un guizzo di riconoscenza che subito reprime. – È che vogliamo sempre l’ultima parola. Siamo molto simili, alla fine, – aggiunge.

Questo è vero. Ci prostituiamo entrambi, – fa lei.

… poi …

Ma tu vedi che figura di merda, – sbotta la figlia. – Sei davvero un cafone oltre che uno stronzo, papà. Può anche fare lo spiritoso, avvocato, – mi risponde il padre bypassando gli insulti filiali. – Ma il fatto che non sia laureato non vuol dire che sia ignorante in materia. Non foss’altro perché potrei essermi consultato con professionisti ben più quotati.

Mi alzo.Benissmo. Allora porti sua figlia dai suoi ben più quotati legali e non m’infastidisca oltre. La porta è lì.

Io non vado da nessuna parte, – sancisce Venere. – Se ne va lui, piuttosto.

«Ben detto», penso. Ma ce n’è anche per me, subito dopo.

E anche tu Vincenzo, «Porti sua figlia dai suoi ben più quotati legali»: ma mi hai preso per una minorenne telecomandata?

Ovviamente, solo leggendo tutte le pagine, dalla prima all’ultima, si può godere della grandezza di questo personaggio con cui nessun genitore avrebbe voglia di misurarsi, ma che invece ha dentro di se tutti gli aspetti più veri e nascosti di qualsisi adolescente. Il caso Venere è il cardine su cui gira tutto il romanzo, il personaggio rende tutto coinvolgente fino alla risoluzione, le sue relazioni con Malinconico ovviamente mettono a nudo e illuminano, se pure ce ne fosse stato bisogno, le relazioni e sentimenti più intimi del protagonista, ecco Venere non è una stella che cade o una cometa che passa, è la luce che ci aiuta a mettere a fuoco I VALORI CHE CONTANO.

Venere mi rivolge un sorriso sornione, poi solleva i pollici e li rivolta contro. – E la puttana sarei io, – dice.

Così la misura con se stessi, attivata con la vita fuori degli altri, diventa invito generale a tutti i lettori di approfondire e toccare con mano le proprie relazioni, quelle con i propri figli per arrivare a nuove conquiste non scontate:

Più in generale, credo che la pratica di parlare di qualsiasi cosa con i figli sia un modo di portarli in detrazione, di scaricare (su di loro) le spese dei problemi che padri e madri non sanno risolvere da sé. Se vogliamo dei figli liberi, penso, dobbiamo liberali da noi.

L’ordine delle priorità cambia con l’ingresso di avvenimenti non previsti eppure sono vissuti dal protagonista all’interno di uno spazio sconosciuto con naturale approssimazione in un percorso che ogni lettore conosce per esperienze dirette:

Perchè per vivere di più bisogna fare soste brevi, e ripartire subito.

L’empatia con il protagonista, per quanto a tratti anche antipatico e presuntuoso, raggiunge vette di ordinaria umanità nelle relazioni non programmate ma non per questo meno struggenti:

Succede, quando ci si conosce così. La commozione di un compagno di stanza che ti saluta quando lasci l’ospedale ha dentro lo sforzo di dirti, senza usare le parole, che non devi sentirti in colpa se tu vai e lui resta.

Tutte le recensioni che ho letto sono concordi, questa è l’opera della maturità del personaggio e del suo autore, gli effetti spettacolari sono un contorno, ne aumentano il valore finale per la capacità globale di rendere dolcissima e unica, anche l’eterna sfida di leggere dell’amore:

Mi guarda. È così triste. Così indifesa. Sarò patetico, ma mi sento felice, in questo momento. Quando l’amore si semplifica, quando diventa debolezza e timore, di più: paura di non rivedersi, smarrimento, raggiunge quello stato di purezza in cui non c’è più nulla che lo nutre. Non il sesso, non il bisogno (comunque lo s’intenda), non l’abitudine (che pure conta, altro che chiacchiere), non il tempo passato insieme e nemmeno i figli, se ce ne sono: no, l’amore in quei momenti è il bene dell’altro che vuoi e senti in pericolo. Quello, e quello solo.

«Che cos’è la luna?», mi chiede Alagia una mattina che l’accompagno all’asilo. Passa qualche lungo secondo, prima che le risponda. «Una lampada che la notte si accende senza schiacciare l’interruttore», dico. E lei, chissà perché, mi stringe forte la mano. Dovessi indicare il momento in cui mi sono sentito suo padre per la prima volta, direi quello.

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