COME DUE SOGNI

romanzo di Ivano Ciminari, Robin Edizioni 2023

Sono stupefatto dal coraggio e dalla presunzione di questo assassino di parole come lui stesso si definisce, membro di una setta artistica che magnificherei con questo slogan: “verso l’infinito e oltre…

La presunzione di Ivano è meritata, per quello che può valere un mio giudizio. Se lui si definisce ignorante, figuriamoci come possa sentirmi io nel leggere la sua opera scritta. Io nemmeno apprendista, né garzone di bottega e neanche vagabondo.

Immaginarsi condotto da Dante in un sogno, come Virgilio conduce il “sommo” nella Divina Commedia è anche oltre ogni idea di presunzione retorica, oltre ogni ricerca semantica capace di eviscerare l’intrigato transfert che attanaglia il me lettore al suo dominio di scrittura, dove poesia e narrativa si fondono come cielo e mare in una limpida giornata d’estate.

Spinto e spronato da un gigante come l’Alighiero, il cammino delle domande poste a Socrate, Omero, Celestino V, addirittura a Cleopatra e all’infinito Pulcinella, sono le briciole di Pollicino che preda degli uccelli, una volta svanite, mi lasciano l’amaro in bocca dello smarrimento. Tanta, troppa luce. Di tale grandezza, di domande e risposte, vorrei scolpita la dura pietra della mia povera mente. C’è solo una cura, ovvia e scontata, leggere, rileggere e studiare, godendo della conquista, assaporando le sfumature celate nell’ombra che gigante cresce ad ogni nuova conoscenza.

Nel sogno, il coraggio e la padronanza delle sue armi più affilate, rendono Ciminari capace di dare voce a Dante con frasi nuove nell’antico dolce stil novo. È uno stile rivoluzionario oggi come lo era allora. Senza dubbio ci vuole coraggio a rinnovarne la proposta. Purtroppo la massa malata di rozzezza che ci circonda, quella del tik tok contemporaneo, credo sia troppo impermeabile ed ottusa, troppo indifferente a tanta magnifica complessità. Quindi onore e merito allo scrittore che oltre al tributo mette in scena la vitalità dell’immortale sapere.

Poi lui si sveglia dall’incredibile sogno.

L’uomo materiale di oggi si sveglia e trova intatto l’Inferno sul comodino della sua esistenza moderna, con lacrime secche negli occhi ad incollare palpebre e pupille ingorde che leggono fatti di cronaca sempre verdi, storie drammatiche ed eterne. Perché galeotto fu quel libro per Paolo e Francesca in cui si narrava l’amore di Lancillotto per Ginevra, perché resta ineluttabile che l’amore di pochi continua a muovere l’invidia e la violenza dei tanti accecati dalla possessione e dalla gelosia dell’oggetto perduto. Peccatori gli amanti, peccatori gli assassini.

Ecco cosa sono queste 148 pagine: uno schiaffo di cultura in faccia all’ottusità di rimuovere i classici nella formazione fluida di oggi che di antico ha solo l’esaltazione barbara della vanità. Ecco il coraggio ciminareo di dimostrarsi presuntuoso quel tanto da lottare con veemenza, con le parole, sulle spalle di un gigante come Dante, contro il vuoto spinto che ci succhia via ogni umanità.

L’epilogo del primo sogno è solo la preparazione al secondo che corre via come una brezza di fresco ristoro. Una bella storia d’amore, pura come l’essenza della conoscenza più pulita e somma.

Il primo sogno ha l’ardore della complessità, lo sforzo sovrumano della sfida a vette distinguibili solo da studiosi dotati di attrezzatura accademica. Il secondo sogno è la piacevole ricompensa, la carezza che ci meritiamo dopo ogni sofferenza.

Ecco quindi l’amore di Valeria e Nicola, due personaggi che lo scrittore crea e attualizza, diversi e attrattivi come Yin e Yang, un tutt’uno indissolubile come Eva e Adamo come appunto Paolo e Francesca. Il secondo sogno è una discesa, piacevole come ogni ritorno nella propria dimora familiare, ancora più amata quanto più duro e tremendo è stato il distacco. Ogni viaggio è come un sogno, un continuo sforzo di equilibrio tra l’incubo della privazione di certezze e il desiderio trascendente di conoscenza.

I protagonisti di Ciminari sono materialmente ancora innocenti ed inconsapevoli d’essere oggetto del potere alchemico del destino. Ancora troppo giovani e già troppo maturi per la loro età nascono e si uniscono in un concerto di musica e poesia come solo la sensibilità di ognuno sa veramente apprezzare. In Valeria e Nicola sfido chiunque a non vederci l’eterno passato, l’eterno presente e l’eterno futuro della storia dell’umanità.

Ivano lascia al lettore il finale, affascinante finale, dando sostanza a quell’operazione di transfert che ho citato prima, a quella relazione intima che vorrebbe ogni lettore legarsi allo scrittore che diventa motore di altri mondi fantastici prima sconosciuti.

Verso l’infinito e oltre, già come gridano i giocattoli per darsi completamente al bambino che ci sopravviverà per sempre, immutabile nei nostri cuori fino all’ultimo battito.

IL TEMPO DELL’ODIO

Romanzo di Antonio Lanzetta

L’incipit è un brivido, l’ho già detto per un altro grande romanzo però questa volta non è ipnosi ma emozione viscerale. Alla scrittura di Antonio Lanzetta non ci si abitua anzi, ogni volta si resta folgorati. Sono un lettore modesto, per nulla esigente, eppure ci sono letture che mi passano addosso come ottimo intrattenimento, altre come le opere di Lanzetta che lasciano un segno feroce come ferite che stentano a rimarginare. Questa storia di Michele e di Teschio non mi ha fatto sconti, è adesso l’ennesima e sublime cicatrice che mi porto dentro. Per farmi capire meglio, è come quella cicatrice che mi porto nel cuore da quando, adolescente, lessi SE QUESTO È UN UOMO di Primo Levi. La grandezza della letteratura non si misura un tot al chilo ma, credo, in quante generazioni di lettori lascia il segno, cicatrici che si riproducono grazie alla sua eternità, infinita magia tra le arti umane.

Ecco, cosa significa uccidere con il cuore: è colpire e lasciare un segno indelebile nell’anima del lettore. Non a caso, prima dell’inizio del romanzo, il tributo a King è l’epilogo di tutta la storia di Michele e di Teschio, è la missione compiuta con successo da Lanzetta: riprodurre la potenza immanente del bene che fa giustizia.

Oltre la storia avvincente che scorre fluida e accelera con ripetute scosse crescenti di pura adrenalina, è la bellezza e la crudezza delle scene che rendono reale la fantasia più drammatica, materiale le visioni più inquietanti. Riporto solo due passaggi come esempio, ma tutto il romanzo è così, orribilmente e meravigliosamente bello.

“Seguii gli schizzi di sangue con lo sguardo fino a quel baratro. Le tracce si perdevano nel nulla, nel silenzio della morte e in occhi vuoti puntati verso il cielo. La ragazza giaceva scomposta sulle pietre come una bambola spezzata, il cranio sfondato e i capelli che galleggiavano simili ad alghe in una pozzanghera di sangue accumulatasi dietro la nuca. Rimasi a fissarla mentre il tempo mi scivolava addosso, simile a gocce di sudore. Una parte di me mi diceva di andare via da quel posto, ma quando distolsi lo sguardo mi parve di vedere mio padre fermo sull’altro lato del dirupo.”

“Sollevai il capo e all’improvviso mi resi conto di non essere in casa, ma in un campo. Il vento spirava tra i cespugli, sollevando una strana polvere viola. Spore che mi vorticavano intorno mentre il cielo era animato da deflagrazioni di luce indaco, simili a fratture nella notte. Le stelle si stavano disintegrando, scontrandosi tra di loro e disegnando nel vuoto creature informi e facce urlanti.”

Non la faccio lunga anche perché, se sono un lettore modesto figuriamoci la difficoltà che ho nel tramutare in parole i miei pensieri. L’ultimo commento è come una volta ancora Antonio Lanzetta fa insegnamento della sua passione con le sue opere, istruzione a chi come me sente urgenza affamata di grande letteratura, e adesso devo leggere anche qualcosa di Jim Thompson per lenire “il crepitio di vetri nello stomaco”.

“Ancora oggi, seduto nella poltrona sformata del salotto di casa, cullo mia figlia nel silenzio della notte, con un libro di Jim Thompson sulle ginocchia e una tazza di tè tiepido sul tavolino. Guardo la pioggia graffiare i vetri della finestra e provo a convincermi che le cose che ho visto quella notte nei boschi intorno alla casa della vedova siano accadute realmente. Avevo subito un forte trauma, mi sono ripetuto. In fondo, ero solo un ragazzo a cui avevano impiccato la madre. Un ragazzo che voleva riabbracciare il padre.”

IL TAGLIO FREDDO DELLA LUNA

Romanzo di Piera Carlomagno, 2022 Solferino Libri

L’incipit è un brivido. Uomo o donna? Mi sono chiesto. Il prologo è una lettera, un vortice di sentimenti che trascina senza scampo verso una spumeggiante cascata di domande. Giù verso le rapide turbolente di un fiume agitato da scene avvolgenti: avvinghiata la mente, questa scrittura ipnotica mi ha sbalzato fuori dai gorghi frenetici della vita quotidiana, per avvincermi dentro un flusso impetuoso di fatti e personaggi che alla fine mostrano come all’origine di ogni decadenza umana ci sia il male e la menzogna. Ciò che più mi ha colpito è come, con sferzante eleganza, le vicende narrate dei singoli personaggi, diventino un insieme rappresentativo di un’intera società. Se per i fanciulli la purezza briosa della gioventù muore con la fine dell’innocenza, la purezza dell’impeto costitutivo della repubblica, muore con la fine dell’onestà. Segreti, ricatti e compromessi intrecciano singole esistenze e la pluralità di un’intera organizzazione sociale: la decadenza è un processo che divora da dentro, e il conto si paga solo alla fine con la morte che svela colpe e tormenti nascosti per una vita intera.

“Piangi. Io sono il tuo castigo.”

Dopo aver scoperto con UNA FAVOLOSA ESTATE DI MORTE e NERO LUCANO, un intricato e appassionante personaggio come Viola, l’affascinante anatomopatologa di Piera Carlomagno, l’attesa di un’altra sua avvincente storia mi era così insopportabile da rivoltare sotto sopra tutte le priorità di quella giornata. Ricordo come fosse ieri: trenta settembre 2022, nel primo giorno dell’uscita nelle librerie italiane, la prima presentazione alla Feltrinelli di Salerno, e il fondamentale Angelo Cennamo dire: «Il taglio freddo della luna è il romanzo borghese del XXI secolo.»

Secondo una mia sensazione strettamente personale, questa avvincente cronaca romanzata dei giorni che vanno da giovedì 26 agosto con la luna calante visibile all’87%, a martedì 7 settembre del 2021 con luna nuova che inizia a crescere, è la dimostrazione di come una produzione letteraria di fantasia possa diventare un potente strumento di denuncia e critica storica di un’intera società, quella italiana, o meglio di una sua “classe”, la borghesia, che meriterebbe la condanna della memoria.

«… noi siamo rifiuti tossici da seppellire per sempre, siamo buoni per la Fossa Irreversibile, siamo la terra del non ritorno. Noi… meritiamo la damnatio memoriae»

Sicuramente esagero, come è esagerata ogni generalizzazione di categorie che più le analizzi e più si frantumano in eccezioni. Ma d’altronde alla fine della lettura e rilettura di questo romanzo, il libro tra le mani scotta come una bomba inesplosa e per troppi anni sotterrata. Questa la mia sensazione dopo la lettura dei due articoli che seguono e che mostrano come la Fossa Irreversibile sia vera e non fantasia; è spaventosamente reale a Rotondella di Matera, in terra lucana, in Italia.

Nel 2019 avviene una sorta di riesumazione di un cadavere vivente, pericoloso sì ma che il genio umano intende riciclare. Poi uno si meraviglia che la realtà possa superare ogni assurda fantasia. Urca che tema di estrema attualità, il nucleare, in queste ore che gli idioti sapiens fanno la guerra lungo il fiume Dnepr, intorno ai sei reattori atomici della centrale di Zaporižžja.

Nucleare, così a Matera viene alla luce il mistero del Monolito di scorie Usa – SOLE24ORE – 21 dicembre 2019 – di Jacopo Giliberto

Via le scorie nucleari dal terreno: in Basilicata rimosso il monolite della “fossa irreversibile”IL MESSAGGERO –  18 Dicembre 2019 – di Giampiero Valenza

“Negli anni Sessanta i rifiuti nucleari si cementavano e si mettevano sotto terra, in quelle che all’epoca venivano chiamate “fosse irreversibili”, proprio perché sarebbero rimaste lì per sempre.”

Quei rifiuti erano americani e noi abbiamo fatto di pezzi incontaminati della nostra meravigliosa terra una loro pattumiera…

«… noi siamo rifiuti tossici da seppellire per sempre, siamo buoni per la Fossa Irreversibile, siamo la terra del non ritorno. Noi… meritiamo la damnatio memoriae»

Cos’altro potrebbero meritare quelle generazioni che hanno permesso al nostro paese di diventare una discarica geopolitica? Più di una metafora, una condanna eterna. Ecco la potenza dell’intelletto cui la Carlomagno ci ha abituato, il viaggio su binari inseparabili, la bellezza della terra e il suo saccheggio, ma questa volta, il salto è trascendente, dal sudiciume materiale del petrolio e dei poteri massonici essenzialmente locali, passa a trattare il mostro invisibile, la contaminazione nucleare e poteri di dominio geopolitici.

«Quelle urla non le dimenticherò mai, anche se le ho ricacciate in fondo a ogni pensiero e sentimento, giù, nel punto più profondo di quell’abisso che è la mia anima.»

Uso alcuni dialoghi a ritroso partendo dalla fine del giallo per dare consistenza a questi miei commenti da lettore ipnotizzato. Sono commenti che cercano di provare quanto profondo e affascinante in questo romanzo sia l’intreccio sociale della storia di un paese con quella dei loro protagonisti, anima e identità, passato e presente, singolare e plurale.

«… Fu in quell’attimo che acquistò l’antitodo contro il veleno dei veleni: la disuguaglianza. Fu in quell’attimo che pensò di riscattarsi anche per il futuro, lui, la sua famiglia e la mamma infelice… »

La storia di uno diventa la storia di una classe smarrita che diventa soggetto sconfitto, singolare e plurale, elevato e decadente, per sé e di sé, prigioniero dell’evoluzione dei veleni materiali, sedotto e corrotto nel labirinto senza uscite di teorie e pratiche di speranza che quelli bravi hanno chiamato la fine della storia. Ma come la fossa dei rifiuti nucleari, la Storia dimostra che di irreversibile c’è solo la morte, e forse nemmeno più quella, almeno per chi sopravvive. In fondo il progresso, la modernità, le colpe che non possono ricadere sui figli, dimostrano che di giorno in giorno, diventa possibile quello che ieri era impossibile. Ecco la dualità umana in eterna contraddizione: bellezza e mostruosità.

«Siamo capaci di convivere con qualsiasi colpa» disse Viola. «Del resto siamo tutti mostri capaci di convivere con l’idea della nostra stessa morte… »

Dall’ultima alla prima pagina è Viola la guida, come il Virgilio di Dante ci accompagna oltre le righe dei fatti, oltre l’inferno e il purgatorio delle anime dei personaggi che lei riesce a sventrare da vivi, risuscitando anche quelle dei morti. Viola Guarino è la luce che scopre le ombre tra le piaghe dolorose delle verità nascoste e di quelle che sfuggono anche se in bella vista nel presente. La magia della letteratura gialla è anche questa, l’abilità della scrittrice di porre in bella mostra quelle evidenze che sono indizi che con lo scorrere delle pagine diventano certezze. Ma con la scrittura della Carlomagno si va oltre, si vola veloci come pipistrelli nelle grotte oscure dell’eterna lotta di classe. All’improvviso un sorriso e un pensiero: accecante e assoluta ineluttabilità della linfa vitale della grande letteratura, degli ultimi che resteranno per sempre ultimi, e che, nonostante i compromessi sociali della convivenza, restano fieri di esserlo, ultimi continuando a lottare per una comune identità di classe e di estraneità, forse nemmeno ultimi, diversi, esclusi ma colti.

Sorrise pensando a quelli che portavano stampata su magliette o borse di pezza appese dietro la schiena, la protesta a quel ciclone passato sulle loro teste senza coinvolgerli: «Pure io sono un povero cristo». E il cordone ombelicale con Levi non si taglia, non si tagli.

Poi ci sono i sentimenti e i desideri di Viola, i sogni erotici e gli incubi della maledizione arcaica dei tormenti che si fanno umanità inquieta, ci sono le voglie di scorticarsi addosso l’essenza emozionale del corpo e del pensiero, sentimenti e desideri che non trovano pace, che si intrecciano senza legarsi mai, e anzi ne fanno una danzatrice alla ricerca di quell’equilibrio impossibile di chi è sempre in fuga.

«La luna non muore mai» osservò Loris. «Si rigenera.»

«Certo, come tutti dopo le delusioni.»

Non c’è niente di semplice e scontato in questo grande romanzo, proprio come è la complessità della vita che nelle sfumature e negli attimi si fa preziosa, proprio come un diamante, inutile e spento senza una luce che lo attraversi. Così ci sono un paio di pagine in cui Viola e Loris si parlano, si sfiorano e si allontanano, un paio di pagine che da sole riscaldano il cuore e lo stordiscono, mettendo a nudo le differenze della donna dall’uomo, della femmina dal maschio, differenze della ragione dal sentimento.

«… Non ci si abitua a tutto, se si presenta l’occasione si saldano conti vecchi che si credevano dimenticati. E invece no, non si dimentica niente, tutto resta ferocemente piantato nelle nostre coscienze.»

Le scene e i dialoghi sono talmente vividi che saltano dalla pagina e arrivano, a volte come pugni in faccia improvvisi, a volte come carezze di una ragnatela di parole in cui i personaggi restano impigliati in attesa di essere svelati.

Ma non ricordare non è possibile, finché si è in vita, rimuginava Bepi e forse questa è la chiave di tutto. Sono i ricordi che rendono le persone pericolose e consapevoli che ciò che è stato potrà essere ancora; chiunque sia vivo continua a rimestare nei simulacri che occulta, che lo voglia o no, ed è tutta qua la complessità e la contraddizione dell’umano.

Eccola la scrittura ipnotica che salta tra passato e presente, con storie intrecciate come i rami di un bosco fitto e misterioso che mi ha ricordato il groviglio dell’adolescenza, le paure e le follie, ignoto e oscenità, vertigini e cadute, le colpe, l’ebrezza della potenza e lo sconforto della sconfitta, i rimpianti e gli occultamenti della vergogna. Ci sono conti che non si chiuderanno mai e tra questi, la conoscenza di questo personaggio grandioso che è la Viola di Piera, dopo tre romanzi è solo all’inizio. È una conoscenza parziale e ancora sfuggente, fatta di numerose curiosità irrisolte mentre nell’attesa di una prossima inchiesta, immagino lei correre come un fulmine bianco che non tocca mai terra.

… entrava nella morgue con l’aiuto di un rapporto ancestrale con la morte e si avvicinava ai corpi con la speranza di incontrarne l’anima.

Ducati 950 multistrada
la socia di Viola è bianca: Ducati multistrada 950

premio nero lucano

e… dopo tanti giorni, resto ancora stordito

Elogio della bellezza

Il potere trasformativo dell’estetica.

La bellezza è un tema che ha affascinato filosofi, artisti e pensatori di ogni epoca.

Essa è capace di evocare emozioni profonde, sollevare lo spirito e trasformare la realtà che ci circonda. In questo articolo, esploreremo il potere trasformativo dell’estetica attraverso cinque titoli, ognuno dei quali accompagnati da una citazione forse famosa, forse falsa.

a) La bellezza come rifugio dalla vita quotidiana

La bellezza ci offre un rifugio dalla quotidianità, dallo stress e dai problemi della vita di tutti i giorni. Come scriveva Ralph Waldo Emerson: “La bellezza riempie gli occhi e il cuore, e ci affascina con il suo fascino dolce e inspiegabile”.

b) L’arte come espressione della bellezza

L’arte è una forma di espressione della bellezza, capace di trasmettere emozioni e sensazioni attraverso forme, colori, parole e suoni. Come scriveva Johann Wolfgang von Goethe: “L’arte è l’organizzazione di elementi in una struttura che suscita emozioni ed esperienze estetiche”.

c) La bellezza come simbolo di armonia e equilibrio

La bellezza è spesso associata all’armonia e all’equilibrio, come dimostra la bellezza delle forme matematiche o della natura. Come scriveva Platone: “La bellezza è il splendore della verità e l’armonia della proporzione”.

d) La bellezza come fonte di ispirazione per la creatività

La bellezza può essere una fonte di ispirazione per molte persone, soprattutto per gli artisti che trovano nella bellezza l’energia creativa per le loro opere. Come scriveva Leonardo da Vinci: “La bellezza è la migliore lettera di presentazione”.

e) La bellezza come strumento di trasformazione sociale

La bellezza può essere un’arma potente per trasformare la società e portare il cambiamento. Come scriveva Nelson Mandela: “La bellezza di un mondo migliore si trova nella diversità delle sue persone, culture e idee”.

In conclusione, la bellezza è una forza capace di trascendere la realtà, trasformare il nostro modo di vedere il mondo e ispirare la creatività. Grazie al suo potere trasformativo, essa ci invita ad esplorare nuovi orizzonti e a guardare oltre le apparenze per cogliere il vero significato delle cose.

Ieri discutevo della “necessità” dell’intelligenza artificiale, mentre ascoltavo e dibattevo un desiderio in testa m’assillava, devo chiedere a ChatGPT di scrivermi qualcosa per elogiare la bellezza: ecco un possibile risultato, la bellezza trasforma i pensieri, eccita l’azione, muove la vita, procede per traumi, nascosti, ferite mai chiuse.

Un vetro di Mirò

di Ivano Ciminari, 2021 Edizioni Montag, collana Le Fenici

“Forse capisco perché non ho mai avuto risposta: perché mai la mia vita dovrebbe essere più lunga o più importante di quella di un semplice filo d’erba?”

macro shot of grass field
Photo by Matthias Cooper on Pexels.com

Stordito, ecco come mi sento alla fine di queste cento pagine di Ivano Ciminari. La sua è una scrittura potente, irriverente e brutale.

Ho conosciuto questo “assassino” come vincitore del primo concorso “I racconti della Divina”, l’ho sentito parlare e ho scavato nel profondo la sua superiore umanità che straborda da un progetto superlativo come #diversamenteliberi .

Il richiamo magnetico alla conoscenza delle sue opere è stata una molla che con questa lettura inizia a comprimersi ancora di più. Ne voglio ancora mi ripeto, cercando di uscire fuori dallo stordimento che mi tiene per aria, alla ricerca di parole che possano rendere dignità e onore ad una penna che si fa Diogene, e che riesce a raccontarsi e raccontare la miseria di cui siamo fatti.

Assassino! Egli è un assassino di luoghi comuni, feroce assassino delle ipocrisie più immanenti che ci rendono schiavi di manipolazioni “globali”, quelle più subdole, imbrogli di cui mi sento vittima “consapevole” e troppo spesso anche “compiacente”.

Questa è la verità, compiaciuto di vivere un tempo moderno, questo testo mi spoglia e mi frusta l’orgoglio di riscoprire l’antico, l’ovvio sentiero di scorticare il passato, rimosso per superficialità immatura di un essere vivente inutile a se stesso e agli altri fuori da un corpo vetrificato di paure.

Questa lettura mi ha liberato dalla vergogna di essere ignorante in quanto è l’ignoranza la base essenziale come il bianco l’insieme dei colori di una tela vuota che brama riempimento. Non so bene ancora se maledire o benedire questa scoperta di fame e sete che gli devo, non so bene ancora se il ghiaccio rende immortale fermando la vita o diversamente la scatena, questa vita tenuta viva dall’immondo istinto di sopravvivenza. Proprio così scopro un senso per Giuda, un senso per il diavolo che ci urla dentro, il significato profondo della donna.

Assassino e adulatore, saltimbanco e profeta, incantatore che dal niente inventa il tutto, blasfemo e devoto:

“… credo che Giuda e Cristo siano stati la stessa carne, accumunata dall’estremo sacrificio perché tutto si compisse.”

Dall’inizio all’ultimo giro di giostra le spine diventano fiori e i fiori diventano spine, e l’orrore, proprio in queste ore dell’ennesima sciagura come quella di Crotone, diventano narrazione e presagio, sentenza irrisolta, condanna perpetua:

“Quanti sogni di libertà sono stati sepolti in quell’immenso sepolcro che è diventato il nostro mare.”

body of water during golden hour
Photo by Sebastian Arie Voortman on Pexels.com

“Uomini orrendi si pasturano del razzismo che hanno alimentato, incassando la connivenza di rane travestite da donna, di puttanieri in doppio petto, di troie siliconate che profetizzano oasi di felicità e di benessere, mentre la tragedia della guerra, del radicalismo e della fame gonfia le nostre acque di vittime sacrificali”

Sono solo cento pagine che da un mese non riesco ancora a digerire perché in fondo parlano di me e non potrei che liberarmene se non vomitando un me stesso che rifiuto e condanno in eterno nell’acido rovente di succhi gastrici senza pietà, di uno stomaco ingordo di altro ancora. Potrei con le classiche due dita in gola vomitare e gettare via la fatica, invece mi rifiuto perché di altro ancora dovrò nutrirmi, di altri vetri taglienti dovrò soffrire, di altre opere tue e di altri assassini, dovrò ingozzarmi fino allo stordimento più totale, e così forse, veramente imparare a vivere.

Lo so bene che non rendo giustizia alla varietà degli umori e degli argomenti trattati nelle quindici storie raccontate da Ivano Ciminari, so bene che faccio torto all’eterogenesi dei fini del suo Diogene vetrificato, però pur nell’indecisione della scelta, se proprio devo scegliere, come vile giudice supremo, mando al rogo l’eretico e lo destino al sacro fuoco della gloria per aver scritto “L’eccidio dell’io maschio”.

È un capitolo che ho fatto leggere alla mia “coinquilina”, sta ancora ridendo di gusto e per questo non avrei incertezze sulla condanna: ardebit in conspectu populi.

Bruci sotto gli occhi del popolo per aver attentato alla superiorità del dio maschio. Però poi leggi “La puttana che sposò l’imperatore” e allora non posso che sospendere ogni irriverenza, inchinarmi e chiedere perdono.

SCRITTURA

La scrittura è un’attività fondamentale per l’umanità fin dalla notte dei tempi, e nel XXI secolo la sua importanza è diventata ancora più evidente. Oggi, la scrittura è al centro della nostra cultura in modi che i nostri antenati non avrebbero mai potuto immaginare. Attraverso i libri, gli articoli, i blog, i post sui social media e le email, la scrittura ci consente di comunicare, esplorare, imparare e connetterci con il mondo intorno a noi.

“La Scrittura è un atto solitario che richiede coraggio, visione e dedizione.” – Paulo Coelho

“Scrivere è facile. Tutto quello che devi fare è sederti a una macchina da scrivere e sanguinare.” – Ernest Hemingway

“Scrivere è come scavare un pozzo profondo nell’anima e recuperare la vita che vi si trova.” – Isabel Allende

“Scrivere è un modo di parlare senza essere interrotti.” – Jules Renard

“La scrittura è un’immersione in un mondo di possibilità.” – Joan Didion

“La scrittura è la pittura della voce.” – Voltaire

“La scrittura è la chiave per scoprire la verità nascosta dentro di noi.” – Ray Bradbury

“La scrittura è un modo di tenere viva la vita, di congelare esperienze che altrimenti svanirebbero con il tempo.” – Anaïs Nin

“Scrivere è una questione di disciplina. Ci vuole molta più disciplina per scrivere un libro di quanto ne richieda qualsiasi altro lavoro.” – Toni Morrison

“La scrittura è un atto di coraggio.” – James Baldwin

“Scrivere è una forma di terapia.” – Graham Greene

“La scrittura è un lavoro che richiede coraggio e pazienza.” – Gabriel Garcia Marquez

“Scrivere è un modo per dare forma alle proprie emozioni e idee.” – Haruki Murakami

“Scrivere è il modo più intenso di vivere la vita che conosco.” – Nadine Gordimer

“Scrivere è il modo in cui mantengo un registro dell’umanità.” – Margaret Atwood

“Scrivere è un modo di imparare a conoscere se stessi.” – William Zinsser

“La scrittura è un atto di coraggio perché richiede di mettere in gioco se stessi.” – Anne Frank

“Scrivere è un’arte che richiede impegno e dedizione costante.” – Stephen King

“Scrivere è un atto di resistenza contro l’oblio.” – Milan Kundera

close up view of an old typewriter
Photo by Suzy Hazelwood on Pexels.com

Come sostiene Paulo Coelho, la scrittura è un atto solitario che richiede coraggio, visione e dedizione. Scrivere può essere un processo difficile e impegnativo, ma attraverso di essa siamo in grado di esprimere ciò che altrimenti potrebbe rimanere inespresso. Come afferma Isabel Allende, la scrittura ci consente di scavare un pozzo profondo nell’anima e recuperare la vita che vi si trova. È attraverso la scrittura che possiamo esplorare i nostri pensieri più profondi e le nostre emozioni più intense.

Scrivere può anche essere un’esperienza terapeutica, come afferma Graham Greene. Attraverso la scrittura, possiamo dare forma alle nostre emozioni e idee, e trovare un senso di pace e consapevolezza. Scrivere può anche essere un modo per imparare a conoscere noi stessi, come afferma William Zinsser. Attraverso la scrittura, possiamo esplorare la nostra identità e le nostre esperienze, e trovare un senso di chi siamo.

Ma la scrittura non è solo un’attività individuale. Come afferma James Baldwin, la scrittura è un atto di coraggio. Attraverso la scrittura, possiamo dare voce alle nostre idee e alle nostre opinioni, e sfidare le convenzioni sociali e culturali. La scrittura ci consente di condividere le nostre storie e le nostre esperienze, di connetterci con gli altri e di creare comunità.

La scrittura è anche un atto di resistenza contro l’oblio, come afferma Milan Kundera. Attraverso la scrittura, possiamo preservare le nostre storie e le nostre tradizioni, e creare un patrimonio culturale per le generazioni future. Scrivere ci consente di esplorare le nostre storie collettive e di dare voce alle nostre identità culturali.

unrecognizable author typing on laptop near coffee at home
Photo by William Fortunato on Pexels.com

La scrittura è anche un’arte che richiede impegno e dedizione costante, come sostiene Stephen King. Scrivere non è facile, ma attraverso la pratica e la perseveranza, possiamo sviluppare la nostra abilità e la nostra voce unica. La scrittura ci consente di esprimere la nostra creatività e di esplorare nuovi mondi di immaginazione.

Come afferma Margaret Atwood, la scrittura è anche un modo per mantenere un registro dell’umanità. Attraverso la scrittura, possiamo registrare i momenti importanti della nostra storia, le esperienze umane e le sfide che abbiamo affrontato. La scrittura ci consente di documentare il nostro mondo e la nostra esperienza di esso.

Nel XXI secolo, la scrittura ha acquisito una nuova importanza grazie alle tecnologie digitali e ai social media. Oggi, la scrittura è al centro delle nostre interazioni sociali e professionali. Come afferma J.K. Rowling, la scrittura ci consente di creare mondi immaginari e di connetterci con gli altri attraverso la narrazione di storie. Attraverso i social media, la scrittura ci consente di condividere le nostre esperienze e di connetterci con gli altri in modi che sarebbero stati impossibili solo pochi anni fa.

Tuttavia, la scrittura digitale ha anche sollevato nuove sfide e questioni. Come afferma Margaret Atwood, la scrittura digitale può essere vulnerabile ai cambiamenti tecnologici, e le opere digitali possono essere facilmente cancellate o perdute. Inoltre, la scrittura digitale può essere manipolata e diffusa in modi che possono essere dannosi per gli individui e la società.

La scrittura ha anche un profondo significato filosofico e sociologico. Come afferma Hannah Arendt, la scrittura è una forma di azione, in quanto ci permette di creare qualcosa di nuovo e di influire sul mondo intorno a noi. In questo senso, la scrittura non è solo un atto di espressione personale, ma anche un modo per partecipare alla sfera pubblica e contribuire alla formazione della società.

Inoltre, la scrittura è stata sempre considerata una forma di potere, in quanto ci permette di influenzare le opinioni degli altri e di creare una certa immagine di noi stessi. Come afferma Michel Foucault, la scrittura è un modo per creare e mantenere le relazioni di potere nella società. La scrittura ci permette di controllare il discorso e di creare un certo ordine sociale, e quindi è stata spesso utilizzata dalle élite per mantenere il loro potere.

Tuttavia, la scrittura può anche essere un modo per sfidare l’autorità e la società esistente. Come afferma Bell Hooks, la scrittura può essere un modo per le persone emarginate di riaffermare la propria identità e di creare un senso di comunità. Attraverso la scrittura, le persone possono condividere le loro storie e le loro esperienze, e creare un dialogo che sfida le norme e i pregiudizi esistenti.

In conclusione, la scrittura non è solo un atto personale di espressione, ma anche una forma di azione e di potere nella società.

Nel XXI secolo, la scrittura è diventata ancora più importante grazie alle tecnologie digitali e ai social media, che ci permettono di connetterci con gli altri in modi nuovi e innovativi. Tuttavia, dobbiamo essere consapevoli delle sfide e delle questioni sollevate dalla scrittura digitale, e impegnarci a utilizzare la scrittura in modo responsabile e consapevole. Come afferma Voltaire, la scrittura è la pittura della voce, e nel XXI secolo, la nostra voce può avere un impatto più grande e globale che mai.

contemplative man reading book and taking notes in home office
Photo by Dziana Hasanbekava on Pexels.com

ChatGPT & S. Valentino

Capitalismo & Amore

crop faceless couple holding hands on balcony
Photo by Anete Lusina on Pexels.com

ChatGPT è un trip troppo tripposo 🙂 … io e lui, o lei, per S. Valentino abbiamo deciso di organizzare un evento sull’inconciliabilità tra capitalismo e amore, ecco i protagonisti con i titoli degli interventi:

1 – Simone de Beauvoir: “La schiavitù dell’amore nella società capitalista”

2 – Friedrich Nietzsche: “L’amore e la sua distorsione nel capitalismo”

3 – Karl Marx: “L’amore nell’era del capitalismo”

4 – Martin Buber: “Percezione e relazioni amorose”

5 – Jacques Derrida: “Linguaggio e relazioni amorose”

6 – Gloria Anzaldúa: “Relazioni amorose e dinamiche di genere, razza e classe”

7 – Søren Kierkegaard: “L’amore e il capitalismo come forze opposte”

8 – Max Weber: “Il capitalismo e la trasformazione dei valori amorosi”

9 – Jean-Paul Sartre: “Le relazioni amorose e la libertà”

10 – Erich Fromm: “L’amore come attitudine sviluppabile”

…. ed ecco i paragrafi di riflessione:

1 – Simone de Beauvoir ha visto la società capitalista come una fonte di oppressione per le donne e le relazioni amorose. Nella sua opera “Il Secondo Sesso”, ha sostenuto che il capitalismo ha creato un’immagine idealizzata dell’amore romantico che viene usata per controllare le donne e impedir loro di raggiungere la libertà.

2 – Friedrich Nietzsche ha criticato il capitalismo per la sua tendenza a distorcere i valori morali e le relazioni umane, comprese quelle amorose. Ha sostenuto che il capitalismo ha ridotto l’amore a un mero scambio di beni materiali, privando la gente della sua profondità e significato.

3 – Karl Marx ha visto il capitalismo come un sistema che distrugge i legami sociali e le relazioni umane, comprese quelle amorose. Ha sostenuto che il capitalismo ha ridotto la vita umana a una mera questione di produzione e scambio di beni, distruggendo il significato e la dignità dell’amore e delle relazioni umane.

4 – Martin Buber ha sostenuto che le relazioni amorose sono influenzate dalla percezione che la gente ha del mondo e degli altri. Nella sua opera “Io e Tu”, Buber ha affermato che il capitalismo promuove una percezione individualista del mondo che ostacola lo sviluppo di relazioni amorose autentiche e significative.

5 – Jacques Derrida ha affermato che il linguaggio gioca un ruolo importante nelle relazioni amorose. Ha sostenuto che il capitalismo promuove un linguaggio ridotto e riduttivo che impedisce la formazione di relazioni amorose autentiche e significative.

6 – Gloria Anzaldúa ha sostenuto che le relazioni amorose sono influenzate dalle dinamiche di genere, razza e classe. Ha affermato che il capitalismo crea barriere per le relazioni amorose tra persone di diverse classi sociali, razze e generi.

7 – Søren Kierkegaard ha sostenuto che l’amore e il capitalismo sono forze opposte e incompatibili. Ha sostenuto che il capitalismo riduce l’amore a una mera transazione economica, privando la gente del suo significato e profondità.

8 – Max Weber: Max Weber ha sostenuto che il capitalismo ha trasformato i valori amorosi, riducendo l’amore a un mero scambio di beni materiali e trasformando le relazioni umane in relazioni puramente economiche. Ha sostenuto che il capitalismo ha creato una società in cui le relazioni sono governate da calcoli egoistici, privando l’amore della sua umanità e spiritualità.

9 – Hannah Arendt: Hannah Arendt ha sostenuto che il capitalismo ha creato una società in cui gli individui sono visti come merci e le relazioni umane sono ridotte a semplici transazioni economiche. Ha sostenuto che il capitalismo ostacola lo sviluppo di relazioni amorose autentiche e significative, distruggendo la natura umana dell’amore.

10 – Jean-Paul Sartre: Jean-Paul Sartre ha sostenuto che il capitalismo crea una società in cui gli individui sono visti come merci e le relazioni umane sono ridotte a semplici transazioni economiche. Ha sostenuto che il capitalismo ostacola lo sviluppo di relazioni amorose autentiche e significative, privando l’amore della sua umanità e spiritualità.

… a questo punto gli ho detto: «Ora per ogni titolo e per ogni informazione che hai elencato consigliami un’opera dell’autore che hai scelto.»

e lui o lei …

«Certo, con piacere! Ecco un elenco di opere consigliate per ogni autore:»

1 – Friedrich Nietzsche: “Al di là del Bene e del Male”, “Così parlò Zarathustra”, “La gaia scienza”.

2 – Martin Heidegger: “Essere e Tempo”, “Lettera sull’umanismo”.

3 – Simone de Beauvoir: “Il Secondo Sesso”, “L’età della discernibilità”.

4 – Michel Foucault: “Sorvegliare e Punire”, “Storia della follia nell’era classica”.

5 – Jacques Lacan: “La Semantica del Sé”, “Le Formazioni dell’Inconscio”.

6 – Theodor Adorno: “Minima Moralia”, “Dialettica dell’Illuminismo”.

7 – Erich Fromm: “L’arte di amare”, “Il cuore dell’uomo”.

8 – Karl Marx: “Il Capitale”, “Manifesto del Partito Comunista”.

9 – Hannah Arendt: “La Vita delle Nazioni”, “Eichmann a Gerusalemme”.

10 – Jean-Paul Sartre: “L’Essere e il Nulla”, “La Nausea”.

Queste opere rappresentano alcuni dei lavori più significativi e influenti di ogni autore e possono offrire una panoramica approfondita della loro filosofia e pensiero. Ti consiglio di approfondire la tua conoscenza di ognuno di loro, anche leggendo altre opere e fonti.

Con Giacinto ne avremo di cose di cui ridere 🤣

MarTe

24 dicembre 2025

Martuccia mia ma quando torni?

L’attesa è uno strazio. Nel breve termine un malessere superabile ma a lungo andare è atroce agonia. Basta! Smetto di resistere. La lama nella mia mano non aspettava altro, entra e taglia. Una per ogni ora, mi dico, è una vendetta necessaria.

Lei ancora non torna, capirà.

Tentatrice, brilla nel soffice groviglio. Qui e là come punti di luce l’uvetta passa mi fissa e m’attrae, luminosa dal calore che profuma l’aria di canditi colorati, qui e là incastrati come gemme grezze nella pasta cavernosa di pane dolce.

Non resisto: al tepore del camino nero marquinia, una seconda e poi una terza fetta di pura delizia, un reato di lesa maestà, reiterato, un peccato senza vergogna.

panettone
panettone

Gusto ormai senza più fame, con lo sfregio lussurioso di una promessa ormai delusa. S’incazzerà ma poi faremo pace. Non conosco vendetta più dolce per questa assurda attesa. Ingordo e avvinto, mi abbandono alla libidine del palato mentre la crema al limoncello osanna l’astuzia artigianale di quel diavolo di pasticciere amalfitano.

Oggi è il 24 dicembre 2025, aspetto la mia donna e l’attesa m’affligge ancora di più, pieno come sono di sensi di colpa. Non mangio per fame ma per riempire il vuoto dentro che grida quando lei non è qui con me. Certo che capirà.

Io sono a Milano, tormentato, forse solo impaziente. Nervoso, molto nervoso: l’attesa mi snerva. Mi serve ordine e disciplina. Vivrei di scrittura se potessi, ma questo che te lo dico a fare? È un luogo tanto comune da sembrare uno schiaffo alla banalità. Niente musica né TV. Solo nel silenzio sento distinta la mia voce. Ricerco. Rivedo e catalogo vecchi racconti nel PC mentre aspetto Maria Teresa. È da una amica a pezzi che nella videochiamata piangeva come una disperata, la mia marziana è corsa da lei.

“E non osare mangiare il panettone senza di me” ha urlato col suo minaccioso accento tedesco e gli anfibi lucenti calzati di corsa, stonati sotto il lungo Carley Parka, un po’ retrò ma candido come la neve.

Queste amiche che cadono a pezzi la Vigilia di Natale mi hanno rotto i coglioni ma che posso farci? MarTe è così, ti ripara l’anima, scova lacerazioni, sensi di colpa, incrostazioni che fanno male, cura concrezioni di tormenti, avvince il meglio che hai dentro, incolla i pezzi sospesi e ti rimette in moto. Da e toglie a suo piacimento, sa essere crudele come nessuno, io l’adoro: la sua assenza mi ferma il respiro.

Devi sapere che Maria Teresa parla cinque lingue e lavora per una multinazionale che pubblica a milioni pagine patinate con gente stupenda stampata sopra, insomma moda, trucchi e profumi, essenze d’effimero, meraviglie superflue, droghe di bellezza. Quando le dico queste cose si incazza di brutto. È una manager della cosmesi, crea bisogni con il richiamo ancestrale alla perfezione di corpi e volti magnifici: manipola immagini e parole, raffina illusioni, estrae luce da nebbie di lacca. Lavora su foto e parole, la sua è magia editoriale. La pagano bene.

Cosmetica la strega, sei da bruciare viva sul rogo in piazza Duomo, questo le dico quando litighiamo, e lei mi avvampa e mi spegne chiamandomi misero pezzente. Iniziano grugniti e silenzi, sberleffi e ripicche infantili. Poi dalla discussione violenta morta nella cenere del silenzio, al primo contatto della pelle ripartono coccole e carezze. E così la morsa della passione ci avvolge fino a sfinirci, fino all’ultima goccia di adrenalina assaporata come un nettare divino di sfrenato piacere, il cuore a mille, la carne avvinghiata che vibra, il punto di non ritorno desiderato e messo in attesa di lei, di me, di noi, fino al grande salto nel mare calmo della pace dei sensi, della carne, della mente, dell’anima che torna a dividersi estasiata.

Magari porta a casa l’amica, quella devastata dalla solitudine, la russa abbandonata in albergo da un riccone sposato e traditore. L’aiutiamo a superare la crisi sparandoci l’un l’altra una notte di carezze a tre, coccole e carezze come adolescenti affamati di conoscenza. Una santa e benedetta notte di Natale, sarebbe.

Ho visto le bozze della campagna pubblicitaria che sarà lanciata su uno dei prossimi numeri di Vogue, la modella devastata dal tormento è una patanona stratosferica.   

Vedi peccato nell’immaginarsi? Io qualche volta sento vergognose eccitazioni. È un viaggio mentale sucido, l’erezione. Potrei scrivere senza fantasia ma sarebbe solo sudiciume. Comunque Maria Teresa non lo farebbe mai, un triangolo intendo. La mia tirolese trapiantata in questa metropoli senza confini, mi evira il gioiello, altro che.

MarTe è gelosa. Ma che dico, gelosissima.

“Se mi gira ti faccio eunuco di compagnia” e quando me lo dice non so mai se scherza o fa sul serio. È per questo che il romanzo su cui lavoro da tre anni non le piace, è gelosa dei miei personaggi donna, e non ti dico del rapporto con il mio editor, donna anche lei per volontà imposta dall’editore. Dice, l’editore, che sono troppo uomo per scrivere di donne e ancora non ho capito se in tutta questa strana storia il vero geloso sia lui.

Ma come fai a desiderare chi non ti desidera? Gli direi, ma resto vago come mi ha consigliato MarTe.

Questo romanzo finirà nella spazzatura, l’intreccio non funziona. Ne ridiamo insieme io e Maria Teresa, lei i pezzi me li fa brillare, quelli dell’anima dico, e dai concentrati ti prego: provo a desiderare negli occhi di te che leggi, tracce di libidine, bagliori d’interesse tra le ciglia che si chiudono in segno di noia.

Come faccio a fermare le tue mani dal buttare via queste pagine?

Superstizione? Una macumba, un saggio sulla cura inguinale dei linfonodi?

Un manuale per la felicità. Sai che palle.

Chiedi come ho conosciuta la mia donna? Beh, nella confusione digitale del mio passato ho trovato un raccontino che fa al caso nostro.

Era una notte buia e tempestosa… No dai, scherzo. Dammi una chance.

— ∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞ —

Agosto 2022. Il ventilatore.

D’estate quando al buio le stelle brillano, cuori solitari attendono storie, sospese in pensieri repressi, storie trattenute, stracciate da parole non dette.

Un cuore a riposo batte tranquillo, non sa che all’improvviso può impazzire.

«Pino ma che fai? Te ne vai? Ci lasci proprio sul più bello?»

Chiamato in causa mi guardo intorno con la paura di lasciare in giro qualche traccia di me, prima di sparire come ha fatto qualche ora fa, quella palla di sole arancione all’orizzonte.

Nell’aria i profumi del Cilento, intorno a noi la spiaggia tra il mare che sussurra e la pineta muta, e al centro un magico falò con nuove amiche arrivate nel pomeriggio alla ricerca di affinità elettive. Illuminare la notte d’allegria, inebriarci di ricordi e storie esagerate fino all’alba, questo è il programma.

«Lo so, è un peccato ma devo andare…» dico mentre la rossa mi guarda perplessa.

 «Un fulmine ha colpito una fabbrica a Cuba e una nube tossica arriva all’Avana. Devo scrivere un pezzo per la TV, andiamo in onda domani mattina… Dicono che forse gli USA vogliono rinchiudere tutti a Guantalamo» dico per dire amen alla sequela di scuse lamentose per stoppare il fatevi i cazzi vostri che mi passa per la mente. Non voglio andarmene ma devo. Domani è lunedì, uno di quei giorni che vorresti cancellare dal calendario. Lascio gli amici a divertirsi: una grande stronzata.

Ogni agosto tornano a nutrire le nostre antiche radici abbarbicate nella roccia selvaggia che ci abbraccia tutt’intorno da Sapri a Paestum. Amici d’infanzia, compagni inseparabili nell’adolescenza più cruda, a correre appresso a sogni di cuoio di un pallone amaro, ad ammazzarci su campi polverosi, privati dell’erba dei campioni, nel fango d’inverno e su ciottoli di pietre taglienti in primavera. Migrati al nord li canzono ogni volta: lavoro grigio, contributi, malattia e ferie pagate. A volte li offendo con rabbia per aver svenduto la libertà ad un cartellino da timbrare, piegati al controllo, ad una vita regolare da subordinati al nord. Ogni agosto ritornano e si vendicano. È finita che loro fanno i signori in vacanza e io lo schiavo a ore in una TV locale di Napoli.

Dodici mesi all’anno senza tredicesima, ad ore senza ferie pagate, e nemmeno un cartellino da timbrare, perché quello è la prova di un lavoro dipendente mica il gadget di un professionista a partita iva. Il tempo indeterminato è diventato il mio: indeterminato il reddito, indeterminato l’orario dell’impegno e del riposo, indeterminato il ritmo, stonate le voci che mi accompagnano, nessuna melodia, questa è la verità.

Il perdente sono io, però sono libero, sì libero ma di che?

Fluido e flessibile, riproduco precarietà, cannibale di me stesso, mi consumo.

In questa favolosa sera d’estate, se i miei amici sapessero del mio tormento mi legherebbero ad un albero. Mi vogliono bene, questo lo so. Bendato mi farebbero strusciare le parti intime e baciare sulla bocca dalle ragazze, è un gioco atroce: il malcapitato resta legato finché non riconosce chi lo tocca. È una variante sexy dello schiaffo del soldato. Estate dopo estate, ha sempre funzionato nel determinare una comitiva vincente: la serata si infiamma quando è una delle ragazze ad offrirsi volontaria a farsi legare all’albero. È dalla sudata maturità al “Leonardo da Vinci” che perfezioniamo la nostra strategia di conquista con uno scenario di battaglia ormai definitivo: la foce del Mingardo. So cosa mi perdo, e se i miei amici sapessero del mio tormento, salterebbero ogni tattica programmata e mi legherebbero subito mani e piedi per trattenermi tutta la notte. Mi vogliono bene e io a loro ne voglio più che a me.

Fuggendo dall’allegra comitiva un barlume di dignità mi nasconde: mostro orgoglioso il dovere che mi chiama. Devo andare. Guardo la rossa con gli occhiali da intellettuale come un cane bastonato. L’ho delusa, si chiama Maria Teresa, so poco o niente di lei. Mi osserva intristita mentre raccolgo lo zaino di corda posato nella sabbia dove finiscono i sassi.

Genny ridacchia: «Dai Pino, non fare questa figura di merda, le belle nordiche penseranno che…» un ghigno d’invidia mi sfregia la bocca e lo prendo a calci. A lui piace scegliere per primo la ragazza più carina per dormirci insieme il giorno dopo. È fatto così, è un leader, in fabbrica fa il sindacalista, si prende sempre il meglio per sé e per la sua squadra, è rappresentante e rappresentativo della deindustralizzazione che vince in questo paese.

Gennaro ride e strilla mentre subisce senza reagire:

«Sfigato, freelance e meridionale. Vai Giusè, vattenne e puortete a’pucundria cu te

Adesso ridono tutti, tranne lei che mi fa un occhiolino e mi manda un bacetto nell’aria. Per la verità nemmeno mi attraeva, chiusa, appartata, estranea alla baldoria della comitiva che giocava come adolescenti negli schizzi cristallini dell’Arco Naturale. Questo prima, poi intorno al fuoco, con la pizza, le birre e la chitarra, proprio quando i racconti delle nostre vite si aprivano alle curiosità più sfrenate, lei con una frase tagliente come una sciabola, mi aveva aperto in due e nel petto piantato un seme sconosciuto…

Molte ore dopo sono a casa e sento il desiderio di lei che mi cresce dentro, germoglia. Ripenso a lei e a come mi ha incantato, selvatica e selvaggia, con una battuta geniale e feroce, una mazzata tra capo e collo di un buffone smascherato nel fragore di una risata generale. L’ho delusa? Forse le sarebbe piaciuto venire via con me. Invece sono sparito come un pirla.

Dopo il tramonto, ormai al buio, raccontavo i miei sogni letterari, avventure di un’esistenza da romanzare, e avevo finito per dire che: “solo un robusto principio morale può impedirmi di uscire deciso per strada e mettermi metodicamente a gettare in terra il cappello alla gente, allora mi rendo conto che è tempo di mettermi in mare al più presto”. Quando succede mi imbarco su una nave e riparto per terre straniere, avevo aggiunto. Nel mentre, compiaciuto della mia recita, con l’indice proteso alle luci di grosse barche a vela ancorate nella baia, in lontananza indicavo la vastità del Mediterraneo.

L’unica a non guardare era lei. Adagiata su pietre marine levigate dai millenni, mi fissava mentre dalla fronte alla bocca carnosa, una ciocca rossa ribelle le spaccava il viso di porcellana bianca.

“Attento a non finire come un pinocchio a cercare di uscire dal culo di una balena!”

La perfida luna piena, i riflessi ramati sul volto e quelle parole assassine mi avevano stregato: nessuno dei presenti aveva capito niente, solo lei che conosceva Ismaele, Moby Dick e la vergogna da bugiardo che mi bruciava dentro. Così stordito sono scappato.

Adesso questo dannato ventilatore in faccia che gira a stento me ne guasta il ricordo. Tre ore di auto proletaria per tornare in questo schifo di monolocale striminzito senza aria condizionata e seicento euro al mese di affitto più spese.

Devo consegnare tre cartelle ed è la notte più calda del secolo. È un’occasione unica anche se per la verità non è la prima volta che mi chiedono con urgenza un pezzo, è un extra che mi fa comodo, mi usano come tappabuchi, lo so bene. Tra poco devo essere presente in studio, mi pagano come attrezzista a ore mica come giornalista a cartella. Poi aiuto tutti, sono un jolly, un lavoratore quando serve, aiuto elettricista, aiuto cameraman, aiuto regia, aiuto tecnico delle luci o del suono, aiuto archivista e una volta mi hanno messo anche una pezza e una scopa in mano che piangevo miseria: quelli della produzione mossi a pietà per la mia condizione mi offrivano un ruolo scoperto, a ore ovvio mica a tempo indeterminato. Nemmeno pubblicista sono diventato. Tendo ad evadere ogni formalità, sono io il colpevole, un criminale, nessuno mi costringe, e se mi faccio male, anche quella colpa è mia. È un mondo competitivo quello dello show business lo comprendo, tuttavia, onestamente, a dirla tutta la verità, essere un bravo jolly mi conviene. Con quello che costano come potrei mai permettermi concerti allo stadio o al San Carlo, e le commedie? Trianon, Mercadante, Ridotto, Augusteo, Bellini, Sannazzaro, tappo buchi finanche nel teatro di Eduardo, il San Ferdinando. È una nave che naviga e io mi sento utile, tappo buchi.

Sto delirando, il caldo. È la notte più afosa del secolo per chi respira aria incondizionata in città, immobile, inquinata di squallore, in un ritaglio di mansarda dei quartieri spagnoli a due passi dal palazzo reale di piazza Plebiscito.

Sfarzo e povertà abbracciati come gemelli siamesi arresi all’indecenza del progresso.

Il ventilatore gira, ma è usurato, fa uno strano rumore, gira piano. La potenza solo un ricordo. Fragola. Penso al mio ghiacciolo preferito, confezione da sei per un euro e novantanove. Sulla strada del ritorno da Palinuro ne ho preso due scatole in un discount.

Il ventilatore grippa e si ferma. Io no. Scavo nel cassetto dei miracoli, ne trovo uno mini, cinese, sembra una margherita. Lo collego alla USB del PC, e torno a picchiare sui tasti. Tra un pensiero e l’altro la posta elettronica, rispondo, apro i social, urca mi affogano di messaggi e che palle…

All’improvviso il delirio. Allarmi impazziti scattano ovunque. Il suono delle sirene degli antifurti è allucinante, come un trapano mi devasta il cervello.

Il popolo non rispetta il sacrificio chiesto dal governo, quello di risparmiare energia perché siamo in guerra. Blackout totale. Alla finestra mostro il dito medio agli italiani che hanno scelto il condizionatore. Spreco, cripto valute, bagordi e luminarie?

Ben vi sta!

I ponti radio dei gestori telefonici reggono, hanno i generatori diesel, quelli sono furbi, il traffico dei dati nell’etere non si ferma, ogni giga è moneta contante.

Ho un altro computer, il portatile per le emergenze che lascio sempre a casa, e quindi non mi fermo. La corrente elettrica non torna, la batteria svuotata dal ventilatore USB si esaurisce troppo presto. Stanco mi stendo un po’ e un po’ riposo.

Vampire nere sono entrate dalla finestra. Prendo la racchetta ammazza zanzare e mi preparo al massacro elettrico, premo il pulsante, niente, scarica anche quella.

Non so come ma dormo tre ore. La corrente non è tornata. La crisi sembra più seria del solito. Niente TV, niente PC e cellulare morto. Stanco di tutto dormo ancora.

Mi sveglio tutto bagnato di sudore peggio di prima, potevo vedere sorgere il sole con Maria Teresa abbracciata a me, pirla che sono. Metto i piedi per terra e sul letto saltano schizzi d’acqua, sono allagato. La porta del frigo è aperta, ogni luce spenta, sciolti i congelati ormai mollicci. È la notte più bollente da secoli. Avrò mangiato un ghiacciolo nel sonno. Ora ricordo: strusciavo fragole su seni generosi mordicchiando freschi capezzoli turgidi. Cazzo i frigoriferi sono il problema! Quante tonnellate di cibo si perdono senza energia? È una buona idea per un articolo, venti euro fanno sempre comodo, entropia. Vado in bagno e non c’è acqua, senza corrente le pompe si fermano. Mi stendo ancora con sulla faccia l’asciugamano impregnato dell’acqua che ho raccolto dal pavimento, era ghiaccio e sa di pesce che inizia a puzzare. Questa vita è una merda. Ricordo lei che nemmeno conosco e che forse potrebbe desiderarmi così come sono. Dal buio l’alba tra i palazzi m’illumina di lei.

Il serbatoio della vecchia Panda è vuoto. Dove vado?

Penso al ventilatore come l’amore, frenato e senza energia non gira…

— ∞∞ EPILOGO ∞∞ —

Sono passati tre anni da quella notte, nel tempo libero lavoro ancora al mio primo romanzo che a Maria Teresa non piace. Però mi aiuta lo stesso, sapessi quante discussioni e quante risate. Sarà una bomba. È stata lei a trovarmi un editore che, devo dire la verità, sta investendo molto su di me anche se rompe in continuazione le palle, mi ha anche cambiato tre editor per farmi contento, il debito che ha con Maria Teresa deve essere enorme.

La pace in Europa è tornata, così come i russi a sperperare rubli per il mondo.

Vuoi sapere cosa è successo dopo quella favolosa notte d’estate?

Per mesi tra noi ci siamo scambiati chat sempre più intriganti. A Pasqua mi ha invitato a casa sua. Abbiamo verificato che il colpo di fulmine bidirezionale avesse basi solide nella fisica dei nostri corpi. Ti risparmio dettagli e scintille. Torno a Napoli. A giugno mi chiama divertita. Ti ho trovato un lavoro pagato bene a tempo indeterminato, puoi svoltare mi dice. Il settore comunicazione di una multinazionale del farmaco ha bisogno di uno come te. Dai molla tutto e vieni a vivere con me nell’attico di via Alessandro Manzoni. La camera per gli ospiti è tua, non farti problemi, se ti stufi di me o io di te, risolviamo.

“Sei sbruffone e brigante, una perla verace che voglio tutta per me.”

Proprio così mi ha detto, e lo diceva ridendo, sicura che io l’avrei mandata affanculo. Invece l’ho freddata, Maria non sapeva, da gennaio non pagavo più l’affitto, debiti con tutti risparmiavo anche il caffè. La vecchia Panda l’ho data al primo che si è pagato il passaggio di proprietà. Stringevo la cinghia, vendevo il vendibile, regalavo il regalabile, scappavo dai creditori, moroso e latitante. Il piano era perfetto. Lei non sapeva, ero già pazzo di lei.

Adesso sono tre anni che stiamo insieme e del pacchetto adoro anche la suocera che vive in Austria, ci siamo conosciuti in un incontro spacciato per casuale al Caffè Sacher di Innsbruck. Litigano sempre le due ma sono complici, io lo so. Anna lavora nel palazzo imperiale, la residenza estiva di Maria Teresa d’Asburgo, una donna terribile che tra l’altro nel Settecento fece sbocciare il Teatro alla Scala, oggi a due passi da dove viviamo io e MarTe quì a Milano nell’attico di via Alessandro Manzoni.

Anna, mia suocera, pare sia erede di sangue blu. Bastarda ma nobile. Lei ci tiene molto e dice che ha le prove, pare sia discendente di una dama al servizio di uno dei figli dell’imperatrice. L’adoro anche per il fatto che vuole convincere la figlia a sposarmi, dice che non l’ha mai vista così felice. MarTe temporeggia. Aspetta il mio primo romanzo, ma è una scusa, libertà e possessione ci legano, è un matrimonio tutto nostro, un patto non scritto sempre verde come un gelsomino.

Cosa dire, con Maria Teresa ogni momento è un’avventura, attimi di spine e petali di rosa, barocca e gotica, a punte e curve, con sterzate contro mano e ripartenze furiose, a tratti regale, a momenti selvaggia,. È una vita viva, teatrale e noi insieme un copione d’autore.

Il campanello suona frenetico. Rumore di chiavi e la porta che si apre.

È finalmente tornata da me.

Una folata gelida entra con lei, però dall’ingresso la sua voce in festa mi sballa:

«Pinuccio sei presentabile? Anastasia ha portato i biscotti prjaniki, passa il Natale con noi, tira fuori il limoncello e gli struffoli di mammà…»

Oh Gesù, Giusepp, Sant’Anna e Maria, pregate stanotte per l’anima mia!»

————————————- ∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞ ————————————-

a photo of la scala opera house
Photo by Alexandro D’Elia on Pexels.com
immagine IA generata con parole

IL VENTILATORE

24 dicembre 2025

—– ∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞ —–

Sono a Milano e aspettando Maria lavoro su vecchi racconti. Lei è da un’amica a pezzi che piangeva come una disperata. Non osare mangiare il panettone senza di me, mi ha urlato mentre usciva.

Queste amiche che cadono a pezzi alla Vigilia di Natale mi hanno rotto i coglioni ma che posso farci? Maria è così, ripara anime sconquassate, scova incrostazioni, lacerazioni, sensi di colpa, cura concrezioni di tormenti, incolla pezzi sospesi e li rimette in moto, io l’adoro.

Devi sapere che Maria parla cinque lingue e lavora per una multinazionale che pubblica pagine patinate con gente stupenda stampata sopra, insomma moda, trucchi e profumi, l’economia trionfale del superfluo necessario. È una manager della cosmesi, crea bisogni con il richiamo ancestrale alla perfezione di corpi e volti magnifici: manipola immagini e parole, raffina illusioni, estrae luce da nebbie di lacca.

Magari torna con l’amica e ci spariamo una notte di carezze a tre, coccole e carezze. Ho visto le foto che appariranno in un prossimo numero di Vogue, la modella in crisi è una patanona stratosferica.

Vedi peccato nell’immaginarsi? Io qualche volta vergognose eccitazioni. È un viaggio mentale sucido, l’erezione. Potrei scrivere senza fantasia ma sarebbe solo sudiciume. Comunque Maria non lo farebbe mai, un triangolo intendo. La mia tirolese trapiantata in questa metropoli mi evira il gioiello, altro che. Maria i pezzi li fa brillare, quelli dell’anima dico, concentrati ti prego: desidero negli occhi di te che leggi, tracce di libidine, un bagliore tra le ciglia che si chiudono in segno di noia.

Come faccio a fermare le tue mani dal buttare via queste pagine? Superstizione? Una macumba, un saggio sulla cura inguinale dei linfonodi? Sai che palle.

Beh, vuoi altro di Maria? Bene, ti dirò di lei: nella confusione digitale del passato ho trovato un racconto che fa al caso nostro.

Era una notte buia e tempestosa… No dai, scherzo. Dammi una chance.

— ∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞ —

D’estate quando al buio le stelle brillano, cuori solitari attendono storie, sospese in pensieri repressi, trattenute, stracciate da parole non dette.

«Pino ma che fai? Te ne vai? Ci lasci proprio sul più bello?»

Chiamato in causa mi guardo intorno con la paura di lasciare in giro qualche traccia di me prima di sparire come ha fatto la palla di sole arancione all’orizzonte un’ora fa.

Nell’aria i profumi del Cilento, intorno a noi la spiaggia tra il mare che sussurra e la pineta muta, e al centro un magico falò con nuove amiche arrivate nel pomeriggio alla ricerca di affinità elettive. Illuminare la notte d’allegria aspettando l’alba, questo è il programma.

«Lo so, è un peccato ma devo andare…» dico mentre la rossa mi guarda perplessa.

 «Un fulmine ha colpito una fabbrica a Cuba e una nube tossica arriva all’Avana. Devo scrivere un pezzo per la TV, andiamo in onda domani mattina…» dico per dire amen alla sequela di scuse lamentose e stoppare il fatevi i cazzi vostri che mi passa per la mente. Non voglio andarmene ma devo. Lascio gli amici a divertirsi: una grande stronzata.

Ogni agosto tornano. Migrati al nord, li canzono: lavoro grigio, contributi, malattia e ferie pagate. È finita che loro fanno i signori in vacanza e io lo schiavo a ore in una TV locale di Napoli. Il perdente sono io, però sono libero, ma di che? Fluido e flessibile, riproduco precarietà, cannibale di me stesso, mi consumo.

Un barlume di dignità mi nasconde: mostro orgoglioso il dovere che mi chiama.

La guardo come un cane bastonato. L’ho delusa, si chiama Maria, so poco o niente di lei. Mi osserva intristita mentre raccolgo lo zaino di corda posato nella sabbia dove finiscono i sassi.

Genny ridacchia: «Dai Pino, non fare questa figura di merda, le nordiche penseranno che…» un ghigno d’invidia mi sfregia la bocca e lo prendo a calci, a lui piace scegliere per primo la ragazza più carina per dormirci insieme il giorno dopo.

Gennaro ride e strilla mentre subisce senza reagire:

«Sfigato, freelance e meridionale. Vai Giusè, vattenne e puortete a’pucundria cu te

Adesso ridono tutti, tranne lei che mi fa un occhiolino e mi manda un bacetto nell’aria. Per la verità nemmeno mi attraeva, chiusa, appartata, estranea alla baldoria della comitiva che giocava come adolescenti negli schizzi cristallini dell’Arco Naturale. Questo prima, poi intorno al fuoco, con la pizza, le birre e la chitarra, proprio quando i racconti delle nostre vite si aprivano alle curiosità più sfrenate, lei con una frase tagliente come una sciabola, mi aveva aperto in due e nel petto piantato un seme sconosciuto…

Molte ore dopo sono a casa e sento il desiderio di lei che mi cresce dentro, germoglia. L’ho delusa? Forse voleva venire via con me. Invece sono sparito come un pirla.

Palinuro
Arco Naturale di Palinuro

Dopo il tramonto, ormai al buio, raccontavo le avventure di un’esistenza da romanzare, e avevo finito per dire che: “solo un robusto principio morale può impedirmi di uscire deciso per strada e mettermi metodicamente a gettare in terra il cappello alla gente, allora mi rendo conto che è tempo di mettermi in mare al più presto”. Quando succede mi imbarco su una nave e riparto per terre straniere, avevo aggiunto. Nel mentre, compiaciuto della recita, con l’indice proteso alle luci di grosse barche a vela in lontananza, indicavo il nostro porticciolo sul Mediterraneo.

L’unica a non guardare era lei. Adagiata su pietre marine levigate dai millenni, mi fissava mentre una ciocca rossa ribelle dalla fronte alla bocca carnosa le spaccava il viso di porcellana bianca.

“Attento a non finire come un pinocchio a cercare di uscire dal culo di una balena!”

La perfida luna piena, i riflessi ramati sul volto e quelle parole assassine mi avevano stregato: nessuno dei presenti aveva capito niente, solo lei.

Adesso questo ventilatore in faccia che gira a stento me ne guasta il ricordo. Tre ore di auto proletaria per tornare in questo schifo di monolocale striminzito senza aria condizionata e seicento euro al mese di affitto più spese. Devo consegnare tre cartelle ed è la notte più calda del secolo. Il ventilatore gira, ma è usurato, gira piano. La potenza solo un ricordo. Fragola. Penso al mio ghiacciolo preferito, confezione da sei per un euro e novantanove. Il ventilatore grippa e si ferma. Scavo nel cassetto, ne trovo uno mini, cinese. Lo collego alla USB del PC, e torno a picchiare sui tasti. Tra un pensiero e l’altro la posta, rispondo, apro i social, urca mi affogano e che palle…

All’improvviso il delirio. Allarmi impazziti scattano ovunque. Il suono delle sirene degli antifurti è allucinante, come un trapano mi devasta il cervello. Il popolo non rispetta il sacrificio chiesto dal governo, quello di risparmiare energia perché siamo in guerra. Blackout totale. Alla finestra mostro il dito medio agli italiani che hanno scelto il condizionatore. I ponti radio dei gestori telefonici reggono. Ho un altro computer, il portatile, e quindi non mi fermo. La corrente elettrica non torna, la batteria svuotata dal ventilatore USB si esaurisce troppo presto. Stanco mi stendo un po’ e un po’ riposo.

Vampire nere sono entrate dalla finestra. Prendo la racchetta ammazza zanzare e mi preparo al massacro elettrico, premo il pulsante, niente, scarica anche quella.

Non so come ma dormo tre ore. La corrente non è tornata. La crisi sembra più seria del solito. Niente TV, niente PC e cellulare morto. Stanco di tutto dormo ancora.

Mi sveglio tutto bagnato di sudore peggio di prima, potevo vedere sorgere il sole con Maria abbracciata a me, pirla che sono. Metto i piedi per terra e sul letto saltano schizzi d’acqua, sono allagato. La porta del frigo è aperta, ogni luce spenta, sciolti i congelati ormai mollicci. È la notte più bollente da secoli. Ora ricordo: strusciavo fragole su seni generosi mordicchiando freschi capezzoli turgidi. Cazzo i frigoriferi sono il problema! Quante tonnellate di cibo si perdono senza energia? È una buona idea per un articolo, venti euro fanno sempre comodo, entropia. Vado in bagno e non c’è acqua, senza corrente le pompe si fermano. Mi stendo ancora con sulla faccia l’asciugamano impregnato dell’acqua che ho raccolto dal pavimento, era ghiaccio e sa di pesce che inizia a puzzare. Questa vita è una merda. Ricordo lei che nemmeno conosco e che forse potrebbe desiderarmi così come sono.

Dal buio l’alba tra i palazzi m’illumina di lei.

Penso al ventilatore come l’amore, frenato e senza energia non gira.

— ∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞ —

Sono passati oltre tre anni da questo racconto del nostro primo incontro, sono nella fredda e fastosa Milano e lavoro ancora al mio primo romanzo.

La pace in Europa è tornata, così come i russi a sperperare rubli per il mondo. Vuoi sapere cosa è successo dopo quella favolosa sera d’estate?

Per mesi tra noi chat sempre più intriganti. A Pasqua lei mi ha invitato a casa sua. Abbiamo verificato che il colpo di fulmine bidirezionale avesse basi solide nella fisica dei nostri corpi. Ti risparmio dettagli e scintille.

Torno a Napoli. A giugno mi chiama divertita. Ti ho trovato un lavoro pagato bene a tempo indeterminato, puoi svoltare mi dice. Dai molla tutto e vieni a vivere con me nel mio attico di via Alessandro Manzoni. La camera per gli ospiti è tua, non farti problemi, se ti stufi di me o io di te, risolviamo. Sei sbruffone e brigante, una perla verace che voglio tutta per me. Proprio così mi ha detto, e lo diceva ridendo, sicura che io l’avrei mandata affanculo. Invece Maria non sapeva, da gennaio non pagavo più l’affitto, moroso con tutti. Adesso adoro anche la suocera che sta in Austria, l’ho conosciuta al Caffè Sacher di Innsbruck, lavora nel palazzo imperiale, la residenza estiva di Maria Teresa d’Asburgo che tra l’altro nel Settecento fece sbocciare il Teatro alla Scala, oggi a due passi da noi.

Barocca e gotica, punte e curve, a tratti regale, con Maria la vita è viva, teatrale e noi insieme un copione d’autore.

Il campanello all’ingresso suona frenetico. È lei, finalmente tornata da me. Entra e la sua voce in festa mi sballa: «Pinuccio sei presentabile? Anastasia ha portato i biscotti prjaniki, passa il Natale con noi, tira fuori il limoncello e gli struffoli di mammà…»

Oh Gesù, Giusepp e Maria, pregate stanotte per l’anima mia.

—– ∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞ —–

Con questo racconto ho partecipato al concorso I racconti dell’Avvento 2022 organizzato dall’Associazione Culturale Libri e Recensioni.com

Ecco l’esito del concorso: https://www.librierecensioni.it/concorsi/2022classifica-concorso.html – a questo link si possono scaricare gratuitamente tutti racconti che hanno partecipato. Alcuni sono molto belli e su tutti oltre a Il quattro al posto del sette del vincitore Alfredo Ricciardi, il mio preferito è Io, sulla panchina di Paolo Moretto.

Con il senno di poi… continuo a pensare al mio Pinuccio che mangerà il panettone a Milano nel 2025 insieme alla sua amata e alla bella russa, tornata ospite gradita.

Ecco la stessa storia con 18.000 battute invece che 10.000, presentato in un altro concorso: è una storia nata da un pensiero di quel tale che dice: “Chiamatemi Ismaele“, in quel romanzo del 1851 intitolato Moby Dick, scritto da Herman Melville.

Lo so, ne sono cosciente: non può una citazione rendere degno un racconto. Però una citazione può sciogliere un cuore distratto e far nascere un grande amore. E così immaginare la pace riempie di bello un presente di merda. Intanto preghiamo…

—– ∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞ —–

MarTe – 24 dicembre 2025

L’attesa è uno strazio. Nel breve termine un malessere superabile ma a lungo andare è atroce agonia. Basta! Smetto di resistere. La lama nella mia mano non aspettava altro, entra e taglia. Una per ogni ora, mi dico, è una vendetta necessaria.

Lei ancora non torna, capirà.

Tentatrice, brilla nel soffice groviglio. Qui e là come punti di luce l’uvetta passa mi fissa e m’attrae, luminosa dal calore che profuma l’aria di canditi colorati, qui e là incastrati come gemme grezze nella pasta cavernosa di pane dolce.

Non resisto: al tepore del camino nero marquinia, una seconda e poi una terza fetta di pura delizia, un reato di lesa maestà, reiterato, un peccato senza vergogna.

Gusto ormai senza più fame, con lo sfregio lussurioso di una promessa ormai delusa. S’incazzerà ma poi faremo pace. Non conosco vendetta più dolce per questa assurda attesa. Ingordo e avvinto, mi abbandono alla libidine del palato mentre la crema al limoncello osanna l’astuzia artigianale di quel diavolo di pasticciere amalfitano.

Non sono mai ore consuete quelle passate aspettando Natale.

L’attesa della mia donna m’affligge.

Io sono a Milano, tormentato, forse solo impaziente. Nervoso, molto nervoso: l’attesa mi snerva. Mi serve ordine e disciplina. Vivrei di scrittura se potessi, ma questo che te lo dico a fare? È un luogo tanto comune da sembrare uno schiaffo alla banalità. Niente musica né TV. Solo nel silenzio sento distinta la mia voce. Ricerco. Rivedo e catalogo vecchi racconti nel PC mentre aspetto Maria Teresa. È da una amica a pezzi che nella videochiamata piangeva come una disperata, la mia marziana è corsa da lei.

“E non osare mangiare il panettone senza di me” ha urlato col suo minaccioso accento tedesco e gli anfibi lucenti calzati di corsa, stonati sotto il lungo cappotto candido come la neve.

Queste amiche che cadono a pezzi la Vigilia di Natale mi hanno rotto i coglioni ma che posso farci? MarTe è così, ti ripara l’anima, scova lacerazioni, sensi di colpa, incrostazioni che fanno male, cura concrezioni di tormenti, avvince il meglio che hai dentro, incolla i pezzi sospesi e ti rimette in moto. Da e toglie a suo piacimento, sa essere crudele come nessuno, io l’adoro: la sua assenza mi ferma il respiro.

Devi sapere che Maria Teresa parla cinque lingue e lavora per una multinazionale che pubblica a milioni pagine patinate con gente stupenda stampata sopra, insomma moda, trucchi e profumi, essenze d’effimero, meraviglie superflue, droghe di bellezza. Quando le dico queste cose si incazza di brutto. È una manager della cosmesi, crea bisogni con il richiamo ancestrale alla perfezione di corpi e volti magnifici: manipola immagini e parole, raffina illusioni, estrae luce da nebbie di lacca. Lavora su foto e parole, la sua è magia editoriale. La pagano bene.

Cosmetica la strega, sei da bruciare viva sul rogo in piazza Duomo, questo le dico quando litighiamo, e lei mi avvampa e mi spegne chiamandomi misero pezzente. Iniziano grugniti e silenzi, sberleffi e ripicche infantili. Poi dalla discussione violenta morta nella cenere del silenzio, al primo contatto della pelle ripartono coccole e carezze. E così la morsa della passione ci avvolge fino a sfinirci, fino all’ultima goccia di adrenalina assaporata come un nettare divino di sfrenato piacere, il cuore a mille, la carne avvinghiata che vibra, il punto di non ritorno desiderato e messo in attesa di lei, di me, di noi, fino al grande salto nel mare calmo della pace dei sensi, della carne, della mente, dell’anima che torna a dividersi estasiata.

Magari porta a casa l’amica, quella devastata dalla solitudine, la russa abbandonata in albergo da un riccone sposato e traditore. L’aiutiamo a superare la crisi sparandoci l’un l’altra una notte di carezze a tre, coccole e carezze come adolescenti affamati di conoscenza. Una santa e benedetta notte di Natale, sarebbe.

Ho visto le bozze della campagna pubblicitaria che sarà lanciata su uno dei prossimi numeri di Vogue, la modella devastata dal tormento è una patanona stratosferica.   

Vedi peccato nell’immaginarsi? Io qualche volta sento vergognose eccitazioni. È un viaggio mentale sucido, l’erezione. Potrei scrivere senza fantasia ma sarebbe solo sudiciume. Comunque Maria Teresa non lo farebbe mai, un triangolo intendo. La mia tirolese trapiantata in questa metropoli senza confini, mi evira il gioiello, altro che.

MarTe è gelosa. Ma che dico, gelosissima.

“Se mi gira ti faccio eunuco di compagnia” e quando me lo dice non so mai se scherza o fa sul serio. È per questo che il romanzo su cui lavoro da tre anni non le piace, è gelosa dei miei personaggi donna, e non ti dico del rapporto con il mio editor, donna anche lei per volontà imposta dall’editore. Dice, l’editore, che sono troppo uomo per scrivere di donne e ancora non ho capito se in tutta questa strana storia il vero geloso sia lui.

Ma come fai a desiderare chi non ti desidera?

Questo romanzo finirà nella spazzatura, l’intreccio non funziona. Non hai idea di quanto ne ridiamo insieme io e Maria Teresa, lei i pezzi me li fa brillare, quelli dell’anima dico, e dai concentrati ti prego: provo a desiderare negli occhi di te che leggi, tracce di libidine, bagliori d’interesse tra le ciglia che si chiudono in segno di noia.

Come faccio a fermare le tue mani dal buttare via queste pagine?

Superstizione? Una macumba, un saggio sulla cura inguinale dei linfonodi?

Un manuale per la felicità. Sai che palle.

Chiedi come ho conosciuta la mia donna? Beh, nella confusione digitale del mio passato ho trovato un raccontino che fa al caso nostro.

Era una notte buia e tempestosa… No dai, scherzo. Dammi una chance.

— ∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞ —

D’estate quando al buio le stelle brillano, cuori solitari attendono storie, sospese in pensieri repressi, storie trattenute, stracciate da parole non dette.

Un cuore a riposo batte tranquillo, non sa che all’improvviso può impazzire.

«Pino ma che fai? Te ne vai? Ci lasci proprio sul più bello?»

Chiamato in causa mi guardo intorno con la paura di lasciare in giro qualche traccia di me, prima di sparire come ha fatto qualche ora fa, quella palla di sole arancione all’orizzonte.

Nell’aria i profumi del Cilento, intorno a noi la spiaggia tra il mare che sussurra e la pineta muta, e al centro un magico falò con nuove amiche arrivate nel pomeriggio alla ricerca di affinità elettive. Illuminare la notte d’allegria, inebriarci di ricordi e storie esagerate fino all’alba, questo è il programma.

«Lo so, è un peccato ma devo andare…» dico mentre la rossa mi guarda perplessa.

 «Un fulmine ha colpito una fabbrica a Cuba e una nube tossica arriva all’Avana. Devo scrivere un pezzo per la TV, andiamo in onda domani mattina…» dico per dire amen alla sequela di scuse lamentose per stoppare il fatevi i cazzi vostri che mi passa per la mente. Non voglio andarmene ma devo. Domani è lunedì, uno di quei giorni che vorresti cancellare dal calendario. Lascio gli amici a divertirsi: una grande stronzata.

Ogni agosto tornano a nutrire le nostre antiche radici abbarbicate nella roccia selvaggia che ci abbraccia tutt’intorno da Sapri a Paestum. Amici d’infanzia, compagni inseparabili nell’adolescenza più cruda, a correre appresso a sogni di cuoio di un pallone amaro, ad ammazzarci su campi polverosi, privati dell’erba dei campioni, nel fango d’inverno e su ciottoli di pietre taglienti in primavera. Migrati al nord li canzono ogni volta: lavoro grigio, contributi, malattia e ferie pagate. A volte li offendo con rabbia per aver svenduto la libertà ad un cartellino da timbrare, piegati al controllo, ad una vita regolare da subordinati al nord. Ogni agosto ritornano e si vendicano. È finita che loro fanno i signori in vacanza e io lo schiavo a ore in una TV locale di Napoli.

Dodici mesi all’anno senza tredicesima, ad ore senza ferie pagate, e nemmeno un cartellino da timbrare, perché quello è la prova di un lavoro dipendente mica il gadget di un professionista a partita iva. Il tempo indeterminato è diventato il mio: indeterminato il reddito, indeterminato l’orario dell’impegno e del riposo, indeterminato il ritmo, stonate le voci che mi accompagnano, nessuna melodia, questa è la verità.

Il perdente sono io, però sono libero, sì libero ma di che?

Fluido e flessibile, riproduco precarietà, cannibale di me stesso, mi consumo.

In questa favolosa sera d’estate, se i miei amici sapessero del mio tormento mi legherebbero ad un albero. Mi vogliono bene, questo lo so. Bendato mi farebbero strusciare le parti intime e baciare sulla bocca dalle ragazze, è un gioco atroce: il malcapitato resta legato finché non riconosce chi lo tocca. È una variante etero dello schiaffo del soldato, ha sempre funzionato estate dopo estate nel determinare una comitiva vincente: la serata si infiamma quando è una delle ragazze ad offrirsi volontaria. È dalla sudata maturità al “Leonardo da Vinci” che perfezioniamo la nostra strategia di conquista con uno scenario di battaglia ormai definitivo: la foce del Mingardo. So cosa mi perdo, e se i miei amici sapessero del mio tormento, salterebbero ogni tattica programmata e mi legherebbero subito mani e piedi per trattenermi tutta la notte. Mi vogliono bene e io a loro ne voglio più che a me.

Fuggendo dall’allegra comitiva un barlume di dignità mi nasconde: mostro orgoglioso il dovere che mi chiama. Devo andare. Guardo la rossa con gli occhiali da intellettuale come un cane bastonato. L’ho delusa, si chiama Maria Teresa, so poco o niente di lei. Mi osserva intristita mentre raccolgo lo zaino di corda posato nella sabbia dove finiscono i sassi.

Genny ridacchia: «Dai Pino, non fare questa figura di merda, le belle nordiche penseranno che…» un ghigno d’invidia mi sfregia la bocca e lo prendo a calci. A lui piace scegliere per primo la ragazza più carina per dormirci insieme il giorno dopo. È fatto così, è un leader, in fabbrica fa il sindacalista, si prende sempre il meglio per sé e per la sua squadra, è rappresentante e rappresentativo della deindustralizzazione che vince in questo paese.

Gennaro ride e strilla mentre subisce senza reagire:

«Sfigato, freelance e meridionale. Vai Giusè, vattenne e puortete a’pucundria cu te

Adesso ridono tutti, tranne lei che mi fa un occhiolino e mi manda un bacetto nell’aria. Per la verità nemmeno mi attraeva, chiusa, appartata, estranea alla baldoria della comitiva che giocava come adolescenti negli schizzi cristallini dell’Arco Naturale. Questo prima, poi intorno al fuoco, con la pizza, le birre e la chitarra, proprio quando i racconti delle nostre vite si aprivano alle curiosità più sfrenate, lei con una frase tagliente come una sciabola, mi aveva aperto in due e nel petto piantato un seme sconosciuto…

Molte ore dopo sono a casa e sento il desiderio di lei che mi cresce dentro, germoglia. Ripenso a lei e a come mi ha incantato, selvatica e selvaggia, con una battuta geniale e feroce, una mazzata tra capo e collo di un buffone smascherato nel fragore di una risata generale. L’ho delusa? Forse le sarebbe piaciuto venire via con me. Invece sono sparito come un pirla.

Dopo il tramonto, ormai al buio, raccontavo i miei sogni letterari, avventure di un’esistenza da romanzare, e avevo finito per dire che: “solo un robusto principio morale può impedirmi di uscire deciso per strada e mettermi metodicamente a gettare in terra il cappello alla gente, allora mi rendo conto che è tempo di mettermi in mare al più presto”.Quando succede mi imbarco su una nave e riparto per terre straniere, avevo aggiunto. Nel mentre, compiaciuto della mia recita, con l’indice proteso alle luci di grosse barche a vela ancorate nella baia, in lontananza indicavo la vastità del Mediterraneo.

L’unica a non guardare era lei. Adagiata su pietre marine levigate dai millenni, mi fissava mentre dalla fronte alla bocca carnosa, una ciocca rossa ribelle le spaccava il viso di porcellana bianca.

“Attento a non finire come un pinocchio a cercare di uscire dal culo di una balena!”

La perfida luna piena, i riflessi ramati sul volto e quelle parole assassine mi avevano stregato: nessuno dei presenti aveva capito niente, solo lei.

Adesso questo dannato ventilatore in faccia che gira a stento me ne guasta il ricordo. Tre ore di auto proletaria per tornare in questo schifo di monolocale striminzito senza aria condizionata e seicento euro al mese di affitto più spese.

Devo consegnare tre cartelle ed è la notte più calda del secolo. È un’occasione unica anche se per la verità non è la prima volta che mi chiedono con urgenza un pezzo, è un extra che mi fa comodo, mi usano come tappabuchi, lo so bene. Tra poco devo essere presente in studio, mi pagano come attrezzista a ore mica come giornalista a cartella. Poi aiuto tutti, sono un jolly, un lavoratore quando serve, aiuto elettricista, aiuto cameraman, aiuto regia, aiuto tecnico delle luci o del suono, aiuto archivista e una volta mi hanno messo anche una pezza e una scopa in mano che piangevo miseria: quelli della produzione mossi a pietà per la mia condizione mi offrivano un ruolo scoperto, a ore ovvio mica a tempo indeterminato. Nemmeno pubblicista sono diventato. Tendo ad evadere ogni formalità, sono io il colpevole, un criminale, nessuno mi costringe, e se mi faccio male, anche quella colpa è mia. È un mondo competitivo quello dello show business lo comprendo, tuttavia, onestamente, a dirla tutta la verità, essere un bravo jolly mi conviene. Con quello che costano come potrei mai permettermi concerti allo stadio o al San Carlo, e le commedie? Trianon, Mercadante, Ridotto, Augusteo, Bellini, Sannazzaro, tappo buchi finanche nel teatro di Eduardo, il San Ferdinando. È una nave che naviga e io mi sento utile, tappo buchi.

Sto delirando, il caldo. È la notte più afosa del secolo per chi respira aria incondizionata in città, immobile, inquinata di squallore, in un ritaglio di mansarda dei quartieri spagnoli a due passi dal palazzo reale di piazza Plebiscito.

Sfarzo e povertà abbracciati come gemelli siamesi arresi all’indecenza del progresso.

Il ventilatore gira, ma è usurato, fa uno strano rumore, gira piano. La potenza solo un ricordo. Fragola. Penso al mio ghiacciolo preferito, confezione da sei per un euro e novantanove. Sulla strada del ritorno da Palinuro ne ho preso due scatole in un discount.

Il ventilatore grippa e si ferma. Io no. Scavo nel cassetto dei miracoli, ne trovo uno mini, cinese, sembra una margherita. Lo collego alla USB del PC, e torno a picchiare sui tasti. Tra un pensiero e l’altro la posta elettronica, rispondo, apro i social, urca mi affogano di messaggi e che palle…

All’improvviso il delirio. Allarmi impazziti scattano ovunque. Il suono delle sirene degli antifurti è allucinante, come un trapano mi devasta il cervello.

Il popolo non rispetta il sacrificio chiesto dal governo, quello di risparmiare energia perché siamo in guerra. Blackout totale. Alla finestra mostro il dito medio agli italiani che hanno scelto il condizionatore. Spreco, cripto valute, bagordi e luminarie?

Ben vi sta!

I ponti radio dei gestori telefonici reggono, hanno i generatori diesel, quelli sono furbi, il traffico dei dati nell’etere non si ferma, ogni giga è moneta contante.

Ho un altro computer, il portatile per le emergenze che lascio sempre a casa, e quindi non mi fermo. La corrente elettrica non torna, la batteria svuotata dal ventilatore USB si esaurisce troppo presto. Stanco mi stendo un po’ e un po’ riposo.

Vampire nere sono entrate dalla finestra. Prendo la racchetta ammazza zanzare e mi preparo al massacro elettrico, premo il pulsante, niente, scarica anche quella.

Non so come ma dormo tre ore. La corrente non è tornata. La crisi sembra più seria del solito. Niente TV, niente PC e cellulare morto. Stanco di tutto dormo ancora.

Mi sveglio tutto bagnato di sudore peggio di prima, potevo vedere sorgere il sole con Maria Teresa abbracciata a me, pirla che sono. Metto i piedi per terra e sul letto saltano schizzi d’acqua, sono allagato. La porta del frigo è aperta, ogni luce spenta, sciolti i congelati ormai mollicci. È la notte più bollente da secoli. Avrò mangiato un ghiacciolo nel sonno. Ora ricordo: strusciavo fragole su seni generosi mordicchiando freschi capezzoli turgidi. Cazzo i frigoriferi sono il problema! Quante tonnellate di cibo si perdono senza energia? È una buona idea per un articolo, venti euro fanno sempre comodo, entropia. Vado in bagno e non c’è acqua, senza corrente le pompe si fermano. Mi stendo ancora con sulla faccia l’asciugamano impregnato dell’acqua che ho raccolto dal pavimento, era ghiaccio e sa di pesce che inizia a puzzare. Questa vita è una merda. Ricordo lei che nemmeno conosco e che forse potrebbe desiderarmi così come sono. Dal buio l’alba tra i palazzi m’illumina di lei.

Il serbatoio della vecchia Panda è vuoto. Dove vado?

Penso al ventilatore come l’amore, frenato e senza energia non gira…

— ∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞ —

Sono passati tre anni da quella notte, nel tempo libero lavoro ancora al mio primo romanzo che a Maria Teresa non piace. Però mi aiuta lo stesso, sapessi quante discussioni e quante risate. Sarà una bomba. È stata lei a trovarmi un editore che, devo dire la verità, sta investendo molto su di me anche se rompe in continuazione le palle, mi ha anche cambiato tre editor per farmi contento, il debito che ha con Maria Teresa deve essere enorme.

La pace in Europa è tornata, così come i russi a sperperare rubli per il mondo.

Vuoi sapere cosa è successo dopo quella favolosa notte d’estate?

Per mesi tra noi chat sempre più intriganti. A Pasqua mi ha invitato a casa sua. Abbiamo verificato che il colpo di fulmine bidirezionale avesse basi solide nella fisica dei nostri corpi. Ti risparmio dettagli e scintille. Torno a Napoli. A giugno mi chiama divertita. Ti ho trovato un lavoro pagato bene a tempo indeterminato, puoi svoltare mi dice. Il settore comunicazione di una multinazionale del farmaco ha bisogno di uno come te. Dai molla tutto e vieni a vivere con me nell’attico di via Alessandro Manzoni. La camera per gli ospiti è tua, non farti problemi, se ti stufi di me o io di te, risolviamo.

“Sei sbruffone e brigante, una perla verace che voglio tutta per me.”

Proprio così mi ha detto, e lo diceva ridendo, sicura che io l’avrei mandata affanculo. Invece l’ho freddata, Maria non sapeva, da gennaio non pagavo più l’affitto, debiti con tutti risparmiavo anche il caffè. La vecchia Panda l’ho data al primo che si è pagato il passaggio di proprietà. Stringevo la cinghia, vendevo il vendibile, regalavo il regalabile, scappavo dai creditori, moroso e latitante. Il piano era perfetto. Lei non sapeva, ero già pazzo di lei.

Adesso sono tre anni che stiamo insieme e del pacchetto adoro anche la suocera che vive in Austria, ci siamo conosciuti in un incontro spacciato per casuale al Caffè Sacher di Innsbruck. Anna lavora nel palazzo imperiale, la residenza estiva di Maria Teresa d’Asburgo, una donna terribile che tra l’altro nel Settecento fece sbocciare il Teatro alla Scala, oggi a due passi da dove viviamo io e MarTe. Anna, mia suocera, pare sia erede di sangue blu, lei ci tiene molto e dice che ha le prove, pare sia discendente di una dama al servizio di uno dei figli dell’imperatrice. L’adoro anche per il fatto che vuole convincere la figlia a sposarmi, dice che non l’ha mai vista così felice. MarTe temporeggia. Aspetta il mio primo romanzo.

Cosa dire, con Maria Teresa ogni momento è un’avventura, attimi di spine e petali di rosa, barocca e gotica, a punte e curve, con sterzate contro mano e ripartenze furiose, a tratti regale, è una vita viva, teatrale e noi insieme un copione d’autore.

Il campanello suona frenetico. Rumore di chiavi e la porta che si apre.

È finalmente tornata da me.

Una folata gelida entra con lei. Dall’ingresso la sua voce in festa mi sballa:

«Pinuccio sei presentabile? Anastasia ha portato i biscotti prjaniki, passa il Natale con noi, tira fuori il limoncello e gli struffoli di mammà…»

Oh Gesù, Giusepp, Sant’Anna e Maria, pregate stanotte per l’anima mia!

————————————- ∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞ ————————————-

Chi è arrivato fino a questo punto merita un premio: in questo racconto c’è un’altra grande citazione: … “nebbie di lacca”.

nebbie di lacca

“Insomma, Wallace o piace troppo o non piace per nulla”

Caro Diario, se non lo scrivo a te finirò per dimenticare. Marx fosse vissuto oggi si sarebbe divertito un mondo a trovare nel suo smartphone geolocalizzato, ovviamente Apple, con misurazione di pressione e battito cardiaco al tocco dell’impronta teutonica del pollicione, trovare tra le mappe in tempo reale dei flussi d’informazione dalle varie guerre sul terreno, tra un video Tik-Tok e un’offerta Amazon, dai mille satelliti che abbracciano il mondo, trovare dicevo, tracce della sua caduta tendenziale del saggio di profitto sulle onde impetuose del debito globale di una Terra divisa in famiglie, governi, imprese e società finanziarie. Impero multinazionale allora era già passato.

Un lavoraccio da risolvere con la matematica quantistica che all’epoca di Marx non c’era. Ecco il tempo reale, il momento che fugge, l’istante che divora il tempo lavoro come un boccone ingurgitato in una frazione di secondo per non tardare l’appuntamento con la diretta, ebbene sì uno scintillante scontro dialettico su David Foster Wallace che “o piace troppo o non piace per nulla”.

POST di Gian Paolo Serino

POST di Angelo Cennamo

Sono a metà di Infinite Jest e mo’ che faccio? Ovviamente arrivare fino in fondo e leggere il resto della sua enorme produzione; tra qualche anno dovrò pure dimostrare che chi non ha mai giocato a tennis, borghese o proletario fa lo stesso, non può sapere la differenza tra rimettere una palla in campo e sfidare la geometria del campo osando un punto vincente, un colpo imprendibile cui l’avversario può solo inchinare la testa e applaudire in segno d’ammirazione.

Meravigliosa partita dialettica, tutt’altro che materialista, anzi pura essenza di gusto soggettivo radicato nelle conoscenze personali. Sì, mirabile scontro tra personalità elitarie che rendono degno il genere umano. Sì, perché è possibile che domani mattina META fallisce, muore Facebook e questa partita per me memorabile tra Gian Paolo e Angelo sparisce dalla mia memoria, come un singhiozzo strozzato in gola.

Cosa c’entra Marx? Marx c’entra sempre: chi lo studia vince! Sembra assurdo nel XXI secolo, eppure è così, a massimizzare il pluslavoro regalato al capitalismo è il lavoratore stesso capace di lavorare a perdere, a consumarsi fino all’indecenza, fino a morire. Perché? Ringrazio Giorgio per il suo “telegram”, e beh, ha citato un grande scrittore con un passo di cui non avevo più memoria:

“Dove c’è lavoro per uno, accorrono in cento. Se quell’uno guadagna trenta cents, io mi contento di venticinque. Se quello ne prende venticinque, io lo faccio per venti. No, prendete me, io ho fame, posso farlo per quindici. Io ho bambini, ho i bambini che han fame! io lavoro per niente; per il solo mantenimento. Li vedeste, i miei bambini! Pustole in tutto il corpo, deboli che non stanno in piedi. Mi lasciate portar via un po’ di frutta, di quella a terra, abbattuta dal vento, e mi date un po’ di carne per fare il brodo ai miei bambini, e io non chiedo altro. E questo, per taluno, è un bene, perché fa calar le paghe mantenendo invariati i prezzi. I grandi proprietari giubilano, e fanno stampare altre migliaia di prospettini di propaganda per attirare altre ondate di straccioni. E le paghe continuano a calare, e i prezzi restano invariati. Così tra poco riavremo finalmente la schiavitù”. – John Steinbeck – Furore – 1939

NOIR IN ABITO DA SERA

11 racconti noir a cura di Dario Brunetti, 2022 Damster Edizioni

Sul viso poco trucco.

– La conosci?

– Chi?

– La rossa.

Undici donne insieme, undici come in una squadra di calcio, non per competere ma unite a sgretolare il muro dell’indifferenza, a colpi di penna con scritture che devastano, sì, perché questi undici racconti noir, eleganti e raffinati, viscerali, alcuni stupefacenti, mozzano il fiato per quanto sono potenti. Si dirà che sono il genere letterario e i temi trattati a catturare l’attenzione: è vero ma solo in parte perché da soli non spiegano la bellezza corale di questa raccolta. L’insieme delle protagoniste riempie uno spazio rappresentativo dell’universo donna dentro storie di tormento, cioè in quella dimensione esplosiva della ragione sottomessa alla passione. Nella decisa differenza di stile di ogni autrice trionfa la policromia di scritture che rendono visioni di donna diverse e magnetiche come luce tra le facce di uno stesso diamante. Chicca, Francesca, Giada, Letizia, Lorena, Luana, Marzia, Mimma, Paola, Piera e Serena, raccontano sconfitte e vittorie, vendette e rivincite, la forza e la bellezza della donna. Sono undici scrittrici unite contro la violenza sulle donne con un atto concreto a sostenere un’associazione come SOS DONNA. Questa raccolta merita la lettura perché i racconti sono belli, con delle eccellenze da brividi tutte da scoprire e, merita l’acquisto, perché è un gesto pragmatico di solidarietà alle donne che hanno bisogno di essere liberate dall’orco che le distrugge prima che sia troppo tardi.

Francesca Bertuzzi con “Lenta cottura”

Piera Carlomagno con “Argia”

Mimma Leone con “L’assistente”

Lorena Lusetti con “Ossessione mortale”

Chicca Maralfa con “La suora e il talebano”

Marzia Musneci con “Pietre e polvere”

Giada Trebeschi con “La mano di corso Oporto”

Luana Troncanetti con “L’ora del thè”

Paola Varelli con “La festa del sole”

Serena Venditto con “Fiori d’arancio”

Letizia Vicidomini con “Seta blu”

“In piedi davanti a una donna” dal CHISCIOTTE di Il Teatro di Ipazia

In piedi,
in piedi, signori, davanti a una donna,
per tutte le violenze consumate su di lei,
per le umiliazioni che ha subito,
per quel suo corpo che avete sfruttato
per l’intelligenza che avete calpestato
per l’ignoranza in cui l’avete tenuta
per quella bocca che le avete tappato
per la sua libertà che le avete negato
per le ali che le avete tarpato
per tutto questo
in piedi, Signori, in piedi davanti a una Donna.
E se ancora non vi bastasse,
alzatevi in piedi ogni volta che lei vi guarda l’anima
perché lei la sa vedere
perché lei sa farla cantare.
In piedi, sempre in piedi,
quando lei entra nella stanza e tutto risuona d’amore
quando lei vi accarezza una lacrima,
come se foste suo figlio!
Quando se ne sta zitta
nasconde nel suo dolore
la sua voglia terribile di volare.
Non cercate di consolarla
quando tutto crolla attorno a lei.
No, basta soltanto che vi sediate accanto a lei,
e che aspettiate che il suo cuore plachi il battito
che il mondo torni tranquillo a girare
e allora vedrete che sarà lei la prima
ad allungarvi una mano e ad alzarvi da terra,
innalzandovi verso il cielo
verso quel cielo immenso
a cui appartiene la sua anima
e dal quale voi non la strapperete mai
per questo in piedi
in piedi
davanti a una donna.

dallo spettacolo “Chisciotte”” da Miguel de Cervantes, andato in scena al Teatro Camploy di Verona il 7 e 8 Gennaio 2017, per la regia di William Jean Bertozzo. Con William Jean Bertozzo (Chisciotte) Paolo Bertagnoli (Sancho e chitarra) Con Nica Picciariello (Dulcinea) Flavio Malvezzi (Chitarra) Alessio Bellamoli (Tecnico Audio/Luci)

fonte: https://www.donnad.it/da-realizzare/racconti-di-donne/notizie-d/in-piedi-signori-davanti-a-una-donna-la-poesia-e-davvero

A SALERNO

PSICOLOGIA INSOLITA DI UNA CITTÀ SOSPESA

Corrado De Rosa, 2022 Giulio Perrone Editore

La verità è che la verità è realmente verità fino a quando non incontri un tifoso della Salernitana che nel tempo libero è psichiatra. Fino a quando nei “Ringraziamenti” a pag. 279 ti dice che il suo libro su Salerno è incompleto, parziale, fazioso, omissivo. Perché la sua, la mia, la nostra Salerno è “materia viva”, troppo piccola per essere metropoli e troppo grande per essere un paese, troppo antica per essere moderna e troppo avanti per essere vecchia. La verità quindi è che Salerno è sospesa in quanto galleggia come piena dimostrazione del principio di Archimede: quanto più è pesante, greve e criminale è la forza che la spinge in fondo, tanto forte, uguale e contraria, è la bellezza e la genialità che la tiene a galla nel mare millenario della sua storia.

Un lettore abbastanza ignorante come me non dovrebbe osare commentare un libro così tanto “intellettuale” ma sono un salernitano testimone egocentrico, mio malgrado, di quella “espressione di un’emotività profonda” come ci dipinge l’autore a pag. 84 con un tocco di elegante raffinatezza citando il poeta Gatto e subito dopo con una mazzata terribile tra capo e collo, definendo la nostra “cazzimma” differenziandola però, da quella napoletana. La clava dialettica con cui bastona e assolve e poi ci fa guerrieri, bisogna leggerla e sentirsela addosso come un’adulazione tenera quasi materna, forse carezza fraterna o meglio come una necessaria cinghiata paterna. A tratti la sua penna diventa un bisturi preciso che tocca senza tagliare, nervi che fanno schizzare le endorfine alle stelle, dipende dalla pagina o dal capitolo; a tratti il medico che ti scava dentro lo senti entrare nel cervello perché è bravo, ci ha studiato e ci conosce molto bene, psicosomatici felici di salernitanità.

Forse la ruvidità del salernitano sta proprio in questo suo trovarsi in mezzo, fra monti e mari. In quella che Gatto chiama “montuosità marina” della città. Che non è la rigidità del montanaro o l’uomo di mare che non si fida delle onde. È un approccio esistenziale ermetico. L’ermetismo è sintesi, è una poesia più complessa di quanto non possa apparire a un primo esame. Ma quella sintesi è anche l’espressione di un’emotività profonda.

La verità è che questo testo, fosse anche un solo e grande respiro, è un libro necessario e imprescindibile per chi ama o odia Salerno, è un tributo appassionato, anche cinico, anche dissacrante, autoironico e anche commovente, anche serio, molto divertente, irriverente, ovviamente devoto, brillante, sagace, pagano e religioso, struggente, onestamente provvisorio, malizioso e burlone… Insomma impreteribile!

Agli indifferenti di e per Salerno auguro una gramsciana vergogna perpetua come stigmate indelebile di dolore e sensi di colpa. Conoscere Salerno e i salernitani con questo testo diventa indispensabile per misurare la dimensione antropologica dell’appartenenza alla propria città. A proposito, quì si continua a costruire, in pochi mesi molti altri grattaceli stanno scalando il cielo nei pressi dello stadio e del porto d’Arechi, roba di lusso (perché a Salerno 15 piani hanno la stessa pretesa dei 100 dell’Empire State Building di New York) anche se all’anagrafe comunale pare che il numero di iscritti sia in continuo e drammatico calo: sono i misteri del complicato pensiero urbanistico che non riesce a trovare una sistemazione definitiva al Museo dello Sbarco noto come missione Avalanche che insieme allo Sbarco in Normandia, a detta di Ronald Reagan, sono le due operazioni che hanno fatto trionfare in Europa la democrazia occidentale, pag. 198.

La fine del 2022 le Luci d’Artista ci sono ma Salerno sarà ricordata anche per l’assenza dei pinguini sul lungomare, forse perché è in corso il cambiamento climatico o forse per colpa della guerra; io penso che l’amministrazione comunale abbia letto il capitolo La solitudine del pinguino a pag. 155, decidendo quindi di liberarli dalla prigionia sugli scogli di fronte al bar Nettuno.

Dovrei giustificare gli aggettivi, pare che non se ne debba abusare un po’ come lo zucchero per i diabetici, dico solo che ci sono pagine in A SALERNO di Corrado De Rosa, testimonianze d’amore, di sapienza e conoscenza, da Alfonso Gatto al Siberiano, che al solo pensiero di quanto letto, mi fanno desiderare le lacrime nella pioggia di Blade Runner, perché così sono le vere lacrime di ammirazione: febbre immortale.

stadio

Foto di Salvatore Fazzari

“Quindi, non avendo mai frequentato la curva da ultras, non avevo capito l’importanza del Siberiano.” L’ho capita quando è morto.
[…]
Una volta lo sentii rispondere alla domanda di un giornalista: «Che ne pensi di questa sconfitta?». Lui lo guardò di taglio, con gli occhi che gli avevano dato il soprannome: «Noi vinciamo anche quando perdiamo».
Non so cosa significasse quella risposta ma la trovai, la trovo tutt’ora, meravigliosa.”

Questa PSICOLOGIA INSOLITA DI UNA CITTA’ SOSPESA è un testo intriso di passioni e vertigini di una città, indecisa cronica, che hai i suoi tempi, senza fretta, vive e si trasforma, invidiata da chi non la abita, e noi non ne siamo mai contenti ma a lasciarla non se ne parla e se partiamo, al ritorno ci sembra ancora più bella.

Le pagine scorrono via che è un piacere. Dopo aver letto L’UOMO CHE DORME non avevo dubbi, sapevo di fare un buon affare: euro spesi bene, molto bene, veramente grazie Doc!

Piens? Ma a che piens? Io racconto così chi s’è visto s’è visto.

Sala Abbagnano

Io con l’Eduardo che lavora in una cartoleria di via Fieravecchia (pag.224) ci sono cresciuto, giocavamo a pallone nel nostro vicolo dall’alba al tramonto, abitavamo nello stesso palazzotto a Torrione, il quartiere sotto Torrione Alto che sta sotto Sala Abbagnano. Sotto, più sotto, under low profile: il destino dei semplici è godere al livello zero, quello del mare. Un ricordo struggente ci lega per sempre: io terzino e lui mediano di quelli eterni come Ringhio Gattuso, vincemmo insieme un torneo memorabile sul ruvido parcheggio di cemento della fabbrichetta abbandonata.

E chi se lo scorda il nostro KGT vittorioso là dove don Mario del circolo di via XX Settembre, organizzava tornei di pallone a Torrione, con porte “vere” di legno e reti di spago che venivano montate e smontate ad ogni partita. Anche dal centro storico partivano squadre che venivano a giocare a Torrione. Tornei veri, cattivi, fino all’ultimo sangue, quello che usciva a fiotti perché su quel campo ti stracciavi e le ferite bruciavano come ustioni di terzo grado. Che nostalgia pensare che all’epoca, in quella fabbrica D’Elia, dove profilavano il ferro a freddo producendo tubi e lamiere esportate in Russia, la Befana distribuiva giocattoli ai figli degli operai. In quella fabbrica lavorava il mio papà, fu poi abbandonata come già la vecchia Latteria sotto casa e il mostro sostituito dal Grand Hotel sul lungomare dei poveri come lo ha definito un De Silva, là dove prima la città non c’era, ma solo agrumeti e terra coltivata, raccontava papà.

Guidati da Adriano classe ’62, un numero 10 scuro e forte come Pelè, noi i ragazzi di Via Giovanni Andrea Aurofino, in finale battemmo il Real Torrione 6 a 1. Un risultato tennistico ai tempi in cui Adriano Panatta batteva Björn Borg, la TV era rigorosamente in bianco & nero e le dirette di Bisteccone Galeazzi dalla televisione ti facevano respirare la terra rossa del Foro Italico.

Poi, non tutti si possono vantare di avere una moglie del centro storico con un’esperienza infantile avuta con un perturbante” (pag. 203) come Spic & Span a via Fusandola alla fine degli anni ’70, quindi io commento, così chi s’è visto s’è visto perché, mancanze a parte (concittadini unici come Stellina, Lalla, Rocchino, Peppeniello a femminella, Cirillo e Jolly, etc…), questo libro è già una pietra miliare ai bordi della strada che mi porta a capire il senso di come stare al mondo e in modo particolare in questa bella e maledetta città: Salerno.

IL FIORE DI MINERVA

Romanzo di Carmine Mari, 2022 Marlin EDITORE

L’insostenibile desiderio alla disconnessione credo sia una delle mie personali risposte immunitarie che mi salveranno dall’affogare nella melma connettiva di questo XXI secolo, epoca tanto malata quanto ricca di bisogni antichi ma eterni.

La cura, o meglio la fuga dal virus nocivo della stressante frenesia moderna, è il romanzo, uno meraviglioso come IL FIORE DI MINERVA, per esempio.

Questa lettura è stata per me una violenta terapia d’urto, benefica e deliziosa, sorprendente nonostante quello che potevo aspettarmi dopo aver goduto dell maestria dell’autore nel romanzo precedente, Hotel d’Angleterre.

La scrittura minuziosa, erudita ma leggera, aulica ma a tratti travolgente nell’azione e, capace di emozionare, ne fanno un toccasana senza tempo, per ogni stagione, per ogni malanno dell’anima.

Romanzo storico? È una categoria forse troppo limitante per questa magnifica storia, che oltre ad essere l’ennesimo tributo ad una città troppo spesso sminuita e cannibale di sé stessa, ha il respiro della magia e della scienza umana che sperimenta e costruisce intrugli miracolosi. Con gli eventi, gli intrecci mirabolanti, e personaggi più vivi di quelli che ci circondano ogni giorno per strada, al lavoro, in TV e sui social, l’autore sembra essere diventato lui stesso la speziale che racconta, alla ricerca di quella verità superiore, distillata ad ogni fremito del pensiero, verità recondita ai desideri più materiali e tormentati dell’animo umano, quella verità madre di bellezza e amore, la verità che trionfa sulle miserie e le violenze dell’uomo, la verità che si fa giustizia umana, terrena.

Questo romanzo è una pozione magica, è un concentrato di ingredienti antichi ma eterni, sostanze che rendono significativa l’esistenza di ognuno. Questo romanzo, come dicevo è un toccasana, ma non è solo un prodotto definito, contiene la ricerca e la spiegazione, le domande e le risposte, più di una ricetta da provare, ha in sé la mirabile capacità di trascinare il lettore con coinvolgimento crescente al desiderio di distruggere il male dentro e fuori di sé. La denuncia della violenza sulle bambine e il conseguente obbligo alla prostituzione, allora come oggi, insieme alla sottomissione della donna all’uomo, sono aberranti e purtroppo fatti che ci fanno pensare a come il male si riproduca senza freni, secolo dopo secolo, a come quest’epoca sia ancora tanto medioevale, altro che moderna.

Devo dire che alle tante brutture raccontate, tanto indispensabili e vere come le ossa del nostro scheletro che ci sorregge, a trionfare sono l’immensità della poesia e la bellezza tutt’altro che esteriore che mi è permeata nel profondo, con tutta l’intensità della carne dei muscoli e dei nervi di cui siamo fatti.

IL FIORE DI MINERVA è viaggio nell’essenza umana tanto vasta quanto terribile, tanto intricata quanto meravigliosa, è una settimana del 1551, un attimo nella storia, un momento di conoscenza approfondita, senza confini di spazio e di tempo, fatto di brividi che scuotono, di carezze che ammaliano, di Héctor e di Costanza, personaggi eterni di passione, riscatto e sogno.

«Certe cose sfuggono, quando non si sa cosa cercare.»

«E ora lo sapete?»

«Sì.»

PRIGIONE

Cara amica mia ti scrivo perché non so parlarti. Quello che dico è altro da quello che vorrei farti sentire. Già è vero, sai ascoltare e mi conforti sempre: le tue parole sono panna sul mio cuore e vorrei per sempre nutrirmi di tanta dolcezza, vorrei allungare i nostri incontri, inchiodare il sole nel cielo affinché mai arrivasse il tramonto sulle nostre giornate passate insieme. Forse meno arduo fermare il tempo, e così l’estasi vibrante nei tuoi occhi diventare la ragione della mia vita.

Non è possibile invece, il silenzio tra noi è assurdo, fragoroso e rumoroso, devastante come la nube tossica di paure che mi paralizzano i pensieri. Non voglio perderti. Non posso perderti eppure sei come una goccia arida che scivola sul vetro di un grattacielo affollato, in allarme senza corrente elettrica di una sera, un esilio di tempesta.

Piove ma vorremmo scappare fuori a bagnarci e vivere, invece chiusi come zombi ammutoliti disperdiamo le nostre energie nello sguardo di una notte nera come la pece, che arriva sempre. Parliamo tanto fino a stordirci, di questo e di quello, di sacrifici e doveri, di progetti e fallimenti, di luoghi sconosciuti e di terre promesse.

Ci piace dissertare su verità e bellezza, di come trovare nel buio i colori delle emozioni ma niente di noi, di come mi trema la carne sotto la pelle immobile e controllata, vestita di niente, all’apparenza fredda e razionale. Così ti vedo ma non voglio perderti. Io non oso e nemmeno tu ne hai il coraggio, questo lo sento, forse l’immagino per sperare ancora, per godere del silenzio tra noi che ci tiene uniti.

È la prigione che vogliamo? Impazzire sarebbe evadere e correre mano nella mano, impazzire sarebbe perderti e non incontrarti più. Impazzire è pensarti lontana mentre perdo le tue parole sagge piene di accortezze gentili.

La tua voce è rovente e mi ascolti mentre non so dirti quello che vorrei.

Asserragliati nelle trincee del nostro ultimo scontro ci stiamo distruggendo.

Indisponibili alla resa lottiamo senza tregua, il silenzio che vince.

man holding his head while reading a letter
Photo by Ron Lach on Pexels.com

da un esercizio nel gruppo FB scrittori e scrittici emergenti – 2000 battute: #sese_20righe_silenzio

hands of a person with tattoo hanging from steel bars
Photo by RODNAE Productions on Pexels.com
lamp on deck behind bars
Photo by Ron Lach on Pexels.com
grey steel grill
Photo by Cameron Casey on Pexels.com

CASA

Dal 24 novembre in poi le abitudini cambiarono per tanta gente e per tanta altra gente no. Che ne sai della gente quando sei piccolo, abituato in una città piccola, al tuo vicolo piccolo, alla tua scuola piccola, ai tuoi amici piccoli anche loro. Invece tutto intorno vedi grande, il mare, la campagna e le montagne lontano, gli adulti, grandi anche loro. Che ne sai di quello che succede, quando all’improvviso il mondo cambia intorno a te e la normalità diventa un ricordo, un desiderio di quello che ti manca perché in fondo era un’abitudine che ti piaceva.

Il bagno nella vasca, le paparelle e le carezze di mammà. Il latte, i biscotti, la cartella arancione enorme e quasi vuota, piena di emozioni che raccontavi a papà che sera dopo sera ti insegnava a leggere perché ci teneva che suo figlio non finisse stracciato dalla fatica nei campi o nella fabbrica. Lo hai capito dopo come fosse già devastato dentro, dall’amianto e dalla vergogna.

L’inverno quello freddo ancora non c’era dalle mie parti. Tutto era normale come la guerra per strada tra clandestini e militari, come la culla di parole complicate diffuse dal velenoso tubo catodico della TV, e nel toccarla il friccicore sul ditino ti piaceva, non come la scottatura sul forno pieno di torta della nonna.

Che ne potevi sapere di quella moderna tangenziale in costruzione di fianco al grande ospedale di San Leonardo già finito ma ancora chiuso? La paura della morte e il terrore degli adulti li scopri all’improvviso nell’uragano di tormento che li fa impazzire e tu allora ti senti ancora più piccolo e ti accucci nel silenzio sul sedile sdrucito dell’auto, sotto la coperta.

Tornando dal paese dopo la raccolta delle olive, incontrammo tante case scassate, la nostra ancora in piedi per fortuna. Prendemmo poche cose e dalla notte del 24 novembre 1980 dormimmo nella Renault rossa, parcheggiati in fila indiana sulla superstrada, così la chiamava papà. Solo pochi giorni per fortuna, quella negata ai profughi senza casa dove tornare.

da un esercizio del gruppo FB SESE (scrittori e scrittrici emergenti)

city landscape people street
Photo by ahmet özcan on Pexels.com

Un viaggio nella Salerno degli anni ’90

EVENTI EMOZIONI RACCONTI di Alfonso Angrisani

Da dove inizio? Dai ricordi, dalla nostalgia, dalla cronaca storica, dalle foto o dalle visioni della memoria? Salerno cos’è? Salerno dov’era? Dove va? E tutti noi insieme e presi uno ad uno, cosa possiamo desiderarne oggi? E domani?

Inizio dalla prefazione e dalla premessa, ovviamente.

Urca, la prefazione di Pignataro è un innesco sopraffino. Stefano con la sociologia di Franco Ferrarotti ci spiega come si smarrisce l’origine e l’esistenza collettiva se perdiamo la memoria di quello che siamo stati: perché noi siamo quello che siamo stati. Ci avverte, io direi ci esorta, a farne tesoro, a custodire e tramandare, discuterne insomma, perché l’alternativa è ritrovarsi in scenari cupi se non drammatici.

La guerra, le discriminazioni, le povertà diffuse, l’arroganza del profitto se non le sue infami forme criminali, la volontà di potenza che ripropone la cancellazione culturale di storia e popoli, ne sono purtroppo la prova più evidente: l’oggi è drammatico ma l’ardore intellettuale di Stefano mi rincuora perché io ci credo molto a quello che scrive: “La generazione di oggi è la generazione più filmata e fotografata di sempre ed è un vantaggio incalcolabile.” Io aggiungo la più connessa e controllata, quella che se riuscirà a scrollarsi di dosso le visioni arcaiche del passato, il dominio dell’economia sulla politica, per esempio, potrà veramente aiutare la Terra a non sparire dal sistema solare ma a riprodurne l’umanità più serena, quella della condivisione, l’umanità più bella, quella artistica, l’umanità più giusta, quella senza fame né dolore.

La premessa dell’autore è una fotografia del “momento” politico e sociale degli anni ’90, italiano e mondiale, la magia della letteratura è questa: un pugno di parole riassumono un decennio e come un’immagine, un flash, ci restituisce l’attimo che dura anni, che segna le salite e le discese degli avvenimenti e degli uomini e delle donne che l’attraversavano, anonimi e spettacolari, storie diventate Storia. Quello che però voglio sottolineare è questo pugno di parole di Angrisani:

Alcuni giuristi auspicano una svolta federalista mentre gli ordini
professionali e le imprese chiedono una pubblica amministrazione più veloce più efficace e soprattutto meno burocrazia.
Si discute di una riforma della giustizia che punti alla separazione delle carriere con processi più celeri
.

Beh, trent’anni sono passati, oggi c’è l’ennesimo governo nuovo: avremmo bisogno di bagnarci nell’acqua pulita di un fiume che scorre, invece sembriamo nuotare sempre nello stesso stagno e quindi stagnare, ancora a desiderare, a pensare come bonificarci la palude che ci tocca abitare.

Questo volume, tra i tanti ha il pregio di fissare nella carta, anche virtuale come l’eternità in questo XXI secolo richiede, una parte di memoria della nostra Salerno, quella legata alla biografia dell’autore e alla sua generazione con il non scontato abbraccio delle generazioni di prima e di dopo. Ci sono simboli e pietre antiche, paesaggi e architettura, perché no, imprese commerciali, arti e artisti, comunicazione, desideri ed emozioni che costituiscono archetipi dell’esistenza umana e geografica di più generazioni. Un insieme illimitato di città, con chi è rimasto e con chi vi ritorna, con chi vi passa e ne racconta la memoria vissuta e tutta ancora da costruire. Nell’immaginarsi il futuro e pensare alle trasformazioni possibili, diventa necessario ritrovarsi in una memoria comune, questo è il viaggio storico proposto dall’autore, un racconto letterario per immagini, volti e luoghi della nostra città: Salerno.

Non voglio svelare niente, ogni lettore troverà le sue, ma una pagina mi ha emozionato moltissimo, sì, molto più di molto: l’altra faccia del Natale.

Mamma e nonna stanno lavando i piatti, papà nonno e gli altri componenti della tavola, parlando di sport e di politica. Zio Alfredo, mi invita a seguirlo per fare una piccola passeggiata almeno fino la stazione vuole digerire, ma soprattutto vuole indicarmi qualcosa.

Decido di accompagnarlo, fuori fa freddo, da lontano si sente qualche botto sparato in lontananza. Mio Zio adesso ha deciso di farmi vedere il vero Natale.
Con passo svelto arriviamo alla stazione di Salerno ed assisto ad una scena, che mi è rimasta impressa, cinque persone, senza fissa dimora, trascorreranno questa Santa notte, tra i cartoni, dormono uno accanto l’ altro, sono tutti uniti e compatti per dividersi i pericoli della notte e per superare il freddo.

Al bar Buco, che si trova nelle adiacenze dello scalo ferroviario, che sta per chiudere, troviamo Mosam un ambulante senegalese, amico di mio zio Alfredo il quale ci racconta con le lacrime agli occhi la tristezza, che vive questa notte, ci racconta che ha pianto tutta la giornata pensando ai cari in Africa, e che lui si trova in Italia per dare un sostentamento ed un futuro migliore alla sua famiglia.

Pensa alla madre, alle serate trascorse nel villaggio, quando era bambino, ai colori e sapori della sua bellissima Terra. Percorrendo la strada di ritorno ci fermiamo in preghiera alla chiesa Santa Maria ad Martyres, sul lungomare di Torrione, grande ed ancora vuota, le luci sono ancora spente e davanti al tabernacolo sentiamo quella carezza che viene da Dio, mentre torniamo a casa, sotto i portici del Vecchio mercato troviamo il Signor Vincenzo, che ci racconta di aver trascorso questo giorno da solo, ha riempito la giornata, bevendo una bottiglia di spumante, mangiando una fetta di panettone, il vuoto della solitudine, lo ha riempito, ascoltando una rubrica radiofonica dedicata alle persone che vivono da sole, ci chiede di pregare per lui, perché solo e depresso, e si sente un essere inutile.

Zio Alfredo, mi ha fatto vedere l’altra faccia del Natale

“Ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”.

Questa frase, resa celebre da Carlo Marx con la Critica del programma di Gotha, viene da tanti ragionamenti “elevati”, anche anarchici e ancora più indietro da speculazioni religiose, vedi gli Atti degli apostoli (cfr. At 4, 35), insomma il diavolo e l’acqua santa sono il mio tormento. Questo testo di Alfonso Angrisani, nel bene e nel male, nella buona e nella cattiva sorte, sarà motivo di discussione e desiderio di socialità trasversale, necessario, un onore e un privilegio per un agnostico come me.

Inserisco integralmente alcune pagine a me molto care nella loro immanenza nostalgica, è un abuso per cui Alfonso spero non mi porti a risponderne in tribunale

🙂

I lidi, Forte La Carnale e la chiesa Santa Maria ad Martyres, il mio diavolo e la mia acqua santa. La serie A di Delio Rossi, la politica di Salerno, e in ultimo ma non per ultimo, il tributo all’arte immensa della satira nel duo Ciro Girardi e Ivano Montano…

ACQUA

«Ascolta ragazzo, la tua storia è dolorosa, il posto non ti piace, capisco se non vorrai accettare questa sistemazione… Ma dimmi, cosa sai di me?»

«Non mi volevi, questo so!» Rabbia. Delusione.

Lentamente il vecchio avanza strisciando i piedi sul pavimento antico lastricato di lavoro e di storie dimenticate: «Non volevo la loro unione. Di te non sapevo niente, sono scappati da me…»

Mentre mette sul fuoco un tegame nero e un pentolino per l’orzo della colazione, la voce del nonno rimbomba nella cucina contadina, vuota di colori, abbandonata: «Non ho mai saputo niente di te…» Tre uova, un barattolo di zucchero e la bottiglia d’olio osservano la scena dei due che si guardano negli occhi mentre lacrime tristissime riflettono la vampa del legno d’ulivo che arde nel camino. Le mani protese del giovane afferrano il tepore che si diffonde nello stanzone gelido, freddo come la sala mortuaria dell’ospedale dove aveva salutato i corpi dilaniati dei suoi genitori. Il dolore straziante avvicina i due come puntini uniti da una chiazza nera d’inchiostro che macchia improvvisa la pagina bianca di parole tutte da scrivere.

 «Ascolta ragazzo mio, ci sono momenti che cambiano lo stato delle cose, guarda il vapore come galleggia nell’aria, portandosi appresso l’odore dell’orzo…»

«Che vuoi dire nonno?»

«La mia bambina non la volevo dividere con nessuno. Tua madre era troppo giovane ma non mi ero accorto come ormai fosse già unita a tuo padre, nel corpo e nello spirito. Li vedevo lavorare e giocare insieme: per me era troppo presto… Mi sono opposto e l’ho chiusa in casa. Avevo solo lei dopo la morte di tua nonna. Solo lei… Come d’estate è la temperatura a fare la differenza: l’acqua bolle e nelle bolle l’acqua è vapore che vola via. Così sono scappati come vapore, spariti. Ma come l’inverno gela l’aria, anche l’acqua si ferma e diventa ghiaccio: due atomi di idrogeno e uno di ossigeno sono uniti e sono acqua così è la loro unione, un matrimonio indissolubile, anche nella morte, un amore per sempre.»

dal mio esercizio/contest nel gruppo FB #sese20righe_matrimonio

human hand under pouring water
Photo by Farooq Khan on Pexels.com

La notte che ci viene incontro

Romanzo di Claudio Grattacaso, 2017 Manni editori

Ci risiamo, un altro grande romanzo, breve, intenso, appassionante. Dopo aver letto Hello, goodbye di Claudio Grattacaso non ho resistito, dovevo leggerne ancora, altro ancora, e così ho conosciuto Raffaele e la famiglia Cherubini che di questa storia sono l’essenza.

È proprio vero, i romanzi, quelli belli, scritti bene, non scadono, anzi, è a distanza di tempo che dimostrano la loro bontà. Un lustro non è tanto ma con la pandemia e la guerra in Ucraina di oggi che ci soffoca i pensieri, gli anni prima sembrano confusi e indistinti. Ciò che più mi è piaciuto in questa storia è l’introspezione pulsante del protagonista, e con la sua voce l’esplosione del fermento interiore promesso con l’incipit, il prologo, il fuoco.

Non posso né voglio svelare niente, quello che posso dire è che il racconto in prima persona diventa archetipico dell’umanità che ci circonda in tutte le sue forme più aberranti e stereotipate, quelle del potere come quelle delle vite sfibrate, deluse, lacerate. Chi non ha di questi momenti assurdi in cui la voglia più ovvia e convita è schizzare via all’improvviso, scappare, volare fuori, preferire il niente?

Bene, dal fuoco l’incendio, brucia di dolore e di passione questo romanzo, pagina dopo pagina, tocca le corde più oscure dell’animo umano e mi ha messo allo specchio, nella penombra di sentimenti contrastanti: inconfessabili come solo il dolore e la redenzione possono svelare.

Non è l’eroe e nemmeno l’antieroe, forse uso termini a sproposito ma Raffaele Apostolico, filosofo mancato, autista di fiducia, protagonista oscuro e luminoso allo stesso tempo, è uno straordinario affresco tridimensionale della società che viviamo in tutto il suo grigiore corrotto, granuloso, asfissiante e maledetto. Le corde di uno strumento scordato danno suoni fuori scala armonica e così il racconto prende per l’oggettiva crudezza e fastidio, depista la logica cui ognuno soccombe con il senno di poi ma che durante gli eventi ci mettono alla prova giorno dopo giorno, pagina dopo pagina. Se non l’hai letto non sai che ti perdi. Tra le parole anche una canzone mai sentita che parla delle solite cose.

INTERESSI

Mostra interesse. Interessato alla sua vita, ai sui desideri. Così si apre la porta, anche la più chiusa, quella blindata dal sospetto, serrata dalle delusioni, e poi mettici dentro un piede per fermare ogni resistenza alla tua volontà. Entra e sovverti il rapporto di forza con la diffidenza, trasforma le sue paure in un bisogno, l’esigenza che tu sei lì per soddisfare e allora vendi, devasta, vendi l’impossibile: il sogno. Poi con la tua penna preziosa la firma nel contratto sarà una formalità al tintinnio: un brindisi di nuova amicizia. Mostra interesse e porta a casa la commessa. Mostra interesse: quella bugia funziona, funziona sempre ma l’equilibrio è pericoloso come camminare su una corda tesa sull’abisso. Ho fatto palestra e fortuna vendendo armi ai ribelli; l’interesse negli occhi degli oppressi è una scintilla che accende rivoluzioni. Con l’interesse alle loro proteste ho aperto i cuori di gente che vibravano di passione. Quella settimana ho amato una donna bellissima, danzato con lei canti tribali e alla luce d’avorio di luna piena, succhiato l’anima da pelle nera lucente, alla mia guerrigliera affamata di sesso e di vittoria. Mi scrive ancora nostro figlio sopravvissuto alla strage, è in salvo in un collegio costoso nella capitale. È sopravvissuto alla guerra e a sua madre, guerriera nella giungla. Poi ho fatto tanti soldi vendendo armi al governo che ha massacrato i ribelli mostrando interesse per la ragione di stato, per l’ordine e il controllo come sottomissione al paese produttore di armi sporche del sangue di soldati bambini pieni di veleno. Ho portato a casa commesse milionarie mostrando interesse per la guerra, quella giusta dei vincitori. Mio figlio ancora non sa delle mie bugie e mi scrive ancora, ha la pelle mulatta di un amore corrotto dal sogno di libertà. Aspetto che si faccia grande e mi possa raggiungere nella mia villa lussuosa, aspetto che mi sgozzi con le sue mani innocenti per morire mai assolto da quella bugia raccontata a sua madre.  

dal mio esercizio/contest nel gruppo FB #sese20righe_bugia

ALBERTO

La solita vita. Grigia. Anonima. Necessaria. Né veloce né lenta ma costante. Programmata in un loop senza uscita, definita, codificata, censita e trascritta. Fino a quel giorno nessuno poteva immaginarsi altro perché nessuno sapeva.

Non vai in Svizzera per cambiare vita, ci vai per la tranquillità, per l’equidistanza dalle parti in conflitto. La sicurezza. La neutralità. Devi campare tu e la tua famiglia e di te, quell’impiego, grigio, anonimo, tranquillo, necessario, di te aveva bisogno.

Così Alberto fu assunto e per anni lavorò in quell’ufficio grigio. Rigoroso, preciso, puntuale, metodico, un impiegato modello, questo era Alberto e per questo piaceva al capo, e per questo fu assunto e vi lavorò per anni, nell’ombra e nella luce di una normalità quieta, una vita ordinaria, anonima, ma solo fino a quel momento quando tutto cambiò nei giorni delle rivoluzioni che agitavano i popoli della vecchia Europa.

Se l’innesco di un incendio può avere sempre una spiegazione, l’evento che ne consegue ha vastità che la ragione deve al divino, all’ignoto, alla definizione dell’imponderabile consistenza della materia che alimenta le fiamme.

Caso o volontà divina, quel giorno l’intuizione scosse la solita vita dell’impiegato, e non fu rabbia o collera, furono i colori rifratti nel muro di polvere illuminato dal sole che entrava da una vecchia finestra di quell’ufficio anonimo, ordinato e straboccante di idee e brevetti, fu l’immaginazione a cavalcare la luce, a vedere nella materia l’energia che muove l’universo, ad attraversare il muro del tempo dissolto con il paradosso dei fratelli gemelli secondo cui uno invecchia mentre l’altro che viaggia alla velocità della luce resta giovane.

Alberto ragionava come l’uomo sa fare con schemi del passato, ma tuttavia pensava fuori recinti razionali di gabbie scontate: forse è questo l’ovvio spazio infinito di una mente libera?

Una scintilla mette in moto una macchina, una scintilla innesca un incendio, l’intuizione quel giorno fu la scintilla che cambiò la storia del mondo, e così aggiunse a mano una nota al lavoro che nessuno conosceva: l’Energia è uguale alla massa per la velocità della luce al quadrato. E=mc2

dal mio esercizio/contest nel gruppo FB #sese20righe_intuizione

Intrigo a Ischia

di Piera Carlomagno, 2017 Centauria Milano

Una delizia. Lo devo scrivere: questo intrigo è un romanzo delizioso. Provo a spiegartene il perché? Beh sì mio caro Diario, altrimenti che autocoscienza saresti?

copertina

Le vicende umane che si intrecciano nella trama sono come cupole soffici di pan di spagna, hai presente la consistenza di un dolce strutturato? Una delizia lo è. Poi, dentro lo spazio esistenziale dei personaggi ci sono cuori farciti come in un mix di crema pasticcera, e di agrumi diversi tra loro, con punte di dolce e di aspro come la granulosità dei sentimenti e il sapore delle passioni più intense. Una delizia quindi, ma non è finita perché l’insieme è bagnato da un calore alcolico e profumato come quello di un limoncello, un liquore mai uguale che scalda le personalità rappresentative della commedia dell’arte napoletana. La scrittrice rincorre le maschere eterne della vita e le supera con l’efficacia di un racconto perennemente in equilibrio tra la classicità del passato e la modernità del presente.

Allora, per rendere credibile questo commento ricomincio dal principio, perché l’inizio dell’intrigo è una delicata glassa profumata che l’avvolge, che sa di Napoli e delle sue isole immortali, Ischia tra queste. I luoghi, le tradizioni, la cronaca e le discendenze umane, si attorcigliano prima e si sciolgono dopo, come quando il palato incontra la pasta raffaioli non un semplice pan di spagna. Quindi per chiudere il discorso, se il dolce chiamato delizia è una poesia per le papille gustative, così la lettura di questa storia napoletana mi ha portato in estasi la mente, cullata dalle pagine ordinate in un romanzo delizioso, appunto.

“La vita prosegue tra inquietudine e illusione, facendo perdere sempre di più la distanza dalla realtà, finché se ne è posseduti.”

Dal “prezioso kefir messo a fermentare” alle viscere di Napoli, INTRIGO A ISCHIA è un giallo delizioso, intrigato, intrigante… oh che darei per vedere recitate sullo schermo le battute di donna Flora e quelle della Polizia che indaga sui fantasmi incalzati da una brillante, mai doma giornalista, Annaluce, e poi Patrizia, Bianca… donne, donne, tante donne… Non credo sia banale, penso sia stato detto mille e mille volte e quindi lo scrivo: l’intrigo è donna e più se ne legge e più se ne desidera…

La dolce astrazione che ho raggiunto con questo romanzo, a parte l’innalzamento della glicemia di cui dovrò discutere con la mia dietologa, è andata dove solo la bella letteratura può andare: con la giusta dose di misteri e di colpi di scena infarciti di momenti divertenti, sensuali e anche di spettacolare normalità, il giallo non si risolve facilmente anzi, la complessità e la tensione degli eventi ne fanno una delizia tutta da scoprire.

Non parlava, non piangeva, non ricordava niente. Aveva riposto la sua vita passata come in un cassetto di biancheria mai usata, rigida e ingiallita. Monosillabi, movimenti della testa, lo sguardo a terra e solo ogni tanto un segno di ribellione: «Basta, iatevenne mo’»

copertina

PIER VITTORIO TONDELLI

un commento a Altri libertini, Feltrinelli, trentesima edizione, 2021

Seguendo i consigli di un diavolo si accede alla letteratura che ti porta per mano dentro gli inferni luminosi delle vicende umane. Sì, perché la luce più forte la fanno le fiamme. La mia fortuna è di avere un orologio sincronizzato con il battere delle ali di quella farfalla che scatena gli uragani nell’altra parte del mondo, e per tanto l’azione di prendere e conoscere un autore e un libro definito universalmente una rivoluzione letteraria, non poteva che scatenare in me una tempesta. E così è stato. Non è mai scontato: credo che ogni lettore abbia i suoi filtri e i suoi momenti unici, le sue esperienze, un vissuto che diventa corazza e arma letale di difesa contro ogni novità: non è mai scontato apprezzare ciò che è osannato da altri.

Questo non è un diario per letterati e fini conoscitori di ogni scrittore italiano o straniero, soprattutto masticatore appassionato di tutte le opere di chi ha ha lasciato e lascia in eredità all’umanità i capolavori della scrittura nella sua forma più artistica, innovativa ed immortale. Non lo è se l’approccio è quello di ricercare parole nuove e non già dette, già raccontate. In questo diario lo spirito che accende le sue pagine è il semplice racconto di letture mai fatte e pertanto, vergini e meravigliate come quelle che solo la prima volta riesce a far amare o maledire per sempre…

young woman standing near fire and sea

È vero quindi, non si può fare a meno di Tondelli e di questo devastante Altri libertini, anche a distanza di oltre quarant’anni dalla sua prima pubblicazione. Rivoluzionario, attuale, vero, crudo, respingente e attrattivo nello stesso tempo, come solo una discesa negli inferi può essere immaginata.

Sarà l’età ma comunque mi affascina l’idea di pensare a come poteva cambiare la mia esistenza se questo libro l’avessi letto nello stesso tempo in cui vivevo le stesse vicende (qualcosa in più qualcosa in meno) raccontate in Altri libertini nei nostri anni ottanta del secolo scorso. La potenza della scrittura straborda dalle storie facendone un groviglio di malesseri, torture, follie, sconfitte, estasi e tormenti che mi hanno trapanato il cervello dando ai miei occhi sulla realtà connessioni nuove e mai aperte. Ebbene sì, nonostante l’età. Io ero bimbo nel ’77 anche se a quell’epoca, ma succede in ogni epoca in ogni agglomerato urbano, i bimbi che crescono in strada un po’ giocano e un po’ fanno gang a mani nude, ma queste sono altre storie.

Pier Vittorio Tondelli
Pier Vittorio Tondelli

ScoprireAltri libertini senza conoscere niente di Tondelli, lo consiglio: più passa il tempo e più è possibile poiché siamo oggi nell’epoca post-apocalittica della comunicazione globale, quella che qualcuno definisce il trionfo dell’ignoranza diffusa. Scoprire che nel 1980 questo libro gareggiava nelle classifiche di vendita con Il nome della rosa di Umberto Eco, sembra veramente assurdo, eppure quella competizione “intellettuale” è un fatto storico, è successo in questa italietta immensa, proprio oggi campione d’Europa di calcio maschile e di volley femminile, un trionfo atletico ed estetico di squadre di bellissimi corpi umani; ammirazione che diventa estasi pensando ai successi olimpici!

Il giorno dopo la mia prima lettura di Pier Vittorio, prima di fare un commento ho googlato il suo cognome e… due articoli, dallo scibile globale sono emersi e hanno assestato un colpo letale alle mie già striminzite certezze, per capirci: «Hai presente il sonoro scuzzettone alla matricola nel gioco dello schiaffo del soldato?», si quello, per capirci!

Un altro libertino come Pier Vittorio Tondelli di SERENA VOTANO
Pier Vittorio Tondelli, il contestatore oltre la rivoluzione di Biagio Castaldo

Non servirebbe altro come invito alla lettura di quest’opera, eppure non resisto, battere sulla tastiera le parole di Tondelli leggendole dalla carta del suo libro, è per me come recitare una preghiera:

Ecco l’incipit del racconto il Postoristoro:

Sono giorni ormai che piove e fa freddo e la burrasca ghiacciata costringe le notti ai tavoli del Posto Ristoro, luce sciatta e livida, neon ammuffiti, odore di ferrovia, polvere gialla rossiccia che si deposita lenta sui vetri, sugli sgabelli e nell’aria di svacco pubblico che respiriamo annoiati, maledetto inverno, davvero maledette notti alla stazione, chiacchiere e giochi di carte e il bicchiere colmo davanti, gli amici scoppiati pensano si scioglie così dicembre, basta una bottiglia sempre piena, finché dura il fumo.

Inserisco solo altri due brevissimi estratti: quello che si deve leggere dentro, nelle visceri del racconto tra questi due eventi, è una tempesta della carne che travolge, che credo sia impossibile anche solo pensare di visualizzare in un film.

Così è restato cattivo sangue anche se al Posto Ristoro ci si dimentica piano piano di tutto perché la vita è davvero vita cioè una porcheria dietro l’altra e allora è come sbattere giù merda ogni giorno che poi ti dimentichi che fa schifo, e ne diventi magari goloso.

Dentro l’ago, zac.

Gli altri racconti sono Mimi e istrioni, Viaggio, Senso Contrario, Altri libertini e Autobahn, un tutt’uno indivisibile che fa dell’immobilità e del viaggio la dimensionalità spaziale senza uscita dall’illusione in cui siamo costretti e ci piace andare. Quelli non sono anni ripetibili perchè ogni generazione ha i suoi anni incredibili e il suo mare, ogni generazione però ripercorre le stesse scoperte, gli stessi drammi, tragedie, felicità e perversioni, gli stessi amori eterni che finiscono. La scrittura di Tondelli ha reso le “solite cose” schiaffi ripetuti all’ipocrisia del perbenismo che fa vinta di non vedere, fa finta di nascondere a se stesso quando invece se ne nutre nell’intimo per sopravvivere nel segreto dei propri peccati incofessabili. E poi la felicità, semplice, precaria, a piccole dosi, irragiungibile, la vera droga della vita: un trip acido dalla nascita alla morte.

Dice che abbiamo pagato troppo caro il prezzo per la ricerca di una nostra autenticità, che tutto quanto abbiamo fatto era giusto e lecito e sacrosanto perché lo si è voluto e questo basta a giustificare ogni azione, ma i tempi son duri e la realtà del quotidiano anche e ci si ritrova sempre a fare i conti con qualche superego malamente digerito; che è stata tutta un’illusione, che non siamo mai state tanto libere come ora che conosciamo il peso effettivo dei condizionamenti.

nuvole

Però subito il giorno dopo a mezzogiorno si ritrovano e stanno a far l’amore chiusi in casa e mangiano e bevono e fumano e scopano ed è questo star bene diosanto, questa è bellavita, avere una gratificazione dietro l’altra e non pensare a niente se non ad abbracciarsi e succhiarsi da ogni parte. Questa sì sarebbe bellavita poterla far per sempre mica bisogno di soldi e lavorare e studiare e partire e perdersi…

Col naso in aria fiutate il vento, strapazzate le nubi all’orizzonte, forza, è ora di partire, forza tutti insieme incontro all’avventuraaaaa!

Quanta ironia con il senno di poi (leggi la dichiarazione di D’Alema nell’articolo di Biagio Castaldo), è proprio vero: “Non è detto che chi viaggia con una ‘500 non possa andare più lontano” – autocit. 🙂

… dimenticavo, se non sai cos’è uno “scuzzettone”… è proprio quello che dice di sentire il protagonista nella canzone che segue, mentre cammina con le mani nel pantalone… in caserma o per strada, la vita è un trip acido dalla nascita alla morte.

Ogni ‘vvota ‘ca me sento ‘sta canzone
Me pare ‘nu guaglione ‘ca more appriesso a te
Me ne vaco ‘cu ‘sti ‘mmane ind’o cazone
Sent’ ‘nu scuzzettone, n’amico ‘ca me fa…

DAVID FOSTER WALLACE e il Tennis

commento a IL TENNIS COME ESPERIENZA RELIGIOSA, Einaudi 2012 e 2017

coppette

Ho le mie coppette, sono un modestissimo categoria 4.2 Fit. Conosco il tennis da dentro, certo è quello dell’agonismo amatoriale, ma guardo e sento e desidero tennis da quando ammiravo Panatta, Borg e McEnroe. Sono alla lettura delle mie prime pagine di David, mi aspettano i tomi. Inizio a capire la grandezza di una leggenda. Nel testo che ho appena finito ci sono due storie, quella grandissima dà il titolo al libro: Il tennis come esperienza religiosa.

Punto primo: anche se odiate il tennis la scrittura di Wallace racconta l’esperienza religiosa insita in ogni gesto sportivo di un genio, Federer o Maradona è lo stesso.

Punto secondo: David con le sue parole rende merito ed immortalità ad ogni goccia di sudore che esce dalla fronte ogni qual volta facciamo sport, fossero anche stupide, noiose quanto atroci flessioni, quel sudore è la ricompensa per la preghiera dovuta a ogni penitenza terrena che promette il paradiso. Poi io sono colluso e non faccio testo, amo il tennis: la lettura di questo racconto sublime è stato per me esaltante.

Quasi tutti gli amanti del tennis che seguono il circuito maschile in televisione hanno avuto, negli ultimi anni, quelli che si protrebbero definire «Momenti Federer». Certe volte, guardando il giovane svizzero giocare, spalanchi la bocca, strabuzzi gli occhi e ti lasci sfuggire versi che spingono tua moglie ad accorrere da un’altra stanza per controllare se stai bene.

[…]

Era impossibile. Sembrava una cosa uscita da Matrix. Non so quali versi mi siano sfuggiti, ma mia moglie dice che…

[…]

Fatto sta che questo è l’esempio di un «Momento Federer», in tv per giunta, e diciamoci la verità: il tennis in tv sta al tennis dal vivo più o meno come i video porno stanno alla realtà vissuta.

E poi le note sono sostanza viva e necessaria , per esempio a pag.47 la nota 1:

Sono tante le cose brutte nell’avere un corpo. È talmente vero che non ci sarebbe bisogno di esempi, ma citiamo solo brevemente il dolore, le ferite, i cattivi odori, la nausea, la vecchiaia, la gravità, la sepsi, la goffaggine, la malattia, i limiti – ogni singolo scisma tra i nostri desideri fisici e le nostre reali capacità. Qualcuno dubita che ci serva aiuto per riconciliarci? Che ne abbiamo un disperato bisogno? È il corpo che muore, in fin de conti. Certo, avere un corpo ha anche aspetti magnifici – è solo che…

Il genio non è riproducibile. L’ispirazione, però, è contagiosa, e multiforme, e anche solo…

Quindi D.V. Wallace scrive “Federer as a Religious Experience” pubblicato sul The New York Times Magazine nel 2006, due anni prima del suicidio, nella parabola discendende della sua permanenza terrena, non poteva sapere il dio che Roger sarebbe diventato, longevo, sempre elegante e quasi eterno ancora oggi a quarant’anni suonati (il mondo lo vuole vedere giocare ancora). Nel racconto c’è anche Nadal, lo conoscono tutti, è un’altro dio del tennis, ma come per altri campioni tennisti, le parole di Wallace sono definitive in quel tempo ma continuano con forza e precisione trascendente ad essere ancora oggi illuminanti, tanto da diventare non solo oggetto di studio, ma divinazione fatta letteratura.

Questo libro, piccino piccino, merita di essere letto anche per la presenza di un trattato breve, forse più che accademico, che Luca Briasco chiama “Solipismo e trascendenza: il tennis come arte”. Inutile dire come le sue parole mi abbiano alimentato ancora di più la voglia di leggere le opere di Wallace, utile invece è riportare un passo scritto che entra direttamente nel cuore della sua analisi critica:

La necessità paradossale di trascendere l’io limitato sapendo che sono i limiti stessi dell’io a rendere possibile il gioco rappresenta la tragedia profonda del tennis e insieme la sua delizia. (Briasco)

[…]

Solipismo e trascendenza non sono due fattori che si escludono; piuttosto, la consapevolezza che là fuori, sul campo, c’è sempre e solo l’io è il primo passo di un percorso che deve portare il tennista o l’artista, a scomparire dentro il gioco, o l’opera. (Briasco)

Ma nemmeno Briasco può esimersi dal citare alla lettera un testo di Wallace, per farsi intendere:

Potrebbe essere benissimo che noi spettatori, privi dei doni divini degli atleti, siamo gli unici a essere davvero in grado di vedere, esprimere e animare l’esperienza del dono a noi negato. E che coloro i quali ricevono e mettono in pratica il dono del genio atletico debbano, di necessità essere ciechi e muti al riguardo, e non perché la cecità e il mutismo siano il prezzo di quel dono, ma perché ne sono l’essenza. (Considera l’aragosta, DFW).

torneo

La mia sventurata ma colpevole ignoranza, oggi nel 2021, a tratti mi regala fortune inaspettate: scoprire Wallace un pezzettino alla volta mi sta offrendo la stessa emozionalità del salire un livello dopo l’altro, i gradini delle ascese culturali insite nella scrittura: beh, leggere fa proprio bene al corpo e allo spirito. Sebbene come nel tennis un millimetro nell’ultimo punto fa la differenza tra vincere e perdere Wimbledon (è successo proprio a Roger nel 2019 sconfitto da Novak), nell’arte, anche l’errore più pacchiano dell’artista rendono comunque l’opera immensa perché è tale negli occhi di chi guarda: a noi ci sarà anche negato il dono del genio ma delle opere di un genio abbiamo la fortuna di nutrirci in estasi senza limiti.

Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway

un commento alla nuova edizione 2021 di Mondadori con la traduzione di Silvia Pareschi.

Non c’è niente da fare, ogni rilettura è preziosa perché l’evoluzione personale di ogni lettore è continua come il fluire dei giorni, indisciplinata, mutevole, sempre nuova. I classici sono un dovere talmente piacevole e maledetto da bestemmiare ogni spreco di tempo che ci resta, del giorno, della notte, della vita. Si rimanda ma quando poi ti rapisce, una storia come quella del vecchio e il mare, ti porta dentro la tempesta della lotta anche se tutt’intorno è immobile, l’uragano di empatia per la sofferenza dello sforzo sovrumano di vincere battaglie ormai perse, con l’enorme pesce più grande della barca, con gli squali affamati dalle stesse motivazioni dell’uomo, nel riposo che non arriva mai se non nella sconfitta finale che ti salva l’esistenza. È la gloria che si deve ai vecchi, ostinati, solitari, invincibili, desiderosi di compagnia, desiderosi di trasferire la sapienza, l’essenza dell’esperienza umana. La barca e la capanna, il mare e la terra ferma, la povertà, e la lotta come unica grandezza della forza di ogni uomo.

Questa ultima edizione è preziosa come prodotto editoriale perché contiene foto in bianco e nero molto speciali, e una raccolta di articoli sulla pesca che Hemingway scrisse tra il 1920 e il 1949, tra questi c’è Sull’acqua blu: una lettera dalla corrente del golfo del 1936: è una corrispondenza con cui accenna, ben sedici anni prima, alla storia da cui nascerà Il vecchio e il mare. Inoltre l’extra imperdibile è il racconto inedito La ricerca come felicità che da solo vale tutto il libro, dove Ernest racconta della sua passione per la pesca, per i suoi uomini d’equipaggio e di come tutti insieme, distribuivano il pescato, enormi e meravigliosi grandi pesci, a tutti coloro che ne avevano bisogno, ai morti di fame, poveri e manganellati, in quella Cuba che solo dal 26 luglio del 1953 al primo gennaio del 1959, vede realizzata la rivoluzione di Fidel Castro e di Ernesto Che Guevara, quando ormai Hemingway è già una stella planetaria.

Copertina Life di Hemingway
Copertina Life di Hemingway

A rendere unica e imperdibile questa edizione è ovviamente la traduzione di Silvia Pareschi che nell’epilogo del libro, ci descrive l’iceberg che ha dovuto affrontare, i sette ottavi della montagna Hemingway che sono sott’acqua, cioè quel metodo dell’iceberg che è un caposaldo della scrittura di Hemingway come lui stesso enunciò per la prima volta in Morte nel pomeriggio:

“Se un prosatore sa bene di cosa sta scrivendo, può omettere le cose che sa, e il lettore, se lo scrittore scrive con abbastanza verità, può avere la sensazione di esse con la stessa forza che se lo scrittore le avesse descritte. Il movimento dignitoso di un iceberg è dovuto al fatto che soltanto un ottavo della sua mole sporge dall’acqua. Uno scrittore che omette le cose perché non le conosce, non fa che lasciare dei vuoti nel suo scritto.” (traduzione di Fernanda Pivano).

Già la traduzione! Solo come accenno alle differenze tra quella di Fernanda e quella di Silvia, riporto l’inizio dell’incipit nelle due differenti edizioni, sono le prime parole di Ernest che nella scansione in bianco a nero dell’originale regalano a questo libro un fascino veramente superlativo; l’ultima foto allegata poi mette insieme i grandi pesci da macellare e una normale famiglia di turisti americani.

testo il vecchio e il mare

Era un vecchio che pescava da solo su una barca a vela nella Corrente del Golfo ed erano ottantaquattro giorni ormai che non prendeva un pesce. Nei primi quaranta giorni lo aveva accompagnato un ragazzo, ma dopo quaranta giorni passati senza che prendesse neanche un pesce, i genitori del ragazzo gli avevano detto che il vecchio ormai era decisamente e definitivamente salao, che è la peggior forma di sfortuna, e il ragazzo li aveva ubbiditi andando in un’altra barca che prese tre bei pesci nella prima settimana. Era triste per il ragazzo veder arrivare ogni giorno il vecchio con la barca vuota e scendeva sempre ad aiutarlo a trasportare o le lenze addugliate o la gaffa e la fiocina e la vela serrata all’albero. (Traduzione di Fernanda Pivano)

Era un vecchio che pescava da solo su una piccola barca nella corrente del Golfo e ormai da ottantaquattro giorni non prendeva un pesce. Nei primi quaranta giorni con lui c’era stato un ragazzo. Ma dopo quaranta giorni senza neppure un pesce i genitori del ragazzo gli avevano detto che il vecchio era ormai sicuramente e definitivamente salao, cioè uno sfortunato della peggior specie, e per loro ordine il ragazzo era andato su un’altra barca che aveva preso tre bei pesci nella prima settimana. Il ragazzo si rattristava nel vedere il vecchio rientrare ogni giorno con la barca vuota e andava sempre ad aiutarlo a trasportare le matasse di lenze o il raffio e l’arpione e la vela avvolta intorno all’albero. (Traduzione di Silvia Pareschi)

famiglia Hemingway
testo il vecchio e il mare
copertina originale il vecchio e il mare

#ilTerzoLivello: recensione di Nicola Nigro

che dire? sono felice e commosso: infiniti GRAZIE!!! al Direttore Nicola Nigro: conserverò questo suo articolo tra le tante cose straordinarie della mia vita, perchè vero, sentito, inaspettato, fulminante come un lampo in un cielo senza nuvole nell’agosto più torrido di sempre… non scherzo, ho fatto una doccia gelata per riprendermi dal rovente abbraccio di emozioni con cui, il suo articolo, le sue parole, mi hanno travolto. Ancora uno: GRAZIE!!!

http://www.giornaleilsud.com/2021/08/17/un-libro-davvero-da-leggere-soprattutto-per-un-genitore-o-chi-sta-per-diventarlo-o-lo-diventera/

Articolo il SUD di Nicola Nigro
Articolo il SUD di Nicola Nigro
Articolo il SUD di Nicola Nigro
Articolo il SUD di Nicola Nigro
Articolo il SUD di Nicola Nigro

Il Nero Carlomagno: L’invito

un commento al romanzo breve L’invito, edizioni e-stories 2020, finalista al Premio Garfagnana in giallo sezione ebook 2016

“A volte per ritrovare se stessi è necessario perdersi, ma quanto può essere pericoloso?“ – sulla quarta di copertina la scrittrice Piera Carlomagno, porge il suo invito alla lettura con estrema chiarezza, bianco su fucsia patinato, accenna “di come un accecante, seducente miraggio possa condurre nel baratro più profondo.”

Il titolo dato a questo romanzo, è tutta altra cosa, è un piano diabolico, è la vendetta necessaria di un’anima diventata nera per amore, accecata da gelosia primordiale.

woman s face

Ciò che più mi ha coinvolto è il racconto in prima persona della protagonista Mirella che diventa Greta e poi rinasce in una nuova Mirella, è la formazione dell’insoddisfazione umana prima che femmina, che vive in ben tre personalità, le pulsioni fatte carne e desiderio che rendono il racconto non solo intrigante ed avvincente, ma anche capace di scavare nelle profondità dei meccanismi mentali sottesi alla scelta delle maschere, delle bugie, degli inganni, delle menzogne, della passione nel vivere nascondendosi a se stessi.

“Per poche, ora lo so, pochissime persone, succede a volte che il non vissuto esca fuori dal cono d’ombra dell’immaginazione e metta le mani intorno al collo della verità”

La trama sembra semplice e scorrevole ma si afferra con soddisfazione solo alla fine, come deve essere è vero, ma senza essere scontata: è padronanza di stile.

“Non si accorse che a un certo punto ero morta. Morta di piacere e di desiderio, che mi aveva stretta, poi sciolta, poi rubata e aveva fermato il sangue nelle vene, che mi aveva avvolto i pensieri in un morso di felicità tanto improvvisa quanto assassina.”

Il bene e il male si aggrovigliano tanto che ogni piccolo capitolo è premessa per una attesa insopportabile, un risvolto che ogni lettore deve scoprire.

“L’amore quella notte fu incredibile. Felino e devastante. Spazzò via quello che c’era rimasto di me. Lasciò in piedi un simulacro di donna, una identità a cui erano state dilaniate le carni, ma soprattutto un corpo a cui era stata strappata l’anima.”

Dipendevo da lei, come prima ero stata schiava di lui.

L’intreccio dei sessi, il nemico che diventa alleato e l’odio che sale prendendo il controllo della mente, sono più che suspence o artificio letterario: è fame di antropologia criminale.

“… mi sento come il sole che tramonta nel mare e la mia angoscia si spande in tutto il corpo e nei pensieri.”

Se state pensando che può essere una lettura da fare sotto l’ombrellone, sappiate che va bene per una mattinata o un pomeriggio, si divora in poche ore, poi ogni uomo guarderà negli occhi la propria donna con paure tutte nuove, una donna così non mangia l’anima, divora tutta l’esistenza lasciando niente, anche ai figli.

Copertina romanzo L'invito

“Però la tregua era terminata. Il cervello aveva cominciato a lavorare. C’è una reazione, c’è un fondo del dolore, c’è il momento in cui le mani prendono qualcosa che fa resistenza e tirano fino a strappare, accada quel che accada.”

A GRANDEZZA NATURALE di Erri De Luca

2021 Feltrinelli

un commento? forse di più…

Le stelle non si incontrano si consumano. Questo è quello che vuole Erri, ho pensato sull’ultima frase letta a pagina 123.

“Nessuno lo ha chiamato papà. Agì da padre anche se non lo era. Negli abissi del disumano, il semplice umano abbaglia la raffica di un lampo.”

Una volta ancora, ho ringraziato lo Stato di aver letto e discusso “Se questo è un uomo” di Primo Levi a dodici anni nella mia scuola media di allora. Oggi non è più così? è molto peggio, lo scrive Erri nella sua premessa: “Da noi si cresce più facilmente in direzione conforme”, senza più sapienza.

Ecco, non è affato elegante cominciare dalla fine, devo iniziare dalla Premessa che Feltrinelli ha fatto iniziare a pagina 11. Come se uno scrittore come Erri dovesse premettere qualcosa? Ebbene sì, la premessa di Erri è l’opera, è la sua vita, il suo respiro profondo di esistenza, di ragione e sentimento. È un testamento. È nato nel 1950, poteva anzi è mio padre.

Un compagno come Erri non si discute eppure io oso farlo, devo farlo, devo consumare la sua stella inghiottendone luce e calore, oltre al vino, libro da libro e montagne che non conosco.

Una deliziosa intervista di Abel Wakaam mi ha spinto a prendere in libreria una copia di questo libro nuovo; dopo tanti, troppi anni, ho letto pagine errideluchiane, saranno i nuovi occhiali, saranno le sincronizzazioni celesti, ma oggi posso dire che il vero delitto lo commette il lettore che fa passare il tempo senza leggere le opere di Erri, eppure lui scrive:

“Uno scrittore sta anche da imputato di fronte al lettore. Fattispecie del reato è lo spreco del suo tempo. Da qui la domanda indiscreta sul perché di un libro. Abbozzo una spiegazione relativa a questo.”

photo of boats on ocean near rock formations

Non sono padre. Il mio seme s’inaridisce con me, non ha trovato una via per diventare.”

Possibile? Chiarisce prima, nelle righe precedenti, sente il bisogno di giustificarsi per rispondere:

“Capita di ricevere l’insolubile domanda sul perché si scrive un libro.”

La tua opera? è un malinteso compenso? Ma che dici Erri? Chi sono quelli che malintendono pensando ai compensi? I compagni? quelli che si definiscono veri compagni con il sangue più rosso degli altri animali, nemmeno, forse solo umani?

man planting plant

Ho immaginato Erri De Luca come il contadino appeso alla speranza di un tempo clemente per un buon raccolto a fine stagione, anno per anno da stagione in stagione:

“Per un malinteso compenso, ho piantato molti semi in terra, minuscoli granelli sprofondati sotto una compatta massa. Come hanno saputo da che parte dirigere il germoglio? Sepolto come sotto una valanga, il seme sa la più diretta linea di salita per affiorare all’aria. Ha iscritta in sé la notizia della legge di gravità e per contrasto cresce in direzione opposta. C’è in noi la sua sapienza? Se esiste non la riconosco. Da noi si cresce più facilmente in direzione conforme.”

Erri non usa parole a vanvera, la valanga usata a pagina 11 è la valanga di pagina 88, o almeno io credo, voglio credere, ho bisogno di credere, bramo e desidero che sia così.

“Ci s’innamora anche così, sùbito, e pure a dire sùbito si perde la velocità di quell’istante. Si era caricato molto prima, accumulato come una valanga su un pendio. Uno sguardo scambiato la distacca, la fa precipitare. Ci s’innamora in discesa, a capofitto.”

red lights in line on black surface

La gravità, come legge e come misura, la direzione opposta come sentimento e come ragione, la valanga come forza genitrice e come forza distruttrice, come montagna da scalare per arrivare all’aria, il senso della vita, in superfice “dove la penitenza più profonda è averne solo un’ora, basta da sola a dire che le altre ventrité sono asfissia.

Siamo solo a pagina 14, ancora nella premessa, e ho saltato la giustifica madre, il movente padre, le storie estreme di genitori e figli.”

“Il vocabolario è la mia macchina per attraversare il tempo.”

three yellow and red tower cranes under clear blue sky

Imputato dal lettore, imputato dai tribunali, imputato dalla generazione che ha accompagnato e trascinato, imputato dalle generazioni che hanno e continuano a lucrare sulle generazioni in lotta permanente, oltre gli anni formidabili che io posso solo vivere nei racconti, anni belli e funesti che non ho vissuto per limiti d’età, ma anche il lucro è questione di nasi capaci di scansarne il sudicio.

“Oggi si dice di vecchie lire, ma allora erano govani. Il denaro non si distingue in base alla sua età, ma tra pulito e sporco. Si vuole invece che non abbia odore, “pecunia non olet”, il denaro non puzza, dicevano i Romani. È questione di nasi. Esistono persone con fiuto sviluppato che permette loro di annusarne l’origine e scansarlo.”

La premessa termina a pagina 16 con tutto l’orgoglio e il rispetto che si deve ad un padre nel ricordarne l’esempio, la costruzione delle fondamenta che danno stabilità e forza alla nostra esistenza di figli: la decenza dell’onesta!

Se mi permette, dottor De Luca, qui state peccando di superbia.

Se mi permette, io la chiamo decenza.

Dopo l’orgoglio, il vuoto, l’ignoranza che da il senso profondo all’opera, la grandezza naturale come misura fisica del nodo che tiene insieme cime destinate a separarsi, ma il nodo dell’esistenza, dei salti di generazione è la metafora che non scioglie dubbi ma ci lega per sempre all’eternità, oltre questa vita, oltre questa morte sempre pronta a rapirci la coscienza del presente.

… e ora tenetevi forte, cari naviganti, ecco una valanga gentile:

“uno spreco di fiato gli anni che ho passato in paragone questa vita a questa morte”

sono le ultime parole cantate da Angelo Branduardi… è la fine, ma dovete arrivarci alla fine di questo libro mirabile; l’ultima citazione di Erri De Luca è in inglese, non altra lingua, è moderna non antica, la lingua imperiale del mondo moderno, l’ultima citazione a pagina 123 è di William Butler Yeats: “In balance with this life, this death.” … una lirica del poeta irlandese (1865-1939) tradotta in italiano e suonata e cantata da Angelo, eccola: un volo sospeso nell’eternità di ognuno di noi.

Un compagno si discute sempre, a maggior ragione quando i suoi germogli rendono fioriti prati immensi, e fattene una ragione carissimo Erri, come i marinai consumano tutti i porti del mondo, tu hai infiniti figli dispersi per città, foreste, campagne e montagne, magari illegittimi, irresponsabili, predicatori e praticatori di direzioni opposte, inconcludenti, deboli, fragili, magari solo lettori e spettatori, o magari mai nati, legati, immobili, teneramente sempre bambini, ma tutti ribelli e sognatori che si sentiranno sempre figli tuoi, e io, solo uno di loro. Grazie di delinquere ancora, i tuoi scritti sono seme divino e fonte umana in terra. Gli atti processuali sfameranno gli storici di domani, i malintesi compensi sfioriranno per concimare nuova terra da seminare.

tagliatemi tutto ma non il mio brain

ACARI di Giampaolo G. Rugo e mi esplode l’urgenza del presente

2021 Neo Edizioni

short haired woman standing on flowering plants

All’inizio di questo mio personale cammino di formazione alla lettura, non potevo immaginare che un giorno avrei potuto associare un romanzo alle montagne russe, si, proprio quelle, le terribili e strabilianti giostre che salgono e scendono a mille all’ora, quelle che ti travolgono con un pugno nello stomaco quando precipiti giù, quelle che ti fanno respirare nella scalata lenta verso la cima, quelle giostre vorticose che in pochi secondi rendono l’adrenalina regina in un corpo legato, costretto a seguire una macchina pensata per il divertimento, quelle giostre che a testa in giù ti fanno pensare che tutto il mondo è rovesciato quando stai con i piedi a terra. Questo romanzo si legge in poche ore o meglio, ti travolge con un flusso veloce di storie che intrecciano l’esistenza nei suoi aspetti più densi e profondi. Quando sono arrivato all’ultimo giorno di lavoro di un vigile del fuoco, l’eroe per antonomasia della società civile, mentre i sui colleghi lo vogliono festeggiare, ho toccato, con il suo racconto segreto, il tormento estremo di una società che corre a vuoto, marcia sul posto, nel suo ombellico viscerale che non è il centro ma un vortice di anime solitarie, non è il centro ma un insieme convergente senza dimensioni:

“È il nuovo giorno che sostituisce il vecchio: il ritmo incessante della vita che si ripete ottuso.” – questa frase di qualche pagina prima, esplode tutto il suo significato nella confessione del pompiere, da quel giorno in pensione, i colleghi gli chiedono il giorno più bello, lui racconta: “Non ho mai più provato quella sensazione allo stomaco. Mai.” e di cose brutte, un vigile del fuoco ne vive anche troppe.

In questo meraviglioso romanzo ho trovato una sola parola difficile per me, una parola che però spiega il fascino intenso dell’intero romanzo: aoristo.

sostantivo maschile – Categoria del verbo, particolarmente vitale in greco, che indica l’azione pura e semplice, prescindendo dalle categorie del tempo e della durata: gnôthi seautón (‘conosci te stesso’) è in greco, diversamente dall’italiano, un aoristo, perché valido nel presente, nel passato, nel futuro.


Storie ordinarie, storie comuni, storie che ogni lettore vive e rivive nelle esperienze quotidiane, del passato, del presente, nei desideri del futuro, anche se non si è stati al liceo, anche se hanno abolito il latino nella scuola media, anche se la strada e il sogno di diventare campioni si è infranto nell’utopia della gioventù, la prigione di una sedia a rotelle, la prigione di un corpo inerte che non può decidere se vivere o morire… il rumore dei pensieri, leggendo Acari si fa assordante, l’ho sentito forte:

“Barbara me l’ha detto una volta, mentre la guardavo in silenzio:«Mario! Si sente il rumore del tuo cervello che sta sempre a pensare».”

woman sitting on green and red roller coaster

Le cime e le valli, mai una distesa pianeggiante, mai la pace se non alla fine con il racconto dell’amore di Mario, alla fine, ma bisogna arrivarci all’uscita dalla giostra dei racconti di Rugo, racconti che la quarta di copertina riassume come una “sinfonia polifonica orchestrata magistralmente“, giusto ma non c’è solo una musica fatta bene, c’è la vita vera, con le sue vertigini, i suoi conati di vomito e la sua verità più lucida:

woman wearing black top

“Un milione e mezzo di turisti invadono ogni estate la riviera romagnola. Un milone e mezzo di culi producono milioni di chili di merda che si riversano nel mare in cui la mattina dopo lo stesso milione e mezzo si farà il bagno. Mi trovo a cesenatico a lavorare come assitente socio sanitario, anche il mio culo quest’anno sta dando il suo piccolo contributo.”

Le emozioni non si possono contenere, nemmeno un libro penso possa farlo, anzi un libro bello come questo, le amplificano e le rendono meravigliose come un giro su una montagna russa che ancora non si conosce.

roller coaster ride near trees under blue clouds

Dal bidone dell’immondizia arriva un odore nauseabondo di pannoloni sporchi. Non che me ne vengano in mente di buoni, ma questo è davvero un posto di merda per morire.

La morte e la vita ci sfiorano, ci accarezzano, ci sfuggono, come la notizia per me tristissima della scomparsa, proprio in queste ore di un mio vecchio compagno di scuola: carissimo Pasquale, che la terra ti sia lieve.

time lapse photography of roller coaster during night time
Photo by Albin Berlin on Pexels.com

ho scoperto WriterOfficina

“saranno i ribelli a cambiare il mondo” Abel Wakaam – wow!!!

la verità è che ho scoperto uno scrittore, fotografo, esploratore, e ribelle!

– da non perdere le interviste a grandi scrittrici e scrittori… deliziosa quella aErri De Luca, incredibile quella al ghostwriter 🙂 e molto interessanti anche quelle a Dacia Maraini, Piera Carlomagno, Maurizio de Giovanni, etc…

Molto bello l’articolo EGO SUM… sempre tutto diAbel Wakaam, molto affascinante per me la veste grafica e tecnica del sito, molto fine anni ’90 ma molto funzionale ed immediata oggi nel 2021!

Per me una rivelazione, quindi vai! basta un click! per entrare

“nel luogo dei folli che vogliono cambiare il mondo”

fino al 15 novembre 2021 puoi dare la tua preferenza a questo libro nel
Concorso letterario Writer Golden Officina 2021

o partecipare con un tuo testo: fai click su questo link per sapere come fare

#ilterzolivello su instagram

anche instagram … la notizia sta girando 🙂#ilterzolivello

la grammatica italiana

comunicato ai miei carissimi lettori: continuate così – veramente grazie di cuore!!! – ogni segnalazione di errori/orrori, in violazione della grammatica e sintassi italiana, anche napoletana 🙂 ogni commento e ogni domanda sono linfa vitale per questo progetto di editing collettivo in continua evoluzione, intanto … tanto per rimarcare la mia inadeguatezza all’impresa 🙂 bisogna rifare le fondamenta che si sono sfatte, forza e coraggio 🙂 … ho ripreso dalla polvere il libro che si vede allegato al post … nel ’77 ero in prima media (e voi?) … vi prego fermatelo questo tempo maledetto che corre veloce, vi prego fermatelo 🙂 … intanto, bisogna leggere e studiare prima di pubblicare … ormai la frittata è fatta 🙂 e come dicono quelli bravi, bisogna buttare l’acqua sporca, mai il bambino !!!

#ilterzolivello

… tenerlo in vita, farlo crescere, il bambino, è tutta nata storia 🙂

leggi! che meraviglia…

essere lettore, essere giudice, valutare ciò che oggettivamente uno scritto trasmette a chi legge, è un lavoro tremendamente difficile, impegnativo, può essere una professione esaltante se costruita sulla passione ma credo che il bagaglio culturale e delle esperienze, necessario per dotarsi di una cassetta degli attrezzi adeguata è paurosamente infinito, magari ci si può specializzare in termini di “aree” di scrittura e in termini di “target” di lettura … facile, rilassante, invece è la dimensione soggettiva, quello che ci piace e che ci cattura, quello che ci fa pensare, che ci forma, che ci fa sognare, quello che … ci aiuta a sentirci vivi dentro e fuori dal nostro essere umani, nonostante la violenza e le ingiustizie che alimentano il male e la cattiveria dell’essere umano.

Facile e rilassante è scegliere cosa leggere. Devo leggere, devo giudicare…

Nel #ilterzolivello c’è un passaggio del protagonista che impone al figlio la figura del genitore come giudice, il giudicare il figlio è un dovere per il protagonista, quando sappiamo bene come da sempre i figli rimproverano con forza questo ruolo: “tu sai solo giudicarmi!” … ancora non ho trovato un lettore che mi abbia segnalato/criticato questo tema, … la verità è che nella mia sfacciataggine ho buttato dentro troppi temi … ma la vera domanda è: perché dovrei leggere questo #ilterzolivello ? Perché dovrei partecipare a questo esperimento di “editing collettivo”? … devo ragionare meglio con il mio ghostwriter … intanto seguo il suo saggio consiglio: LEGGI!!! 😎

  • finalisti premio salerno
  • Copertina libro De Silva
  • copertina L'invito di Piera Carlomagnobreve L'invito, edizioni e-stories 2020
  • copertina di CERTI BAMBINI
  • specchio

un libro & un caffè

Nel ringraziare la libreria Libramente Caffè per la disponibilità, comunico che sono disponibili copie fisiche del #ilterzolivello a Salerno

in Via Francesco Paolo Volpe, 34

Caffè Letterario Libramente

Dante e gli scacchi

pp. 123 #nerolucano di Piera Carlomagno

«L’incendio suo seguiva ogne scintilla; ed eran tante, che ’l numero loropiù che ’l doppiar de li scacchi s’inmilla.»

Dante Alighieri, Paradiso XXVIII, vv. 91-93.

1 un coro di angelo

2 due cori di angeli

4

8

16

32

64

128

256

512

1.024

2.048

4.096

8.192

16.384

32.768

65.536

131.072

262.144

524.288

1.048.576

2.097.152

4.194.304

8.388.608

16.777.216

33.554.432

67.108.864

134.217.728

268.435.456

536.870.912

1.073.741.824

2.147.483.648

4.294.967.296

8.589.934.592

17.179.869.184

34.359.738.368

68.719.476.736

137.438.953.472

274.877.906.944

549.755.813.888

1.099.511.627.776

2.199.023.255.552

4.398.046.511.104

8.796.093.022.208

17.592.186.044.416

35.184.372.088.832

70.368.744.177.664

140.737.488.355.328

281.474.976.710.656

562.949.953.421.312

1.125.899.906.842.620

2.251.799.813.685.250

4.503.599.627.370.500

9.007.199.254.740.990

18.014.398.509.482.000

36.028.797.018.964.000

72.057.594.037.927.900

144.115.188.075.856.000

288.230.376.151.712.000

576.460.752.303.423.000

1.152.921.504.606.850.000

2.305.843.009.213.690.000

4.611.686.018.427.390.000

9.223.372.036.854.780.00064°raddoppio 🙂

oltre 9 miliardi di miliardi … quello che segue è un post del 20 marzo 2020 – copiato dal gruppo “Natura & Matematica” – la condivisione FB al post sparisce dopo pochi secondi e quindi ho duplicato anche la bella immagine che accompagna il post – roba da nerd 🙂

«L’incendio suo seguiva ogne scintilla;ed eran tante, che ’l numero loropiù che ’l doppiar de li scacchi s’inmilla.»Dante Alighieri, Paradiso XXVIII, vv. 91-93.[…]

I riferimenti ad argomenti di carattere matematico sono molteplici nella Commedia e, nello specifico, quello riportato qui, induce a far pensare che Dante avesse un interesse anche per il gioco degli scacchi. La citazione afferma che il numero di cori degli angeli in Paradiso è talmente grande da superare il “doppiar de li scacchi”. Questa è un’allusione alla leggenda di Sissa Nassir, il mago di corte dello Shah di Persia, che, per dare qualche diversivo al suo re annoiato, inventò il gioco degli scacchi. Lo Shah gli chiese quale dono volesse in cambio per questa sua invenzione e lui rispose che gli sarebbe piaciuto molto ricevere come ricompensa soltanto un chicco di riso sulla prima casella; il doppio dei chicchi sulla seconda casella (cioè 2); il doppio ancora sulla terza casella (cioè 4); il doppio dei chicchi della terza sulla quarta (cioè 😎, e così via, fino all’ultima casella, la sessantaquattresima. Lo Shah credette di poter soddisfare con poco questa sua richiesta, ma ben presto si rese conto che il numero di chicchi di riso necessari era di ben lunga superiore a quello di tutti i chicchi presenti nel suo regno. Allo stesso modo, nel Paradiso dantesco, i cori degli angeli sono in numero ancor maggiore dei chicchi di riso della leggenda].A.T.

capolavori

quando la trasformazione della materia, attraverso la realizzazione di un’idea, crea oggetti utili e belli, queste opere sono capolavori, l’arte è un’altra cosa, magari immortale, magari eterna … il capolavoro è un lavoro fatto bene, può piacere o meno, resta un manufatto unico, irripetibile … e quando questa artigiana ti è moglie, amica e amante … non puoi che ringraziare per l’orgoglio e il privilegio di essere desiderato comunque e sempre: solo infinita ammirazione … https://www.facebook.com/media/set/?set=a.2662122613820382

Libri e Recensioni.com

.. la mia avventata nonché spregiudicata sperimentazione creativa di scrittura, acquista nuovo vigore con la bellissima recensione di Norberto Loricati che ringrazio infinitamente …

Recensione:
Un libro difficilmente classificabile in un genere. Se proprio dobbiamo incasellarlo in una sezione direi “biografia romanzata”, ma in queste due parole… c’è dentro di tutto.
Un elemento caro all’autore è il mare e, dunque, lo uso anche io per fare un esempio.
Immaginiamo una giornata ventosa, di quelle in cui le onde si fanno grosse sotto costa, con cavalloni difficilmente superabili. Se un impavido nuotatore si avventurasse in acqua verrebbe sbattuto a terra, sommerso, respinto, ma insistendo e andando contro vento, superando quel punto in cui le onde si formano, ecco che le acque si fanno più calme, dolci, e accoglienti.
Ebbene, i cavalloni costituiscono le prime quaranta pagine di questo libro: respingenti, difficili da oltrepassare, scritte con uno stile poco avvincente, dialoghi lunghi, quasi dei monologhi, composte da riflessioni pseudofilosofiche che allontanano il lettore, invece di attrarlo.
Superato questo scoglio il racconto prende un altro ritmo, e ci si incammina accanto al protagonista ripercorrendo la sua (e la nostra) vita.
L’autore usa un espediente – una lunga camminata per recarsi a un appuntamento – per rivedere a ogni angolo di strada sprazzi della propria esistenza, ricordando persone, luoghi e idee di una fase della vita che non c’è più. Come spesso accade, si tende a idealizzare il periodo della giovinezza, e ogni cosa dei tempi andati sembra migliore solo perché vissuta in un’età ricca di speranze, progetti e fantasia. Accade la stessa cosa in questo bel libro che Di Gennaro ci propone. Nonostante il protagonista non abbia vissuto una giovinezza particolarmente agiata, si ha la sensazione che la vera ricchezza gli fosse data da qualcos’altro: valori ormai perduti e sani principi restituiscono la soddisfazione per un percorso di vita sempre votato alla correttezza e alla rettitudine.
Insieme al protagonista ripercorriamo gli anni di piombo, con il terrorismo che li incendiò, e le lotte di classe, con il periodo d’oro dei sindacati, quando riuscivano a portare in piazza migliaia di lavoratori per un salario più dignitoso. Inutile dire che l’autore sta dalla parte di chi ha meno, di chi vede i propri diritti calpestati, ed essendo egli stesso un sindacalista, in questa sezione del libro ci ha messo sicuramente molto del suo.
Oltre a questi temi decisamente caldi e vissuti ancora con fervente passione, Di Gennaro ci mostra anche altri temi più romanzati e meno impegnati. Ci parla di amicizia, di lealtà, di momenti di vita vissuta socializzando con persone in carne ed ossa, e non tramite i cellulari come avviene oggi. Ci parla della sua profonda passione per la musica e del ruolo fondamentale che hanno avuto le radio private negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso. Ci parla dei primi home computer entrati nelle case della gente. Ci parla dei primi amori, vissuti con una passione che spingeva a coprire lunghe distanze con una semplice bicicletta. Ci parla anche del ricco e variopinto rapporto di vicinato che si creava nei vicoli delle città. Ma c’è ancora tanto altro: ci sono pensieri e riflessioni sulle differenze generazionali, sul difficile rapporto fra un padre e un figlio che non riescono a comunicare e c’è spazio anche per un piccolo mistero su un’entità superiore, nascosta, capace di condizionare le vite di tutti noi.
Quando si arriva in fondo a questo testo ci si rende conto che in quelle pagine c’è una parte della memoria collettiva del nostro Paese. Non solo, c’è anche tanta parte di noi come singoli individui, con le nostre piccole esperienze vissute e dimenticate negli anni. Ecco, quindi, che questa lettura si differenzia da tante altre poiché, alla fine, non facciamo tesoro delle esperienze altrui, ma scopriamo una più forte e profonda ricchezza nelle nostre stesse vite, che questo libro ci aiuta a ricordare.
Una lettura che mi permetto di consigliare soprattutto a chi ha qualche capello bianco, per rivivere tanti bei momenti della propria esistenza grazie all’aiuto di Di Gennaro.
(Norberto Loricati)

ringraziamento

la letteratura ai tempi di twitter

Johannes Bückler

@JohannesBuckler

Che ci faccio in questo luogo di dolore?

La logica conclusione, caro Johannes, dopo una vita passata a lottare contro i mulini a vento. Perché nessuno mi vuole dare retta? So di aver ragione, ne sono certo. Sto impazzendo per questa cosa. Perché mi hanno rinchiuso in manicomio?

NON ESISTONO PICCOLE STORIE

meritiamo la serie A

… cancello ogni dubbio anche per dissuadere altri tentativi di approccio che temo si intensificheranno comunque, sotto sotto alle elezioni amministrative. Ringrazio con il cuore chi, comunque, mi onora con questo tipo di proposte, ma come ho scritto alla domanda lanciata in rete su fb da Franco Matteo: io no, non mi candido, ci provai nel 2006 anche per capire e ho capito che è un massacro di famiglie, più o meno legali 🙂 … dopo 15 anni è sempre peggio, il tir di liste civiche sarà pieno di anime portate al macello 🙁 … amo Salerno e non solo quella calcistica, tutta SALERNO merita la serie A. Lo confermo con questa foto di qualche gg fa; se dovessi decidere io, la prima cosa che imporrei sarebbe un candidato sindaco DONNA … non voglio decidere, non voglio partecipare (se non con il mio voto), non ce la faccio, io sono un immigrato in questa grande e bella città, le uniche “forze residue” riesco a dedicarle alla militanza nel sindacato di base dentro una amministrazione pubblica che vi assicuro è un impegno affatto semplice … qualcosa, ma tanto altro si respira dentro #ilterzolivello …ma ora, basta chiacchiere, al LAVORO!!! La giornata è lunga, è primavera e il sole tramonta tardi 😎🤩

libri per strada

… nel mondo “fisico”, copie del #ilterzolivello sono disponibili alla

Libreria Guida di Salerno

IMAGINE’S BOOK- c.so Garibaldi 142 – a metà strada tra Tribunale e INPS 🙂

Ringrazio lo staff per la gentilezza e la disponibilità dimostrata.

se ne parla :-)

[…] Vero o falso che sia, quel che si dice degli uomini occupa spesso altrettanto posto nella loro vita, e soprattutto nel loro destino, quanto quello che fanno. […]

Victor Hugo

#ilterzolivello

è arrivato a Positano

“Il Terzo livello”, il libro dello scrittore salernitano Pietro Di Gennaro

Il libro è un esperimento creativo di scrittura in cui l’autore affronta il rapporto conflittuale padre-figlio

Si chiama “Il Terzo livello” ed è il libro scritto dal salernitano Pietro Di Gennaro. Nato a Salerno nel 1966, Di Gennaro è funzionario informatico di una amministrazione pubblica, ma anche dirigente sindacale eletto da compagne e compagni di lavoro. Ha collaborato negli anni tra il 1996 e il 1999 con APPLICANDO, rivista specializzata di computer Apple Macintosh della casa editrice JCE.

Il suo libro, “Il Terzo livello”, è un esperimento creativo di scrittura in cui l’autore affronta il rapporto conflittuale padre-figlio, attraverso le confessioni intime di un personaggio egocentrico e stravagante.

Il racconto della sua presenza nella società italiana, chiede al lettore di ricordare i cambiamenti politici e sociale che ognuno ha visto, sentito o vissuto nella realtà. Il protagonista brucia una vita che dura il tempo di una passeggiata sul lungomare di Salerno durante la pandemia 2020.

Ecco il link per acquistare il libro su amazon: clicca qui

Grazie Direttore! —> https://www.positanonotizie.it/

#ilterzolivello sulla Città

che dire? … ringrazio Maria Romana Del Mese che ho avuto l’onore di conoscere per l’intervista che il quotidiano la Città mi ha voluto dedicare, il suo articolo mi ha emozionato molto … ringrazio la Redazione e tutti i lettori che continueranno a darmi una mano in questo piccolo progetto, ogni giorno arrivano segnalazioni di strafalcioni grammaticali e sintattici, del resto il protagonista è uno terra terra e molte cose sono scelte precise della sperimentazione che ho voluto intraprendere … la storiella doveva uscire, Giacinto e il maresciallo Gradone avevano l’urgenza di lasciare il mondo della fantasia per vivere in quello concreto della pagina da leggere … GRAZIE! 🤩

l’amore secondo Marx

«Quando il tuo amore non produce amore reciproco e attraverso la sua manifestazione di vita, di uomo che ama, non fa di te un uomo amato, il tuo amore è impotente, è una sventura.»Karl Marx 🧚‍♀️

#ilTerzoLivello

ChatGPT è un trip… io e lui, o lei, per S. Valentino abbiamo deciso di organizzare un evento sull’inconciliabilità tra capitalismo e amore, ecco i protagonisti con i titoli degli interventi:

1 – Simone de Beauvoir: “La schiavitù dell’amore nella società capitalista”

2 – Friedrich Nietzsche: “L’amore e la sua distorsione nel capitalismo”

3 – Karl Marx: “L’amore nell’era del capitalismo”

4 – Martin Buber: “Percezione e relazioni amorose”

5 – Jacques Derrida: “Linguaggio e relazioni amorose”

6 – Gloria Anzaldúa: “Relazioni amorose e dinamiche di genere, razza e classe”

7 – Søren Kierkegaard: “L’amore e il capitalismo come forze opposte”

8 – Max Weber: “Il capitalismo e la trasformazione dei valori amorosi”

9 – Jean-Paul Sartre: “Le relazioni amorose e la libertà”

10 – Erich Fromm: “L’amore come attitudine sviluppabile”

…. ed ecco i paragrafi di riflessione:

1 – Simone de Beauvoir ha visto la società capitalista come una fonte di oppressione per le donne e le relazioni amorose. Nella sua opera “Il Secondo Sesso”, ha sostenuto che il capitalismo ha creato un’immagine idealizzata dell’amore romantico che viene usata per controllare le donne e impedir loro di raggiungere la libertà.

2 – Friedrich Nietzsche ha criticato il capitalismo per la sua tendenza a distorcere i valori morali e le relazioni umane, comprese quelle amorose. Ha sostenuto che il capitalismo ha ridotto l’amore a un mero scambio di beni materiali, privando la gente della sua profondità e significato.

3 – Karl Marx ha visto il capitalismo come un sistema che distrugge i legami sociali e le relazioni umane, comprese quelle amorose. Ha sostenuto che il capitalismo ha ridotto la vita umana a una mera questione di produzione e scambio di beni, distruggendo il significato e la dignità dell’amore e delle relazioni umane.

4 – Martin Buber ha sostenuto che le relazioni amorose sono influenzate dalla percezione che la gente ha del mondo e degli altri. Nella sua opera “Io e Tu”, Buber ha affermato che il capitalismo promuove una percezione individualista del mondo che ostacola lo sviluppo di relazioni amorose autentiche e significative.

5 – Jacques Derrida ha affermato che il linguaggio gioca un ruolo importante nelle relazioni amorose. Ha sostenuto che il capitalismo promuove un linguaggio ridotto e riduttivo che impedisce la formazione di relazioni amorose autentiche e significative.

6 – Gloria Anzaldúa ha sostenuto che le relazioni amorose sono influenzate dalle dinamiche di genere, razza e classe. Ha affermato che il capitalismo crea barriere per le relazioni amorose tra persone di diverse classi sociali, razze e generi.

7 – Søren Kierkegaard ha sostenuto che l’amore e il capitalismo sono forze opposte e incompatibili. Ha sostenuto che il capitalismo riduce l’amore a una mera transazione economica, privando la gente del suo significato e profondità.

8 – Max Weber: Max Weber ha sostenuto che il capitalismo ha trasformato i valori amorosi, riducendo l’amore a un mero scambio di beni materiali e trasformando le relazioni umane in relazioni puramente economiche. Ha sostenuto che il capitalismo ha creato una società in cui le relazioni sono governate da calcoli egoistici, privando l’amore della sua umanità e spiritualità.

9 – Hannah Arendt: Hannah Arendt ha sostenuto che il capitalismo ha creato una società in cui gli individui sono visti come merci e le relazioni umane sono ridotte a semplici transazioni economiche. Ha sostenuto che il capitalismo ostacola lo sviluppo di relazioni amorose autentiche e significative, distruggendo la natura umana dell’amore.

10 – Jean-Paul Sartre: Jean-Paul Sartre ha sostenuto che il capitalismo crea una società in cui gli individui sono visti come merci e le relazioni umane sono ridotte a semplici transazioni economiche. Ha sostenuto che il capitalismo ostacola lo sviluppo di relazioni amorose autentiche e significative, privando l’amore della sua umanità e spiritualità.

… a questo punto gli ho detto: «Ora per ogni titolo e per ogni informazione che hai elencato consigliami un’opera dell’autore che hai scelto.»

e lui o lei …

«Certo, con piacere! Ecco un elenco di opere consigliate per ogni autore:»

1 – Friedrich Nietzsche: “Al di là del Bene e del Male”, “Così parlò Zarathustra”, “La gaia scienza”.

2 – Martin Heidegger: “Essere e Tempo”, “Lettera sull’umanismo”.

3 – Simone de Beauvoir: “Il Secondo Sesso”, “L’età della discernibilità”.

4 – Michel Foucault: “Sorvegliare e Punire”, “Storia della follia nell’era classica”.

5 – Jacques Lacan: “La Semantica del Sé”, “Le Formazioni dell’Inconscio”.

6 – Theodor Adorno: “Minima Moralia”, “Dialettica dell’Illuminismo”.

7 – Erich Fromm: “L’arte di amare”, “Il cuore dell’uomo”.

8 – Karl Marx: “Il Capitale”, “Manifesto del Partito Comunista”.

9 – Hannah Arendt: “La Vita delle Nazioni”, “Eichmann a Gerusalemme”.

10 – Jean-Paul Sartre: “L’Essere e il Nulla”, “La Nausea”.

Queste opere rappresentano alcuni dei lavori più significativi e influenti di ogni autore e possono offrire una panoramica approfondita della loro filosofia e pensiero. Ti consiglio di approfondire la tua conoscenza di ognuno di loro, anche leggendo altre opere e fonti.

Con Giacinto ne avremo di cose di cui ridere 🤣

crop faceless couple holding hands on balcony
Photo by Anete Lusina on Pexels.com

il trailer

.. e come uno sgorbio può rappresentare un milione in poco spazio, così consentite a noi, zeri di questo conto immenso, di agire sulle forze della vostra fantasia

William Shakespeare 🧐

la musica è di Angelo Madureira, la composizione si chiama: Reggaebáh

per vedere il video basta fare un click sul biondino con il pannolone degli anni 60′ 🙂

su una spiaggia di Torrione a Salerno nel 1967

autopubblicatevi!

… che esperienza!

ho preso un raccontino di oltre 30 anni fa e l’ho pubblicato su Amazon …

grazie Bonaventura!


sarà un tantinello narcisista ma viviamo anche grazie a piccole soddisfazioni personali che dobbiamo solo a noi stessi.

Ecco il mio raccontino del 1988:

primo dell’anno 2021

😎 … rasato in testa e in faccia, è arrivato, si parte, butteremo le mascherine e torneremo ad abbracciarci, torneremo a guardarci negli occhi fuori dai monitor, torneremo a lavorare, giocare e correre l’uno a fianco dell’altro, a scontrarci e a confrontarci senza paura di inspirare ed espirare virus letali, torneremo a respirare la libertà di questa vita, precaria, dura, maligna ma anche densa di passione, di meraviglia e d’amore. Non chiedetemi quando, so solo che impazziremo di gioia! Buon 2021 mondo mio…

l’arcobaleno del 30 dicembre

palazz sgarrupati, pioggia, grandine e poi l’arcobaleno che si infila nel cielo nero … un presagio di liberazione !

arcobaleno

il sole

il sole sorge sempre, sorge sempre ad est…

Canzoni di protesta, di Pace e d’Amore: un grande Relé!

Raccontare sogni è complicato. Sono così tanto personali, soggettivi, intimi, inenarrabili, vividi ma assurdi, eroici ma sempre interrotti. Quando poi i sogni diventano collettivi e vissuti nella vita reale, ogni racconto è di per sé un sogno, un mito, un cammino, un’esistenza senza tempo, senza fine. Raccontare questo lavoro di Luigi è per me impossibile, è “difficile essere uomo Sarebbe meglio volare”: appunto.

Ascolto e la musica mi fa immaginare prati assolati d’estate alle spalle di una scogliera sul mare d’Irlanda. Poi la prima ballata che mi strugge per la sola eredità possibile, che anch’io posso lasciare a chi incontro teneramente avido di risposte “… dei giovani il futuro”: appunto.

Poi i Balcani, gli zingari e il circo della vita comincia a ballare, “Verso la terra promessa”: appunto.

Poi ancora una ballata di classe italiana con un piano dolce come il miele anche se sento “Vorresti che il dolore Si trasformasse in pianto”: appunto. Poi senti una brezza possente, da brividi, africana, in una canzone d’amore per le donne che ti dice “Non è più tempo di tremare”: appunto.

Dove? L’unico posto che connette ogni esistenza, ogni lacrima, ogni vittoria, ogni sconfitta, ogni cammino, ogni pop, “Ogni ingiustizia o falsità”: appunto.

Ma dove vado senza i racconti dell’infanzia per godere fiati, rap, allegria, ricordi, fusion, mare e vita, “E all’odore buono del pane”: appunto.

Non mancano le caccole ben servite “E con virile saluto romano”: appunto.

Poi una ballata folk d’autore che mi regala un film, dalla fatica del lavoro, al tragitto del ritorno, al rischio della sofferenza per amore, a “Bella, c’è una luce dentro ai tuoi occhi Che illumina la stanza E fa splendere la notte”: appunto.

Poi il blues e che blues, “Bella ciao e Via del campo”: appunto.

Poi il medioevo metropolitano, il canto tribale, “Ma nun ce scassate ‘o cazz”: appunto.

“E se verranno un giorno a cercarmi Troveranno soltanto le mie orme”.

Sarà complicato raccontare i sogni ma con queste tue musiche e parole, si sentono i profumi, gli odori cattivi, si vedono i colori, vibrano le emozioni: non si può smettere di sognare ancora. Grazie Luigi

lavoro ai tempi del coronavirus

lockdown