UN VOLTO NELLA FOLLA

Bud Schulberg, Mattioli 1885 Editore, 2022

Curioso curiosando seguo la traccia degli stimoli quotidiani, provando a distinguere semi vivi nella nebbia di parole che tutto opprime. Anelo cèrnere tra lampi, le connessioni elettriche più intense, come quelle tra neuroni agitati, e quindi accecato da fremiti luminosi, reagisco come posso, come so, come meglio sarà domani. Così immagino con l’acquolina in mente di afferrare l’inconoscibile diventare elevato pensiero tra mortali, una lepre che scappa dopo aver rosicato i fili della sua catena, terrena, precaria ma effervescente.

«Un volto nella folla… il colpo di grazia alla “società della finzione” nella quale sopravviviamo perché anche noi, come gli attori, recitiamo spesso un ruolo che non ci appartiene.»

Fili, fili e fili ancora, intrecciati, annodati, lacerati dall’usura vergine, affilati e strappati con mani callose che scavano terra. 😍

Quest’uomo che fino a pochi mesi fa non sapevo esistesse, con QUANDO CADONO LE STELLE prima e con UN VOLTO NELLA FOLLA dopo, mi ha pulito come un tergicristallo che stride, quello che tira via la sabbia del deserto quando piove fango sulle nostre vecchie auto parcheggiate al sole del sud, d’estate. Pulisce e graffia, lascia il segno e la nebbia sparisce dalla vista, e gli occhi si riempiono di nuovi mondi. Dalla Storia, dal passato, emergono i classici a confermare che non siamo né possiamo essere moderni ma solo copie replicate con vite già vissute, universi conosciuti e plasmabili come creta vergine che ci appare irripetibile perché nostro è il corpo che vibra.

Il racconto di Budd Schulberg spiega bene l’ipnosi collettiva in cui siamo caduti con il fenomeno Beppe Grillo che ho seguito dalle origini, da prima dei cinque stelle, molto prima, da quando partecipammo attivamente alla colletta per l’acquisto del microscopio elettronico a quel mellifluo dottore delle nano particelle, tal Montanari, che preso poi da manie di grandezze politiche, si candidò premier in questo meraviglioso paradiso chiamato Italia.

Mentre qualche “compagno” adorante leccava le palle del cono gelato menomato dal vate Grillo ormai sazio, quel pomeriggio al palazzo della provincia di Salerno, le risate di quei due ancora mi grattano nel cervello. Grillo e Montanari si guardavano e ridevano dopo un’affermazione scientemente preoccupante: “le nano particelle di metallo pesante provocano lancinanti pruriti nelle vagine”. Ridevano e giocavano con gli indigeni del luogo, come i conquistadores facevano agli anelli al naso nel ‘500. Era la campagna “ferramenta ambulante”… l’estinto Fico, primo leader del meetup di Napoli dovrebbe ricordare. Era un’altra vita quella di tante vite fa.

Ripeto, dalla prefazione di Gian paolo Serino:

“società della finzione” nella quale sopravviviamo perché anche noi, come gli attori, recitiamo spesso un ruolo che non ci appartiene.

Quindi caro diario, come ti sarà ormai chiaro, questa è solo una cronologia di inciampi, di cadute, d’illuminazioni, attimi immensi come la visione di un volto che nella folla non potrai mai più dimenticare. Oggi solo sapienza e conoscenza che costa poco. Di quella dura, immortale, a tempo indeterminato, scolpite nella pietra anche se solo inchiostro su carta, di quella che non si spegne con un interruttore, di quella che puoi ripetere a voce alta e meravigliare chi ti ascolta. Forse un giorno i brevetti e i diritti d’autore saranno solo archeologia, il profitto condannato a morte nei resti di civiltà estinte e questi byte persi come lacrime nella pioggia, acida come l’oblio.

Domani IoScrittore

Caro Diario, io so che tu sai come sai che esisti per tenere traccia di emozioni che altrimenti perderei per sempre, proprio come quest’intrigante attesa per domani 18 giugno…

Dal 2021 ci provo con una storia che per i 4/5 è ancora tutta da scrivere 🤣 come lo è l’incipit ({minimo 30.000 e massimo 60.000 battute spazi inclusi}) che per il terzo anno ho presentato a IoScrittore.

È una bella sfida: interessante sono i giudizi che arrivano dopo la prima fase. Ecco quelli del 2021 e del 2022… noto come da una revisione all’altra, questi giudizi siano quasi migliorati 🤣 e domani avrò quelli 2023. L’eventuale ammissione alla seconda fase mi costringerà a scriverla tutta questa mia strana storia. 🤣 Intanto affido alle tue pagine questa mia intrigante attesa.

Giudizi 2021

• Del personaggio principale si capisce troppo poco: al lettore devono essere dati più punti di riferimento, anche se magari centellinati poco a poco. Troppi interrogativi senza risposta; troppi colloqui interiori.La disposizione del testo va meglio studiata e alleggerita.La vena comica è piacevole ma non deve lasciare che tutto cada nel grottesco.I dialoghi sono male strutturati, sia per caratterizzazione grafica, sia per alternanza di battute e tendono a trasformarsi in successione di lunghi monologhi poco credibili.La lingua va rivista e resa personale con qualche guizzo di inventiva.

• In questo incipit ci sono alcune idee di fondo interessanti e alcune capacità di scrittura che, se perfezionate, potrebbero portare a risultati positivi, purtroppo ci sono anche alcuni grossi difetti che pregiudicano il risultato finale.Il personaggio principale, che rimane comunque troppo misterioso per l’intero incipit, è inserito in un’ambientazione che stuzzica l’attenzione e ha una psicologia credibile. L’uso della prima persona, le domande retoriche e il troppo ‘pensato’ a scapito del narrato/dialogato, invece, lo indeboliscono.L’idea dei poliziotti incapaci e ottusi è interessante, ma troppo insistita: li trasforma in macchiette poco credibili. I dialoghi sono male strutturati, sia per caratterizzazione grafica, sia per alternanza di battute e tendono a trasformarsi in successione di lunghi monologhi poco credibili.Se l’autore passerà al turno successivo (come gli auguro) e riuscirà a rielaborare con coraggio i punti che gli ho elencato, sicuramente le sue speranze di vittoria aumenteranno notevolmente. Per ora, tutto appare, un po’ acerbo.

• La narrazione è lenta e inconcludente, mi ha lasciato con una profonda noia e senza la minima curiosità riguardo al prosieguo della vicenda. Ho inoltre trovato la prosa troppo pesante, senza guizzi e monotematica, così come i personaggi.

• Si merita sicuramente la sufficienza, il testo non contiene errori e non ha debolezze lampanti. Parte molto bene, con un romantico flashback sui pascoli valdostani e poi un amara descrizione del presente del protagonista a sottolineare lo strappo tra le sue due vite. Dal momento in cui iniziano i dialoghi tuttavia, i personaggi (narratore compreso) perdono spessore. L’intera, lunghissima scena alla stazione di polizia non è convincente, le conversazioni sembrano costruite con il solo fine di sottolineare il carattere gioviale del maresciallo, ma risultano ridondanti e superflue. Ho utilizzato l’aggettivo “lunghissima” per descrivere la scena in centrale e mi rendo conto che forse non è affatto lunghissima, ma questa è la percezione che ne ho avuto.

• Interessante l’idea di caratterizzare il protagonista come un personaggio vagamente disturbante. Tuttavia i dialoghi non risultano realistici. Ad esempio nella fase iniziale dell’interrogatorio il maresciallo accavalla troppe domande. Inoltre sono presenti alcuni errori grammaticali (es: vikingo)

• ‘Sarei tornato… ma non trovai’, io avrei scritto invece: ‘Ci ritornai in quella campagna…ma senza trovare più gli stessi colori’. Al posto di: ‘Sarei tornato per rivivere le emozioni irruenti e straripanti che quell’estate stravolsero la mia vita per sempre’, metterei: ‘Ci tornai per poter rivivere le emozioni irruenti e straripanti di quell’estate che stravolse per sempre la mia vita. Invece, mai più…’ Insomma, bisogna lavorare sulla scorrevolezza delle frasi, e non sbagliare i tempi verbali. Simpatiche la descrizione della mucca e le manie del protagonista. Ho trovato invece poco credibili i dialoghi col maresciallo e la situazione in sé (il fatto che venga trattenuto ore in commissariato per una testimonianza, senza una spiegazione plausibile). Alcuni refusi. Tuttavia per me resta un incipit che non mi invoglia a continuare la lettura del romanzo. 5-6-5-6

• L’incipit di questo romanzo ha una verve molto romantica e quasi eterea. Il protagonista ricorda un’estate lontana, una donna, forse un vecchio amore. Il linguaggio è particolarmente ricercato nello prime venti righe o poco piu, per poi passare ad un tono piú prosaico. C’ è quasi una rottura fisica tra questi ricordi quasi nostalgici e l’inizio brusco della vita solitaria del protagonista che sembra molto piatta e abitudinaria, ma in qualche modo anche misteriosa. Angelo Maria Chanoux sembra avere relazioni e sentimenti strani con le donne. All’inizio evoca Clara che pare il classico amore perduto ma unico, poi peró questa impressione viene smentita dall’introduzione di Tiziana: un’impiegata di un supermercato che sembra del tutto ignara di questo attaccamento morboso quasi malato del protagonista. Le dinamiche relazionali appaiono esistere solo nella mente di Angelo che improvvisamente viene portato in caserma ove comincia un debole dialogo col maresciallo. Questa ultima parte vuole essere volutamente pregna di intrigo e mistero, seguire le fila del protagonista che sembra a questo punto davvero un uomo degno di un giallo alla Agatha Christie. Sembra, appunto. I personaggi sono dei cliché, dal maresciallo col vocione che suda alla Montalbano all’ispettore donna della polizia tutta gambe e flessuositá tipiche dei gialli polizieschi in TV. Il mistero che avvolge il protagonista è un cliché riveduto che parte dal classico omicidio e commisariato. Il tono si mantiene piatto, monocorde, nonostante la singolarità del personaggio e degli eventi vorrebbero trascinare il lettore nel proseguo della storia, attraendolo. Onestamente non mi ha incuriosito, non finirei di leggere questa storia che si mantiene pressoché incolore e scevra di sentimento con la presunzione di aver gettato le basi per un mix invincibile di attrattiva: romanticismo spicciolo, giallo da nastro industriale e personaggi ahimé ormai troppo scritturati e conosciuti.

• Inizialmente non avevo ben capito che Clara fosse…una capra? Credo che sia una capra. Trovo che l’autrice/autore abbia davvero un gran talento, tuttavia l’uso degli aggettivi è molto ripetitivo e può risultare un po’ ingombrante all’interno della narrazione. Trovo il protagonista molto interessante.

• Redatto con uno stile squillante e personale. La storia è originale e scritta bene anche nella lingua e i dialoghi sono veloci, attuali, ironici quanto basta. L’ambientazione è verisimile e descritta a tratti veloci ma con precisione. I personaggi sono credibili e ben caratterizzati anche da un punto di vista psicologico.

Giudizi 2022

• le prime pagine con i ricordi dell’adolescenza vissuta con Clara tra le valli del Gran Paradiso è stata una scelta azzeccatissima dell’autore. la narrazione non è annoiante e ripetitiva, non gronda di particolari inutili ma capisci subito la personalità del protagonista Angelo: le sue manie nella scelta dei cibi, il suo restare in contatto col mondo senza la mediazione della tecnologia, Tiziana come uno spiraglio di pace, come Salerno e tutti i posti in cui ha vissuto, il suo evidente stupore e imbarazzo con le forze dell’ordine. anche i personaggi che entrano piano piano nella storia è un elemento piacevole, essi sono credibili e i loro discorsi non forzati e costruiti. mi ha coinvolto fino all’ultima pagina e mi piacerebbe fosse tra i finalisti.

• La narrazione scorre fluida e chiara, il punto di vista è quello del protagonista che svela, nel corso della narrazione, paure e traumi di cui non si è mai liberato con il passare degli anni. L’intenzione del testo però risulta poco chiara: il romanzo è di tipo formativo (con crescita del personaggio e agnizione finale) o è più da incasellare nel genere poliziesco/investigativo? La trama inoltre risulta (è comunque solo l’incipit, quindi non posso avere una visione esaustiva d’insieme) poco avvincente e senza spinta, valuterei quindi insieme all’autore di aggiungere elementi di suspense/mistero che possano renderla fin da subito accattivante al lettore.

• La scena principale all’interno del comando dei carabinieri e l’alone di mistero che avvolge il protagonista, la cui figura è in qualche modo legata a due omicidi, lasciano intendere l’inizio di un Thriller. La lettura è scorrevole e rispecchia lo stile di uno scrittore maturo. Mi è piaciuta meno la caratterizzazione dei personaggi, in particolare quella dell’ispettrice Santoro , soprattutto per la descrizione che ne fa il protagonista. Valchiria, amazzone e chi più ne ha, più ne metta… classico esempio della donna che ricopre un ruolo importante, ma che è apprezzata soprattutto per le sue doti fisiche. Spero che sia stata solo una mia impressione e perciò voglio lasciare il beneficio del dubbio. I dialoghi sono realistici e coerenti con i personaggi, anche se farei attenzione ad alcune espressioni usate dal maresciallo, perché al limite della caricatura. In generale, l’incipit ha stuzzicato la mia curiosità sullo sviluppo della trama.

• Le prime sette pagine dello scritto sono pesanti da superare, ma se il resto del libro prosegue come dalla seconda parte in poi è possibile che sia benfatto, per quanto la cosa non si capisca dall’estratto. La scrittura, pesantissima al principio, non ha molto da eccepire a parte un paio di virgole mancanti e il secondo verbo della terza frase (dovrebbe essere “mai più avrei trovato calore, solo angoscia…”), ma non ha neppure molto che attiri per la scrittura in sé. Le frasi sono molto prolisse, cosa non adatta al tono monotono del racconto. La lentezza palesemente intenzionale è un problema. Si crea l’effetto di un flusso di coscienza e l’assenza del dinamismo da una parte e di informazioni dall’altra fa sì che l’interesse sviluppato per il protagonista e per la storia sia basso. Il non sapere di chi o di quale animale si stia parlando da principio e di quale sia la tragedia della lontana “estate” non mettono curiosità a causa del reiterato girarci attorno. Un accenno stimola l’interesse, così come più rimandi che inframezzano altro, ma un susseguirsi di frasi ambigue non dovrebbe proseguire tanto a lungo. Inoltre, l’ambiguità iniziale su chi sia Clara e l’ipotesi remota che sia umana, debole di mente o molto giovane, creano un’impressione disturbante perché inducono il lettore a pensare, anche se solo un poco, agli abusi, che non hanno a che fare con la storia né con il tipo di malessere del protagonista. Non c’è nulla di palesemente sbagliato nel tratto iniziale, ma non conquista come dovrebbe. Troppe frasi sono usate per accennare allo stesso evento, alcune andrebbero eliminate. La ripetizione sembra un tratto peculiare del protagonista e può essere mantenuta, ma non sembra realistica la poca chiarezza con cui il protagonista rimugina su degli eventi. Nei tratti da non abbreviare, inoltre, i rimandi a un vago passato andrebbero inframezzati da altro, per stemperare l’impressione di non stare andando da nessuna parte. Una volta superata la prima sezione dello scritto, però, credo che il livello del libro dipenda interamente dall’impostazione del giallo, per il momento accennata, e dalla chiarezza con cui verranno spiegati gli eventi. Non so quale sia la velocità dell’intero scritto, ma suggerisco caldamente una coerenza nella quantità di eventi che accadono in ogni pagina. La caratterizzazione dei personaggi è fatta davvero bene e riducendo l’effetto di un flusso di coscienza questo potrebbe essere il punto forte dell’opera.

• La doverosa premessa è che il poliziesco non è esattamente nelle mie corde. Nonostante il genere non rispecchi i miei gusti ho trovato l’incipit di questa opera godibile, ben scritto ed efficace. L’alone di mistero circa l’esperienza sconvolgente che ha vissuto il protagonista nel passato crea curiosità e spinge alla lettura, così come le manie e le paranoie che si porta dietro. Meno curiosità si genera invece intorno all’omicidio per cui viene convocato in centrale e interrogato. L’unica pecca che ho potuto riscontrare, almeno da quanto letto, è un po’ nell’originalità dei personaggi. Il vecchio ispettore prossimo alla pensione, affiancato da una giovane e attraente collega, ha l’eco di un film già visto. Suggerisco in modo del tutto spassionato di rivedere alcune espressioni che suonano un po’ artificiose come “sontuosa chioma setosa” (sarebbe bastato un solo aggettivo per rendere l’idea). Al di là di ciò il mio giudizio è comunque positivo.

• Racconto estremamente psicologico che mantiene un buon ritmo nonostante l’azione sia piuttosto limitata, interessanti i personaggi (per quanto un po’ stereotipati), discrete le descrizioni degli ambienti. L’io narrante mentalmente tormentato ricorda, coi dovuti distinguo, il buon Patrick McGrath (autore di capolavori come Follia e Spider) e trascina il lettore con sé nei suoi deliri al limite dell’ossessivo compulsivo. Valutazione complessiva buona, peccato per qualche refuso sparso (il comune valdostano vicino a Cogne si chiama Valsavarenche non Valsamaranche).

• Sono pochi l’incipit veramente belli, sono rari, ma credo che questo si meriti di rientrare nella categoria; incipit riusciti bene.Fin dalle prime pagine l’analisi interiore del protagonista ci permette di entrare in empatia con lui e insieme ci ipnotizza con uno stile narrativo avvolgente.Le parole sono dense ma fluide, si incastrano bene una con l’altra e danno forma ad una specie di danza grammaticale ben struttura.Un punto chiave della storia è il concetto di luogo e di cosa esso dà o trasmette all’essere umano.I luoghi ci danno angoscia o appartenenza, ci chiedono di restare oppure di scappare e questo si sente bene, delineato a modo, fin dalle prime pagine.Trovo invece un po’ stonati i dialoghi, non impaginati bene e un po’ troppo lunghi e poco intervallati, sul finire delle pagine, alle frasi descrittive, rispetto alle descrizioni così ariose e tratteggiate con cura, i dialoghi perdono un poco di efficacia e realismo. Molto belle le parabole sul come ci si sente attraverso se stessi, come l’esempio della stanchezza, che permettono alla vicissitudini raccontate non solo di seguirci accanto ma di entrarci dentro.La trama lascia poi, volutamente e sapientemente, aperta la porta alla suspense, facendoci chiedere in modo insistente, cosa accadrà ora?

• Trovo la storia interessante e l’intreccio ben organizzato. Lo è anche l’incipit, con la presentazione di un personaggio che la vita ha trasformato, che fatica a stare al mondo soprattutto in un contesto più caotico di quello in cui è rimasta la sua mente. Al netto di qualche costruzione che ho trovato un po’ farraginosa (soprattutto nelle primissime pagine a dire la verità), la scrittura è piacevole e riesce a coinvolgere abbastanza bene, lanciandoci all’interno della narrazione. Il consiglio è di affinare un po’ la narrazione, ma siamo sulla buona strada.

• La prosa confusa spesso impedisce una corretta comprensione degli avvenimenti, non aiuta il fatto che spesso sembra che si passi da un flusso di coscienza ad uno stile più convenzionale. L’elenco puntato ad ogni dialogo è una minuzia che però infastidisce e fa questionare l’attenzione posta a rifinire l’opera.

• Ciao Intrepida, mi ha fatto molto piacere il tuo testo, e provo a commentarlo, pur sempre come una persona ignorante. Il tuo tema è davvero attuale: è appena uscita la sentenza definitiva sul caso di Stefano Cucchi, il tossicodipendente fermato per un banale controllo contro la droga, e poi picchiato fino alla morte da due carabinieri, per puro accanimento; a breve uscirà anche un podcast sulla vicenda di Mario Cerciello Rega, il carabiniere ucciso da due turisti mentre non era in servizio e che, è poi emerso, forse era complice dello spaccio della droga che i due cercavano. Ovviamente salta alla memoria “Il processo” di Kafka, anche se il tuo testo ha un tono intimo, il monologo interiore dell’outsider che osserva la società da fuori, senza farne parte: Angelo è uno dei tanti senza nome che vagano nelle città come ombre, e che magari servono da scenografia a qualche VIP, quando il VIP si fa fotografare sui social network mentre fa l’elemosina ai barboni. È una di quelle persone che vale la pena ascoltare, perché il suo dramma privato non tocca nemmeno questioni di risonanza pubblica come i profughi di una guerra: sembra che ci siano gerarchie di storie più e meno raccontabili. L’ibridazione col genere poliziesco funziona, perché alla base della storia di Angelo ci sono pur sempre due delitti irrisolti, quindi il mistero intriga, e invoglia alla lettura. Però non so dire di più, perché nella sinossi non hai scritto come la storia evolve: un piccolo consiglio è quello di usare la sinossi per descrivere tutta la storia, compreso il finale, perché in questo caso non è una quarta di copertina che deve accattivare il lettore, ma solo un documento utile a valutare il testo nel complesso. Lo stile funziona, anzi sembra che i discorsi di Esposito e Santoro siano la voce di un narratore esterno in terza persona, che alterna il monologo di Angelo. Visto che però è chiarissimo che Angelo sia un outsider che ha subìto un trauma, eviterei di dichiarare apertamente il tema e la parola “trauma”: è davvero bello l’incipit dove Angelo racconta l’idillio adolescenziale con la mucca Clara, e un attimo dopo lo ritroviamo in un reparto latticini, a leggere le etichette di ciò che Clara non ha mai dato alla luce; ma tutto il paragrafo da “non sempre esco di notte” a “penso a Clara e le voci si spengono” è ridondante, perché vuol già descrivere quel trauma, che comunque scopriremo poi. Le parole non devono essere descrizioni, ma azioni: io sostituirei il passaggio in cui si dice “trauma” con un sottotesto: il racconto di un programma TV che Angelo ha visto in una delle notti insonni. Così la scena che la TV trasmetterà, e che tu ideerai, sarà un’allegoria del “fatal flow” di Angelo, più o meno come la scena al banco latticini, ma senza bisogno di spiegare tutto in modo esplicito. Questi messaggi inconsci sono molto efficaci. Spero proprio di poter leggere il tuo romanzo per intero… perché il mio augurio è che ti venga pubblicato! 😉

AGGIORNAMENTO: giudizi 2023
Intrigante. Un incipit che si legge con facilità, con personaggi ben delineati, giustamente contrapposti e con una giusta dose di sottile ironia. Si sente da subito la tragedia che aleggia sullo sfondo, un passato di cui si vuole sapere di più. Un buon inizio. Anche la scrittura è scorrevole, con belle metafore, non banali.

Incipit scritto con padronanza che conduce con maestria il lettore nei diversi piani temporali della storia. Dall’incipit non mi sembra una storia che brilli per originalità, ma i personaggi sono delineati con brio, sia il protagonista che quelli secondari. Qualche errore di impaginazione e formattazione da correggere se, come ti auguro, passerai in finale.

L’autore ha dato vita ad una storia che è un mix di generi e sottogeneri, il che mi fa temere che non abbia le idee chiare. Il romanzo viene presentato come un testo di narrativa generale ma poi si snoda in un intreccio fra due omicidi, entrambi (pare) legati ad un vecchio trauma del protagonista. Ora, se si tratta di un romanzo giallo (come fanno sospettare gli omicidi e le indagini dei carabinieri/polizia), mi pare al quanto confusionario e mal strutturato. Le scene principali dell’incipit si svolgono al commissariato dove Angelo viene interrogato: nella scena prima accade qualcosa del quale lui stesso, e il lettore con lui, non ha un minimo indizio o una traccia che solletichi la curiosità. La trama avrebbe funzionato se lui uscendo dal Bigstore avesse visto, ad esempio, una donna dall’aspetto familiare ma che lui stesso non riesce a rammentare. E lui, in parallelo alla polizia, iniziasse la sua personale indagine nella memoria. Così com’è il testo invece si costruisce una catena di fatti su un evento scatenante che non ha consistenza, se si tratta di un romanzo giallo. Se invece la storia vuole appartenere alla narrativa generale, la trovo delirante. Il protagonista delira a proposito di una mucca che portava al pascolo e di come le cose siano cambiate per sempre però non ci dà veri indizi per innescare le giuste domande nel lettore: che cos’è successo? Tutto ciò che ci viene mostrato è la fissazione per i latticini del protagonista. Ora, capisco che l’autore l’abbia utilizzato come espediente per trasmettere e rendere chiari i disturbi psicologici di Angelo ma, insomma…le etichette trascritte sono troppo. Io credo che l’autore volesse scrivere un romanzo di narrativa generale ma che, per la paura di non trovare abbastanza contenuti per “animarlo” e tenerlo su, lo abbia mescolato con elementi del giallo per non far mancare la storia di eventi. Spesso viene utilizzato l’espediente di scrivere un giallo ma allo stesso tempo munire il protagonista di un conflitto interiore che lo renda più introspettivo e renda la storia sulla linea anche della narrativa generale. Si può fare quindi, ma con più sobrietà altrimenti si rischia un “mappazzone letterario” come questo. Elementi positivi sono invece il linguaggio scorrevole e il buon ritmo della narrazione. Nonostante infatti vi siano lunghi momenti in cui di fatto non accadono eventi e la storia abbia un che di delirante, la scrittura non si fa mai pesante e non si inceppa. Credo che l’autore dovrebbe ripulire la trama del romanzo per quanto è riuscito a rendere fluido e scorrevole lo stile.

La trama abbozzata nell’incipit parla di una persona, con evidenti segni di disagio psicologico, causati da un evento avvenuto nell’estate del 1985, che viene prelevata dai carabinieri come persona informata dei fatti. I fatti sono relativi ad un qualcosa che è avvenuto nel posto (il supermercato) e nel tempo (la notte prima) dove si trovava il protagonista. Non so se è una scelta dell’autore… ma ho capito che si trattava di Tiziana quasi subito; se non è una scelta, proverei a riscrivere depistando un altro po’ il lettore. Gli ambienti e i personaggi sono descritti alla perfezione e il loro interagire li rende molto reali e pieni di vita, ognuno con le sue peculiarità. Si riesce a percepire il caldo afoso del clima come pure l’irrequietezza del protagonista, la stanchezza del maresciallo, la condiscendenza piena di rispetto e deferenza del giovane carabiniere Gaeta, ecc. L’uso della lingua è piacevole, scorre benissimo e ci tiene “incollati” ad una storia che, almeno fin qui, ha un ottimo sapore.

Ho apprezzato l’attacco dell’incipit, che mi ha subito incuriosito. Altra nota positiva dell’incipit è il personaggio principale: si percepisce subito l’instabilità mentale di Angelo, e questa è ben resa dai passaggi in cui la narrazione sembra voler seguire i suoi sproloqui e ragionamenti contorti, all’apparenza “insensati”. Mi convince meno, ad ora, la trama. In particolare, trovo troppo lunga la scena dell’interrogatorio, che prende da sola una buona decina di pagine. Inoltre, se trovo Angelo ben caratterizzato, mi lascia perplesso la figura del maresciallo. Per quanto sia chiaro l’intento macchiettistico, trovo alcuni comportamenti davvero troppo poco realistici (Come è possibile che Angelo che viene prelevato da casa “d’urgenza” senza neanche sapere perché? Di cosa dovrebbe parlare Angelo se nessuno lo informa della situazione? Perché il maresciallo condivide con Angelo dei ragionamenti relativi al caso che dovrebbero essere privati? E, infine, non si capisce se Angelo sia già un sospettato o meno: in caso negativo perché viene trattenuto così lungo? Dovrebbe essere libero di andare via in qualsiasi momento). Infine, attenzione alla punteggiatura e ad alcune sviste grammaticali (centri, po, si…). In bocca al lupo!

anche in questo caso purtroppo il libro non esiste: ancora un commissario, pensieri sconnessi che non sono espressi in forma compiuta, dialoghi mescolati senza senso, il solito c’era una volta iniziale…

Allora leggo un po’ di confusione, si passa dalla mente del protagonista all’ambiente esterno e poi vengono inseriti molti personaggi in un tempo breve e non mi è chiara la dinamica del tutto. Il trauma dei genitori ancora non è emerso, anche se si capisce che lui è un uomo alquanto traumatizzato. Basta rileggerlo con calma e si comprendono più cose, la storia mi piace. Nella sinossi avrei voluto sapere cosa succede, per vedere la coerenza della trama.

campo tennis

SCRITTURA

La scrittura è un’attività fondamentale per l’umanità fin dalla notte dei tempi, e nel XXI secolo la sua importanza è diventata ancora più evidente. Oggi, la scrittura è al centro della nostra cultura in modi che i nostri antenati non avrebbero mai potuto immaginare. Attraverso i libri, gli articoli, i blog, i post sui social media e le email, la scrittura ci consente di comunicare, esplorare, imparare e connetterci con il mondo intorno a noi.

“La Scrittura è un atto solitario che richiede coraggio, visione e dedizione.” – Paulo Coelho

“Scrivere è facile. Tutto quello che devi fare è sederti a una macchina da scrivere e sanguinare.” – Ernest Hemingway

“Scrivere è come scavare un pozzo profondo nell’anima e recuperare la vita che vi si trova.” – Isabel Allende

“Scrivere è un modo di parlare senza essere interrotti.” – Jules Renard

“La scrittura è un’immersione in un mondo di possibilità.” – Joan Didion

“La scrittura è la pittura della voce.” – Voltaire

“La scrittura è la chiave per scoprire la verità nascosta dentro di noi.” – Ray Bradbury

“La scrittura è un modo di tenere viva la vita, di congelare esperienze che altrimenti svanirebbero con il tempo.” – Anaïs Nin

“Scrivere è una questione di disciplina. Ci vuole molta più disciplina per scrivere un libro di quanto ne richieda qualsiasi altro lavoro.” – Toni Morrison

“La scrittura è un atto di coraggio.” – James Baldwin

“Scrivere è una forma di terapia.” – Graham Greene

“La scrittura è un lavoro che richiede coraggio e pazienza.” – Gabriel Garcia Marquez

“Scrivere è un modo per dare forma alle proprie emozioni e idee.” – Haruki Murakami

“Scrivere è il modo più intenso di vivere la vita che conosco.” – Nadine Gordimer

“Scrivere è il modo in cui mantengo un registro dell’umanità.” – Margaret Atwood

“Scrivere è un modo di imparare a conoscere se stessi.” – William Zinsser

“La scrittura è un atto di coraggio perché richiede di mettere in gioco se stessi.” – Anne Frank

“Scrivere è un’arte che richiede impegno e dedizione costante.” – Stephen King

“Scrivere è un atto di resistenza contro l’oblio.” – Milan Kundera

close up view of an old typewriter
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Come sostiene Paulo Coelho, la scrittura è un atto solitario che richiede coraggio, visione e dedizione. Scrivere può essere un processo difficile e impegnativo, ma attraverso di essa siamo in grado di esprimere ciò che altrimenti potrebbe rimanere inespresso. Come afferma Isabel Allende, la scrittura ci consente di scavare un pozzo profondo nell’anima e recuperare la vita che vi si trova. È attraverso la scrittura che possiamo esplorare i nostri pensieri più profondi e le nostre emozioni più intense.

Scrivere può anche essere un’esperienza terapeutica, come afferma Graham Greene. Attraverso la scrittura, possiamo dare forma alle nostre emozioni e idee, e trovare un senso di pace e consapevolezza. Scrivere può anche essere un modo per imparare a conoscere noi stessi, come afferma William Zinsser. Attraverso la scrittura, possiamo esplorare la nostra identità e le nostre esperienze, e trovare un senso di chi siamo.

Ma la scrittura non è solo un’attività individuale. Come afferma James Baldwin, la scrittura è un atto di coraggio. Attraverso la scrittura, possiamo dare voce alle nostre idee e alle nostre opinioni, e sfidare le convenzioni sociali e culturali. La scrittura ci consente di condividere le nostre storie e le nostre esperienze, di connetterci con gli altri e di creare comunità.

La scrittura è anche un atto di resistenza contro l’oblio, come afferma Milan Kundera. Attraverso la scrittura, possiamo preservare le nostre storie e le nostre tradizioni, e creare un patrimonio culturale per le generazioni future. Scrivere ci consente di esplorare le nostre storie collettive e di dare voce alle nostre identità culturali.

unrecognizable author typing on laptop near coffee at home
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La scrittura è anche un’arte che richiede impegno e dedizione costante, come sostiene Stephen King. Scrivere non è facile, ma attraverso la pratica e la perseveranza, possiamo sviluppare la nostra abilità e la nostra voce unica. La scrittura ci consente di esprimere la nostra creatività e di esplorare nuovi mondi di immaginazione.

Come afferma Margaret Atwood, la scrittura è anche un modo per mantenere un registro dell’umanità. Attraverso la scrittura, possiamo registrare i momenti importanti della nostra storia, le esperienze umane e le sfide che abbiamo affrontato. La scrittura ci consente di documentare il nostro mondo e la nostra esperienza di esso.

Nel XXI secolo, la scrittura ha acquisito una nuova importanza grazie alle tecnologie digitali e ai social media. Oggi, la scrittura è al centro delle nostre interazioni sociali e professionali. Come afferma J.K. Rowling, la scrittura ci consente di creare mondi immaginari e di connetterci con gli altri attraverso la narrazione di storie. Attraverso i social media, la scrittura ci consente di condividere le nostre esperienze e di connetterci con gli altri in modi che sarebbero stati impossibili solo pochi anni fa.

Tuttavia, la scrittura digitale ha anche sollevato nuove sfide e questioni. Come afferma Margaret Atwood, la scrittura digitale può essere vulnerabile ai cambiamenti tecnologici, e le opere digitali possono essere facilmente cancellate o perdute. Inoltre, la scrittura digitale può essere manipolata e diffusa in modi che possono essere dannosi per gli individui e la società.

La scrittura ha anche un profondo significato filosofico e sociologico. Come afferma Hannah Arendt, la scrittura è una forma di azione, in quanto ci permette di creare qualcosa di nuovo e di influire sul mondo intorno a noi. In questo senso, la scrittura non è solo un atto di espressione personale, ma anche un modo per partecipare alla sfera pubblica e contribuire alla formazione della società.

Inoltre, la scrittura è stata sempre considerata una forma di potere, in quanto ci permette di influenzare le opinioni degli altri e di creare una certa immagine di noi stessi. Come afferma Michel Foucault, la scrittura è un modo per creare e mantenere le relazioni di potere nella società. La scrittura ci permette di controllare il discorso e di creare un certo ordine sociale, e quindi è stata spesso utilizzata dalle élite per mantenere il loro potere.

Tuttavia, la scrittura può anche essere un modo per sfidare l’autorità e la società esistente. Come afferma Bell Hooks, la scrittura può essere un modo per le persone emarginate di riaffermare la propria identità e di creare un senso di comunità. Attraverso la scrittura, le persone possono condividere le loro storie e le loro esperienze, e creare un dialogo che sfida le norme e i pregiudizi esistenti.

In conclusione, la scrittura non è solo un atto personale di espressione, ma anche una forma di azione e di potere nella società.

Nel XXI secolo, la scrittura è diventata ancora più importante grazie alle tecnologie digitali e ai social media, che ci permettono di connetterci con gli altri in modi nuovi e innovativi. Tuttavia, dobbiamo essere consapevoli delle sfide e delle questioni sollevate dalla scrittura digitale, e impegnarci a utilizzare la scrittura in modo responsabile e consapevole. Come afferma Voltaire, la scrittura è la pittura della voce, e nel XXI secolo, la nostra voce può avere un impatto più grande e globale che mai.

contemplative man reading book and taking notes in home office
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IL FIORE DI MINERVA

Romanzo di Carmine Mari, 2022 Marlin EDITORE

L’insostenibile desiderio alla disconnessione credo sia una delle mie personali risposte immunitarie che mi salveranno dall’affogare nella melma connettiva di questo XXI secolo, epoca tanto malata quanto ricca di bisogni antichi ma eterni.

La cura, o meglio la fuga dal virus nocivo della stressante frenesia moderna, è il romanzo, uno meraviglioso come IL FIORE DI MINERVA, per esempio.

Questa lettura è stata per me una violenta terapia d’urto, benefica e deliziosa, sorprendente nonostante quello che potevo aspettarmi dopo aver goduto dell maestria dell’autore nel romanzo precedente, Hotel d’Angleterre.

La scrittura minuziosa, erudita ma leggera, aulica ma a tratti travolgente nell’azione e, capace di emozionare, ne fanno un toccasana senza tempo, per ogni stagione, per ogni malanno dell’anima.

Romanzo storico? È una categoria forse troppo limitante per questa magnifica storia, che oltre ad essere l’ennesimo tributo ad una città troppo spesso sminuita e cannibale di sé stessa, ha il respiro della magia e della scienza umana che sperimenta e costruisce intrugli miracolosi. Con gli eventi, gli intrecci mirabolanti, e personaggi più vivi di quelli che ci circondano ogni giorno per strada, al lavoro, in TV e sui social, l’autore sembra essere diventato lui stesso la speziale che racconta, alla ricerca di quella verità superiore, distillata ad ogni fremito del pensiero, verità recondita ai desideri più materiali e tormentati dell’animo umano, quella verità madre di bellezza e amore, la verità che trionfa sulle miserie e le violenze dell’uomo, la verità che si fa giustizia umana, terrena.

Questo romanzo è una pozione magica, è un concentrato di ingredienti antichi ma eterni, sostanze che rendono significativa l’esistenza di ognuno. Questo romanzo, come dicevo è un toccasana, ma non è solo un prodotto definito, contiene la ricerca e la spiegazione, le domande e le risposte, più di una ricetta da provare, ha in sé la mirabile capacità di trascinare il lettore con coinvolgimento crescente al desiderio di distruggere il male dentro e fuori di sé. La denuncia della violenza sulle bambine e il conseguente obbligo alla prostituzione, allora come oggi, insieme alla sottomissione della donna all’uomo, sono aberranti e purtroppo fatti che ci fanno pensare a come il male si riproduca senza freni, secolo dopo secolo, a come quest’epoca sia ancora tanto medioevale, altro che moderna.

Devo dire che alle tante brutture raccontate, tanto indispensabili e vere come le ossa del nostro scheletro che ci sorregge, a trionfare sono l’immensità della poesia e la bellezza tutt’altro che esteriore che mi è permeata nel profondo, con tutta l’intensità della carne dei muscoli e dei nervi di cui siamo fatti.

IL FIORE DI MINERVA è viaggio nell’essenza umana tanto vasta quanto terribile, tanto intricata quanto meravigliosa, è una settimana del 1551, un attimo nella storia, un momento di conoscenza approfondita, senza confini di spazio e di tempo, fatto di brividi che scuotono, di carezze che ammaliano, di Héctor e di Costanza, personaggi eterni di passione, riscatto e sogno.

«Certe cose sfuggono, quando non si sa cosa cercare.»

«E ora lo sapete?»

«Sì.»

PRIGIONE

Cara amica mia ti scrivo perché non so parlarti. Quello che dico è altro da quello che vorrei farti sentire. Già è vero, sai ascoltare e mi conforti sempre: le tue parole sono panna sul mio cuore e vorrei per sempre nutrirmi di tanta dolcezza, vorrei allungare i nostri incontri, inchiodare il sole nel cielo affinché mai arrivasse il tramonto sulle nostre giornate passate insieme. Forse meno arduo fermare il tempo, e così l’estasi vibrante nei tuoi occhi diventare la ragione della mia vita.

Non è possibile invece, il silenzio tra noi è assurdo, fragoroso e rumoroso, devastante come la nube tossica di paure che mi paralizzano i pensieri. Non voglio perderti. Non posso perderti eppure sei come una goccia arida che scivola sul vetro di un grattacielo affollato, in allarme senza corrente elettrica di una sera, un esilio di tempesta.

Piove ma vorremmo scappare fuori a bagnarci e vivere, invece chiusi come zombi ammutoliti disperdiamo le nostre energie nello sguardo di una notte nera come la pece, che arriva sempre. Parliamo tanto fino a stordirci, di questo e di quello, di sacrifici e doveri, di progetti e fallimenti, di luoghi sconosciuti e di terre promesse.

Ci piace dissertare su verità e bellezza, di come trovare nel buio i colori delle emozioni ma niente di noi, di come mi trema la carne sotto la pelle immobile e controllata, vestita di niente, all’apparenza fredda e razionale. Così ti vedo ma non voglio perderti. Io non oso e nemmeno tu ne hai il coraggio, questo lo sento, forse l’immagino per sperare ancora, per godere del silenzio tra noi che ci tiene uniti.

È la prigione che vogliamo? Impazzire sarebbe evadere e correre mano nella mano, impazzire sarebbe perderti e non incontrarti più. Impazzire è pensarti lontana mentre perdo le tue parole sagge piene di accortezze gentili.

La tua voce è rovente e mi ascolti mentre non so dirti quello che vorrei.

Asserragliati nelle trincee del nostro ultimo scontro ci stiamo distruggendo.

Indisponibili alla resa lottiamo senza tregua, il silenzio che vince.

man holding his head while reading a letter
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da un esercizio nel gruppo FB scrittori e scrittici emergenti – 2000 battute: #sese_20righe_silenzio

hands of a person with tattoo hanging from steel bars
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lamp on deck behind bars
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grey steel grill
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CASA

Dal 24 novembre in poi le abitudini cambiarono per tanta gente e per tanta altra gente no. Che ne sai della gente quando sei piccolo, abituato in una città piccola, al tuo vicolo piccolo, alla tua scuola piccola, ai tuoi amici piccoli anche loro. Invece tutto intorno vedi grande, il mare, la campagna e le montagne lontano, gli adulti, grandi anche loro. Che ne sai di quello che succede, quando all’improvviso il mondo cambia intorno a te e la normalità diventa un ricordo, un desiderio di quello che ti manca perché in fondo era un’abitudine che ti piaceva.

Il bagno nella vasca, le paparelle e le carezze di mammà. Il latte, i biscotti, la cartella arancione enorme e quasi vuota, piena di emozioni che raccontavi a papà che sera dopo sera ti insegnava a leggere perché ci teneva che suo figlio non finisse stracciato dalla fatica nei campi o nella fabbrica. Lo hai capito dopo come fosse già devastato dentro, dall’amianto e dalla vergogna.

L’inverno quello freddo ancora non c’era dalle mie parti. Tutto era normale come la guerra per strada tra clandestini e militari, come la culla di parole complicate diffuse dal velenoso tubo catodico della TV, e nel toccarla il friccicore sul ditino ti piaceva, non come la scottatura sul forno pieno di torta della nonna.

Che ne potevi sapere di quella moderna tangenziale in costruzione di fianco al grande ospedale di San Leonardo già finito ma ancora chiuso? La paura della morte e il terrore degli adulti li scopri all’improvviso nell’uragano di tormento che li fa impazzire e tu allora ti senti ancora più piccolo e ti accucci nel silenzio sul sedile sdrucito dell’auto, sotto la coperta.

Tornando dal paese dopo la raccolta delle olive, incontrammo tante case scassate, la nostra ancora in piedi per fortuna. Prendemmo poche cose e dalla notte del 24 novembre 1980 dormimmo nella Renault rossa, parcheggiati in fila indiana sulla superstrada, così la chiamava papà. Solo pochi giorni per fortuna, quella negata ai profughi senza casa dove tornare.

da un esercizio del gruppo FB SESE (scrittori e scrittrici emergenti)

city landscape people street
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ACQUA

«Ascolta ragazzo, la tua storia è dolorosa, il posto non ti piace, capisco se non vorrai accettare questa sistemazione… Ma dimmi, cosa sai di me?»

«Non mi volevi, questo so!» Rabbia. Delusione.

Lentamente il vecchio avanza strisciando i piedi sul pavimento antico lastricato di lavoro e di storie dimenticate: «Non volevo la loro unione. Di te non sapevo niente, sono scappati da me…»

Mentre mette sul fuoco un tegame nero e un pentolino per l’orzo della colazione, la voce del nonno rimbomba nella cucina contadina, vuota di colori, abbandonata: «Non ho mai saputo niente di te…» Tre uova, un barattolo di zucchero e la bottiglia d’olio osservano la scena dei due che si guardano negli occhi mentre lacrime tristissime riflettono la vampa del legno d’ulivo che arde nel camino. Le mani protese del giovane afferrano il tepore che si diffonde nello stanzone gelido, freddo come la sala mortuaria dell’ospedale dove aveva salutato i corpi dilaniati dei suoi genitori. Il dolore straziante avvicina i due come puntini uniti da una chiazza nera d’inchiostro che macchia improvvisa la pagina bianca di parole tutte da scrivere.

 «Ascolta ragazzo mio, ci sono momenti che cambiano lo stato delle cose, guarda il vapore come galleggia nell’aria, portandosi appresso l’odore dell’orzo…»

«Che vuoi dire nonno?»

«La mia bambina non la volevo dividere con nessuno. Tua madre era troppo giovane ma non mi ero accorto come ormai fosse già unita a tuo padre, nel corpo e nello spirito. Li vedevo lavorare e giocare insieme: per me era troppo presto… Mi sono opposto e l’ho chiusa in casa. Avevo solo lei dopo la morte di tua nonna. Solo lei… Come d’estate è la temperatura a fare la differenza: l’acqua bolle e nelle bolle l’acqua è vapore che vola via. Così sono scappati come vapore, spariti. Ma come l’inverno gela l’aria, anche l’acqua si ferma e diventa ghiaccio: due atomi di idrogeno e uno di ossigeno sono uniti e sono acqua così è la loro unione, un matrimonio indissolubile, anche nella morte, un amore per sempre.»

dal mio esercizio/contest nel gruppo FB #sese20righe_matrimonio

human hand under pouring water
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INTERESSI

Mostra interesse. Interessato alla sua vita, ai sui desideri. Così si apre la porta, anche la più chiusa, quella blindata dal sospetto, serrata dalle delusioni, e poi mettici dentro un piede per fermare ogni resistenza alla tua volontà. Entra e sovverti il rapporto di forza con la diffidenza, trasforma le sue paure in un bisogno, l’esigenza che tu sei lì per soddisfare e allora vendi, devasta, vendi l’impossibile: il sogno. Poi con la tua penna preziosa la firma nel contratto sarà una formalità al tintinnio: un brindisi di nuova amicizia. Mostra interesse e porta a casa la commessa. Mostra interesse: quella bugia funziona, funziona sempre ma l’equilibrio è pericoloso come camminare su una corda tesa sull’abisso. Ho fatto palestra e fortuna vendendo armi ai ribelli; l’interesse negli occhi degli oppressi è una scintilla che accende rivoluzioni. Con l’interesse alle loro proteste ho aperto i cuori di gente che vibravano di passione. Quella settimana ho amato una donna bellissima, danzato con lei canti tribali e alla luce d’avorio di luna piena, succhiato l’anima da pelle nera lucente, alla mia guerrigliera affamata di sesso e di vittoria. Mi scrive ancora nostro figlio sopravvissuto alla strage, è in salvo in un collegio costoso nella capitale. È sopravvissuto alla guerra e a sua madre, guerriera nella giungla. Poi ho fatto tanti soldi vendendo armi al governo che ha massacrato i ribelli mostrando interesse per la ragione di stato, per l’ordine e il controllo come sottomissione al paese produttore di armi sporche del sangue di soldati bambini pieni di veleno. Ho portato a casa commesse milionarie mostrando interesse per la guerra, quella giusta dei vincitori. Mio figlio ancora non sa delle mie bugie e mi scrive ancora, ha la pelle mulatta di un amore corrotto dal sogno di libertà. Aspetto che si faccia grande e mi possa raggiungere nella mia villa lussuosa, aspetto che mi sgozzi con le sue mani innocenti per morire mai assolto da quella bugia raccontata a sua madre.  

dal mio esercizio/contest nel gruppo FB #sese20righe_bugia

ALBERTO

La solita vita. Grigia. Anonima. Necessaria. Né veloce né lenta ma costante. Programmata in un loop senza uscita, definita, codificata, censita e trascritta. Fino a quel giorno nessuno poteva immaginarsi altro perché nessuno sapeva.

Non vai in Svizzera per cambiare vita, ci vai per la tranquillità, per l’equidistanza dalle parti in conflitto. La sicurezza. La neutralità. Devi campare tu e la tua famiglia e di te, quell’impiego, grigio, anonimo, tranquillo, necessario, di te aveva bisogno.

Così Alberto fu assunto e per anni lavorò in quell’ufficio grigio. Rigoroso, preciso, puntuale, metodico, un impiegato modello, questo era Alberto e per questo piaceva al capo, e per questo fu assunto e vi lavorò per anni, nell’ombra e nella luce di una normalità quieta, una vita ordinaria, anonima, ma solo fino a quel momento quando tutto cambiò nei giorni delle rivoluzioni che agitavano i popoli della vecchia Europa.

Se l’innesco di un incendio può avere sempre una spiegazione, l’evento che ne consegue ha vastità che la ragione deve al divino, all’ignoto, alla definizione dell’imponderabile consistenza della materia che alimenta le fiamme.

Caso o volontà divina, quel giorno l’intuizione scosse la solita vita dell’impiegato, e non fu rabbia o collera, furono i colori rifratti nel muro di polvere illuminato dal sole che entrava da una vecchia finestra di quell’ufficio anonimo, ordinato e straboccante di idee e brevetti, fu l’immaginazione a cavalcare la luce, a vedere nella materia l’energia che muove l’universo, ad attraversare il muro del tempo dissolto con il paradosso dei fratelli gemelli secondo cui uno invecchia mentre l’altro che viaggia alla velocità della luce resta giovane.

Alberto ragionava come l’uomo sa fare con schemi del passato, ma tuttavia pensava fuori recinti razionali di gabbie scontate: forse è questo l’ovvio spazio infinito di una mente libera?

Una scintilla mette in moto una macchina, una scintilla innesca un incendio, l’intuizione quel giorno fu la scintilla che cambiò la storia del mondo, e così aggiunse a mano una nota al lavoro che nessuno conosceva: l’Energia è uguale alla massa per la velocità della luce al quadrato. E=mc2

dal mio esercizio/contest nel gruppo FB #sese20righe_intuizione

PRESCRIZIONE

Ti parlo e non mi ascolti come fanno tutti del resto. Ti guardo e non mi guardi come fanno i distratti o gli spocchiosi aperti solo su sé stessi. Già, l’apertura mentale sull’ombelico mi sembra un buon tema di ricerca, un progetto di sopravvivenza, ma nemmeno lo consideri. A sentirlo cantare l’ombelico del mondo viene voglia di ballare ma poi? L’idea del centro, la viltà degli affari, il piacere dell’élite a gustarsi l’agio e la bellezza pagata con il sangue degli ultimi, e penultimi, quelli prima degli ultimi, e fantasmi, e a ballarci sopra con la polvere di ossa spaccate che si alza come nebbia artificiale a nascondere l’atrocità dei servi. Stanno tutti bene quelli che vedi, tutti comodi quelli che senti, occupati e frenetici quelli che ti circondano. È un continuo imbroglio, da millenni, la pietà. Ti parlo, non mi ascolti e fai bene, non hai bisogno di me, l’ho capito ma sono io ad avere bisogno di me. Non ti permetto più di farmi male, desidero la tua indifferenza, invece mi attacchi e contesti le mie idee, i miei pensieri fermentano come veleno nelle tue parole, mi attacchi e mi distruggi. Italo

«Grazie Caterina, il tuo caffè risuscita… oggi è una bella giornata, vero?» la guarda posando la penna.

«Si dottore, non fa caldo, non fa freddo e il giardino è in fiore…» e lo dice canticchiando mentre appoggia con delicatezza il vassoio dorato sull’imponente scrivania di noce, tra carte e libri, aperti e chiusi, nell’unico spazio libero da parole scritte.

«Grazie Caterina, le adulazioni mi commuovono, dalle tue labbra risuonano con l’armonia dell’innocenza… lo sai vero che hai il nome di una regina?»

«Sì dottore, me lo dite in continuazione, serve altro?»

«Dimmi la signora dorme?»

«Certo, doppia dose di sonnifero come lei ha prescritto.»

«Bene, oggi rossetto vermiglio. La svegli alle diciassette con un bacio in fronte e gli dai questa lettera insieme al suo cioccolatino preferito, allo specchio comincerà ad urlare e tu sarai pronta con le solite benzodiazepine…»

dal contest sese20R  del gruppo FB Scrittori e Scrittici Emergenti con tema “te lo dovevo dire” e limite 2000 battute

TORMENTI

Camminava da ore sulla strada bagnata da tormenti. Le gocce di pioggia fine fine come spilli gli pungevano la faccia e rendevano pesante metro dopo metro il giaccone di lana, quello blu, preso al volo per uscire immediatamente a cercarla. Con lo sguardo alto sulla folla, dentro la folla, oltre la folla di gente che non sapeva, non poteva sapere e al più non poteva che fregarsene. Il cellulare spento e niente messaggi sul tavolo o sotto la calamita sul loro frigo da oltre vent’anni, scelto insieme tra mille.

Al mattino, prima di andare, aveva intuito che quell’ultima notte insieme poteva essere l’ultima per sempre. Poi i doveri e il lavoro l’avevano distratto ma tornato a casa, l’intuizione era diventata realtà: lei non c’era, il suo cellulare spento, abbandonato in camera da letto.

Camminava e il tormento della strada affollata senza di lei aumentava, l’avrebbe trovata nel loro posto magico, ne era sicuro ma mentre avanzava deciso controllava i volti e gli ombrelli aperti che si urtavano frenetici per tornare a casa come non aveva fatto lei quella sera.

Raggiunse il porto, superò il molo più grande mentre il faro scagliava in lontananza un fascio infinito di luce nel buio del mare, buio come il suo timore, agitato come il suo tormento. Arrivò allo scoglio dove con gli amici e don Tonino s’erano giurati amore eterno, sposati, dove il loro primo bacio anni e anni prima fu il battesimo di una relazione immortale.

Lui si era umiliato, si era annullato, non esisteva che lei e per lei avrebbe dato la vita. Ad ogni crisi per ore su quello scoglio abbracciato dal mare aperto, tornavano uniti e si giuravano di non lasciarsi mai. Gli schizzi di un’onda gigante rimbalzarono sul muro di pioggia diventata battente ma lui avanzò ancora.

Lei non c’era. Si arrese immobile all’evidenza mentre un’altra onda alta quindici metri, improvvisa, lo affogò per sempre.

Anche lei tornò su quel masso di cemento a cercare lui, ci tornò con il bel tempo, serena. 

racconto 2000 battute proposto al contest #sese20righe_lamorteèdonna del gruppo FB Scrittori E Scrittrici Emergenti

LA SCELTA

«Che mi dici di quei segni ai polsi, sul braccio e sul collo?»

«Cime, corde marinare come quelle che tendono le vele» il tono deciso non ammette repliche, conosce bene il mare, lui il male, lei la scienza. Con lei sarebbe andato ovunque, ma a veleggiare come voleva lei mai, non aveva paura del mare, aveva paura di quanto lei gli piacesse, aveva paura di annegare dentro di lei, di affogare ancora una volta nell’amore.

«Strangolata?» le chiede con distacco ma la tensione sporca la voce, e lei lo sa, fino alla soluzione del caso l’empatia con la vittima lo torturerà ogni minuto, lo conosce bene e ha smesso di invitarlo ad uscire, oltre la relazione professionale ne avverte il disagio, il rifiuto, capitolo chiuso.

«È morta nella notte, tra le due e le cinque, credo da almeno dieci ore. Domani dopo l’autopsia ne sapremo di più e sarò più precisa. Adesso vado, qui ho finito. Ascolta, è stata lavata e profumata e poi vestita, non ci sono altre tracce e so cosa stai per chiedermi, no! Niente sesso.»

Si lasciano senza salutarsi, come fanno sempre ormai da mesi. Sono colleghi, oltre il lavoro non si cercano e anche se il desiderio coinvolge entrambi, è un capitolo chiuso.

Il tenebroso Costanzo torna in centrale dove il colpevole si è consegnato e ha confessato. Cambia umore, i colleghi della OMICIDI lo conoscono bene, quando ha tra le mani il responsabile del delitto è un’altra persona, affabile, leggero, torna a scherzare, a essere l’amico che tutti vogliono avere.

«Perché lo hai fatto?»

Per chiudere il caso il poliziotto vuole il movente: quasi con tenerezza prova ad entrare in quello sguardo vitreo che gli da sui nervi, gli afferra le spalle, lo agita con delicatezza, prende tra le mani la faccia dell’uomo assente, e con voce pacata ci riesce, sveglia l’assassino.

«Era troppo pesante commissario, mi schiacciava il cuore, il corpo, la mente, troppo pesante commissario, un fardello troppo pesante, ho scelto la leggerezza.»

Solo per pochi minuti gli occhi criminali si sciolgono come il vetro nelle fornaci di Murano, mentre lacrime roventi gli rigano la faccia, parla di quel famoso romanzo tascabile. Lo ha tirato fuori dal cappotto e glielo porge «Legga le righe che ho segnato, capirà: ho respirato i suoi ultimi sospiri e come l’elio rende un palloncino meno pesante dell’aria, così mi sono sentito leggero, tanto leggero da volare via. La mia scelta non merita attenuanti, lo dica al giudice, tenetemi in gabbia per sempre, legato, io ne voglio ancora…» raffreddato dalla confessione l’uomo diventa muto, dopo un’ultima frase : «Legga solo quello, il resto è una storiella come la mia.»

Uscito dalla stanza gelata di silenzio raggiunge la strada ancora scura e deserta. Il sole appena sorgente dietro i palazzi della città che dorme, gli scalda il cuore, e pensa a quelle belle cosce che lei nasconde come un’arma letale, con un sorriso malandrino stampato in faccia prende il cellulare e chiama il suo medico legale:

«Che vuoi? Non riesci a dormire?»

«No, non voglio dormire, si è costituito e ha confessato, il caso è chiuso»

«E ti pare una buona ragione per svegliarmi? Non potevi aspettare domani…»

«No, non posso… Hai mai letto Kundera? Lo so è l’alba, dimmi solo se posso passare da te…»

“Se l’eterno ritorno è il fardello più pesante, allora le nostre vite su questo sfondo possono apparire in tutta la loro meravigliosa leggerezza. Ma davvero la pesantezza è terribile e la leggerezza è meravigliosa? Il fardello più pesante ci opprime, ci piega, ci schiaccia al suolo. Ma nella poesia d’amore di tutti i tempi la donna desidera essere gravata dal fardello del corpo dell’uomo. Il fardello più pesante è quindi allo stesso tempo l’immagine del più intenso compimento vitale. Quanto più il fardello è pesante, tanto più la nostra vita è vicina alla terra, tanto più è reale e autentica. Al contrario, l’assenza assoluta di un fardello fa sì che l’uomo diventi più leggero dell’aria, prenda il volo verso l’alto, si allontani dalla terra, dall’essere terreno, diventi solo a metà reale e i suoi movimenti siano tanto liberi quanto privi di significato. Che cosa dobbiamo scegliere, allora? La pesantezza o la leggerezza? “Questa domanda se l’era posta Parmenide nel sesto secolo avanti Cristo. Egli vedeva l’intero universo diviso in coppie di opposizioni: luce-buio, spesso-sottile, caldo-freddo, essere-non essere. Uno dei poli dell’opposizione era per lui positivo (la luce, il caldo, il sottile, l’essere), l’altro negativo. Questa suddivisione in un polo positivo e in uno negativo può apparirci di una semplicità puerile. Salvo in un caso: che cos’è positivo, la pesantezza o la leggerezza? Parmenide rispose: il leggero è il positivo, il pesante è negativo. Aveva ragione oppure no? Questo è il problema. Una sola cosa era certa: l’opposizione pesante-leggero è la più misteriosa e la più ambigua tra tutte le opposizioni.” Milan Kundera – L’insostenibile leggerezza dell’essere

… da un esercizio SESE20R di scrittura creativa del gruppo FB Scrittori E Scrittici Esordienti. Il tema proposto era leggerezza.

INCROCI

Sapevi perché eri lì ma non come c’eri finita. Le persone dipendenti smettono all’improvviso di assumerla poi soffrono di una forma perversa di abbandono, lentamente il corpo se ne va. Ricade. Ci provano, ma per ragioni che nessun medico sa spiegare, il cuore non si ripara. Che esiste una categoria di persone senza cuore. Che la delusione non serve. Che non c’è tempo per sentirsi sollevati. Che la preda sei tu e puoi solo scappare. Che la botta bianca di calore chiude gli occhi e spegne il cervello. Che lo stomaco vuoto non fa male quanto un intestino trafitto da spine. Che ti piega in due. Che la testa ricade sull’asfalto insieme al busto. Che struscia sul muro lercio in fondo al vicolo. Che è buio per strada anche di giorno. Che il verme dentro è impossibile da saziare. Che a morire non sei capace e farsi uccidere non paga nessuno. Che non eri sola ma l’ostilità aumentava, ogni volta, alla fine dei perdoni ripartivano i processi. Che ricadono altri e allora ricadi anche tu. Che non c’è tempo per pensare. Che devi agire. Che a lamentarsi sono quelli che non sanno cos’è, sanno perché ma non come ci sei finita. In ospedale. Che ti hanno lasciato sempre sola, dopo. Che adesso ti stanno chiamando mentre sogni un nuovo posto dove vivere. Un colloquio. La selezione. Un lavoro dignitoso. Che stai per entrare. Che questa volta non scappi. Che è reale. “Che più del sessanta per cento di tutti gli arrestati per crimini connessi a droga e alcol dichiara di essere stato oggetto di abusi sessuali da bambini, mentre i due terzi del restante quaranta per cento affermano di non riuscire a ricordare la propria infanzia con sufficiente precisione per dire qualcosa riguardo a eventuali abusi.” Che anche questo hai elaborato. Che è di uno scrittore famoso. Che hai fatto bene a tenerla fuori dal curriculum. La verità. Che sembreresti macchiata e questo non aiuta. Sporca e questo non redime. Umiliata e questo non crea empatia. Che stanno chiamando te mentre una mano stringe la tua. Muoviti ti dice e tu lo senti. Lucida. Che a stare fermi si muore. Che eri in coma, ricaduta, quell’ultima volta. Che quella mano ti scuoteva per svegliarti mentre adesso ti accompagna ovunque. Che quel bel medico scontroso ti aveva salvato la vita e fatto di te la sua dipendenza. Che non esiste strada senza incroci. Che se manca la corrente i semafori non hanno luce. Che vai, adesso vai, la testa alta e vai. Lo scrittore famoso? Morto suicida. Tu no sei viva e allora goditela, la vita.

manhattan bridge
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da un esercizio di scrittura creativa del gruppo FB Scrittori e Scrittici Emergenti – #sese20righe_strada

FURORE


Furore? È il giorno della rivolta.

Viviamo senza cielo, il nostro sole è il magma bollente, il centro della Terra.

            «Ho una domanda Fidel: ribelli si nasce o si diventa?»

            «Oggi il mare è rosso Ernesto, l’ossigeno non è più una molecola naturale prodotta dai verdi, è chiaro che lo siamo diventati… Ma che ti prende? Ti sembra questo il momento? Concentrati e stai zitto!»

Le ultime dosi di eccitol gli provocano effetti indesiderati. Dubbi incertezze e distrazioni prendono il controllo, tremori, anche adesso. Nelle retrovie, lontano dal fiordo, nella roccia profonda, millenaria, il dottore aveva minimizzato ancora una volta: “Non è niente, stai bene, puoi combattere” aveva detto dopo gli ultimi test d’ammissione.

Riflesse nel visore vede gocce gonfie di sudore rompersi e dalla fronte scendono nel generatore d’aria del casco da combattimento.

Chi non suda non vive, gli insufficienti sono esseri estinti, come tutti i vegetali sulla crosta ormai deserta. Non è una regola o una legge, sono secoli che la vita discrimina: sopravvive solo l’evidenza della riproduzione.

Dai segnali fluorescenti quasi interni alla sua pupilla destra, l’occhio libero di Ernesto, si sposta verso il compagno al suo fianco, immobile come lui, dietro al cannone quantico pronto a fare fuoco.

            «No Fidel, io non credo, la vita si ribella alla morte, ma ne parleremo dopo. Nel gran consiglio della caverna regnante, ti hanno messo in discussione, ti vogliono fuori dal governo. Dovrò difenderti fratello mio ma adesso pensiamo alla missione, ora i nemici sono gli acquatici.»

            «Attento Ernesto, guarda! Le vedi le bolle? Stanno arrivando.»

Mille anni fa l’atmosfera fu violata, cambiò colore, la scienza dei nostri avi smise di funzionare. Ogni previsione fallì. La variante aliena costrinse i sopravvissuti a scappare dall’aria tossica: gli abissi negli oceani o la terra sotto le montagne, non vi fu altra scelta. I ricchi tecnologici s’impadronirono dei mari, ai poveri non restò che scavare. La mutazione anfibia arrivata dopo, oggi li condanna: umani come pesci a respirare l’acqua salata. La genetica li ha resi schiavi di una risorsa evaporata, consumata, il mare è sempre più rosso, stanno soffocando.

            «I bastardi vogliono le nostre gemme di clorofilla, oggi troveranno la morte!»

            «No Fidel, non ci sono masse fredde in movimento, il mio radar è vuoto, non c’è attività sotto la superfice, tu dove le vedi queste bolle?»

I due si guardano perplessi oltre la visione dei livelli vitali fuori scala che nel casco segnalano tensioni fisiche fuori controllo. L’ignoto è una frusta che taglia ogni scudo emozionale, sono allenati e preparati ma la paura rende umano ogni soldato. Non si fidano, altre battaglie sono finite male e questa non sarà l’ultima. La vita si ribella alla morte, questo è sicuro, si nasce ribelli, aveva pensato Ernesto la notte prima di partire, o forse era già giorno, non ricordava bene la sequenza degli eventi ma adesso ha altro per la testa; la sudorazione aumenta come la tensione per la sorte di suo fratello in armi. Il respiro affannoso diventa opprimente scansione del tempo sospeso nel dubbio. Le domande servono ma nel dubbio puoi mai fermare l’azione?

Fuori le bolle adesso sono evidenti, aumentano, si vedono, ma i sensori visivi dell’apparato neuro connesso alla tuta non rilevano movimenti sotto la superfice rossa di questo mare mutante: mai come ora, è la lingua rovente di un diavolo furente che li minaccia fin dentro casa.

“Hanno scelto il fiordo leggendario come è previsto nelle scritture” aveva detto Fidel prendendo il controllo dell’apparato di guerra.

L’invasione è imminente. L’agitazione cresce, rende catatonica l’attesa. Sulle spiagge antiche, la polvere di roccia altissima, a strapiombo da millenni, si è ceramizzata, non esiste più sabbia ma un pavimento rugoso, duro più del vecchio cemento usato nell’antichità. Questo nuovo mondo ci ha tolto l’aria, l’abbraccio, l’incontro delle emozioni umane, intanto bolle sconosciute emergono senza suoni, mute.

Ernesto si rigira imprigionato nella tuta tecnologica che gli stringe ogni muscolo dolorante, è una camicia di forza; anche questo aveva detto al suo dottore.  Si sente affogare di sudore, alza le braccia davanti a sé per pararsi dalla tremenda emersione che li aspetta: «Arrivano!»

E allora? Teso come una corda di una vela piena di vento forte, con uno spasmo faticoso riprende il controllo delle mani, afferra i comandi e spara all’impazzata verso quella minaccia invisibile.

Entra decisa senza bussare. Capelli sciolti, lisci e rossi, tacco nove, tailleur incollato e trucco pesante, striscia i piedi per non farsi sentire nel buio della stanza tanto rovente da fermarle il respiro, conosce la strada e va diritta all’interruttore per aprire la persiana motorizzata.

            “Aria, aria e luce, luce” pensa nel silenzio appena disturbato dal potente motore elettrico che tira su la tapparella d’alluminio verniciato di verde.

Lei, architetto dei vip, sospira languida al primo fascio di sole che illumina il suo cristo umido e velato, atletico campioncino di tuffi e nuoto; accanita nello sguardo sul letto che brilla, indugia sui muscoli e ne ammira una possente erezione, poi grida:

            «Libero alzati. Sei in ritardo!»

Il piccolo si sveglia incazzato nel suo sudore rovente.

            «Cazzo mamma ma perché? Chiudi e vai affanculo!»

Il lenzuolo inzuppato gli attorciglia anche la testa, in un attimo si libera mentre pettorali e bicipiti guizzano luminosi come lampi strobo, scatta come una molla d’acciaio e tira le gambe verso la faccia, si chiude girandosi sul lato verso la porta opposta alla luce, diventa un feto in automatico senza pensare, serrando un cuscino blu mare tra le gambe. La voce cruda del figlio non la ferma. Invadendo lo spazio tra i due, un potente fascio di luce dalla finestra rimbalza da un poster patinato diventato da tempo insopportabile alla donna. L’abbaglio fastidioso le chiude gli occhi e la scuote dal momento di estasi in cui il corpo perfetto del figlio l’aveva rapita.

            «Ancora pensi a quella trecciolina svedese? Alla tua età, tuo padre sul muro teneva appese foto che …»

            «Sì, che incendiavano desideri e urlavano passione, e che palle mamma, sempre la stessa storia, stavo sognando e tu…»

            «Sì amore, immagino cosa stavi sognando, ma non voglio sapere niente, è tardi e devo andare, muoviti, la colazione è pronta!»

            «Sì, appunto, devi andare a fare in culo e rimanerci, chiudi! Ti ho detto chiudiiii!»

Incurante e determinata a portare a termine il solito rituale mattutino, con delicatezza accompagna la super poltrona nera da gaming con la meglio ergonomia di livello professionale disponibile sul mercato, e si sposta dalla finestra girando intorno all’immensa scrivania tecnologica devastata dal disordine. Adesso i tacchi stridono frenetici sul pennellato di Vietri: quel pavimento le era costato un occhio della testa ma ne andava fiera come di quell’essere possente che aveva generato, bello come il sole della sua Costiera. Mentre pensa a quell’assurda fissazione del figlio di tenere spento il condizionatore nelle notti più torride dell’estate, raccoglie un libro volato per terra nello scatto pudico del suo erede solo qualche secondo fa. Tra le mani ne guarda accigliata la copertina colore avana con la foto di due palme sottili, altissime, e una ciminiera sbuffante di una fabbrica sullo sfondo. “Affatto caraibico” pensa leggendone il titolo: “Che” Guevara economista.

            «La devi smettere di prendere i libri di tuo padre dallo scantinato, sono inutili. Come te lo devo dire? Medicina o Architettura, è deciso! Alla meno peggio Ingegneria, ce ne sono tante, che dici? L’aerospaziale per esempio, la Martucci dice che sei sempre con la testa tra le nuvole. Comunque, a questo proposito il nonno ti aspetta. Ha detto che ti deve dare una cosa, si è raccomandato molto. Se non vuoi andare in farmacia vai a casa sua così saluti anche la nonna» e lo dice mentre lo guarda con tenerezza aspettandosi una risposta in sintonia alla sua supplica.

            «La prof non capisce un cazzo, peggio di te!» la voce schiarita del ragazzo accompagna un dito che si alza dal pugno chiuso adagiato sul ginocchio scoperto, è un indice medio, nerboruto e teso verso la faccia di lei.

            «Signorino Orsini lei è un grande cafone, non le consento di maltrattare sua madre in questo modo. Villano e cafone…» stizzita rialza la voce mentre il libro vola nella stanza planando tra l’iMac argento ventiquattro pollici e due pile di DVD che dal tavolo crollano sul pennellato di Vietri con un rumore assordante di plastiche spaccate. 

            «Sei pessima! Smettila, fai solo casini, lasciami dormire in pace, vai via…» e lo dice serafico mentre il dito ribelle rientra nel pugno chiuso afferrando il prezioso lenzuolo bianco ricamato con fiori di seta. Tira un lembo fino a coprirsi la folta criniera rasta, quando decide di stare zitto perché sa che finisce male se dice quello che sta pensando: “Tintura, silicone e tacchi a spillo ti stanno rovinando. Mammina cara, sei ridicola!”

            «Libero alzati. Sei in ritardo. Dai non farti pregare, Gianni ti aspetta all’entrata del Policlinico, è un amico fidato, ti accompagna all’aula dei test d’ammissione. Avevi promesso che ci saresti andato…» dice lei provando una timida carezza ferma in aria a pochi centimetri dal contatto fisico che desidera con tutta sé stessa da troppo tempo.

            «Lo hai sentito, lui che dice?»

            «Tuo padre? Dice che sarà in piazza Plebiscito sotto Palazzo reale per una manifestazione contro la guerra, dice che gli farebbe piacere passare una giornata con te. Puoi raggiungerlo dopo i test all’università, tanto faranno sera, pare organizzino anche un concerto. Però non fare tardi e stai alla larga da quelle sue sciatte compagne di strada!» mitraglia parole senza pause con acuti lancinanti di disprezzo.

            «E il nonno che vuole?»

            «Vuole regalarti un viaggio per la maturità e aiutarti a scegliere, lo conosci è un vecchio saggio evergreen, muore dalla voglia di coccolarti un po’…» dice lei con un tono tornato sinuoso, materno.

L’aria pulita del mattino addolcisce l’animo dei due, i loro pensieri prendono a svolazzare leggeri. La camera passa dal conflitto ad una tregua condizionata.

            «Vai mamma, tranquilla, sto bene.»

Lei si arrende, ammutolita, e strisciando i piedi si avvia verso la porta.

            «Mamma aspetta, ti ricordi quella bella settimana a Positano?»

            «E chi se la scorda, andasti in fissa per i tuffi dalle grandi altezze. Furore, un incubo! Perché me lo chiedi?»

            «Mi prenoti una settimana in quella villa a cinque stelle del tuo amico? Dai, tu fammi questo regalo.»

            «Va bene Libero, ti accontento però tu oggi vai a fare i test d’ammissione a Medicina!» sorride compiaciuta. Uscendo chiude la porta senza fare più rumore.

L’attimo di pace diventa frenesia, il giovane di belle speranze allunga la mano verso il comodino dove afferra l’iPhone antracite e inizia a scrivere:

@GretaThumberg ciao, ti scrivo perché adesso so cosa dobbiamo fare, ti vengo a prendere e ti spiego 🤗 PS 😱 tic tac tic tac… su youtube ho visto Sara la tua agente italiana 🤣 mi è piaciuta molto: “un altro mondo è possibile perché la guerra è fossile, la pace è riciclabile” 👏 non ti muovere, arrivo! 😘

Soddisfatto rimette lo smartphone sul comodino dove nella notte aveva buttato la maglietta e il pantaloncino griffati che indossava la sera prima. Mette a fuoco i colori del suo rifugio e con una capriola fulminea cambia posizione mettendo i piedi al posto della testa. Steso sul letto, finalmente libero e rilassato con il finestrone dell’attico di mamma alle sue spalle, ammira la ragazza illuminata a giorno nel poster gigante che riempie il muro. Chiude gli occhi e si sente abbracciato a Greta, a respirarsi con lei bocca nella bocca. Fusi in un corpo solo si tuffano nel fiordo con tutto il mondo collegato in diretta che li sta osannando. L’attimo di estasi diventa frenesia, una scossa violenta gli attraversa il corpo incurvandolo verso l’alto, poi ricade in un secondo avvinto senza forze con il cuore che martella pesante nel petto. La frenesia diventata amplesso si placa nella pace dei sensi, gira il collo dietro la spalla aprendo gli occhi verso il blu che lo guarda dall’alto mentre un jet taglia il cielo con una scia bianca densa di speranza:

“Amore, voglio solo più amore, voglio di te il furore dell’amore. È deciso, andrò a Lettere per studiare come rendere passione il desiderio della vita. Per vincere la guerra bisogna volare alto, allora dottore sì, ma di parole.”


AVVOCATI

Avvocato io, avvocato lei, con il senno di poi non avrei scelto un avvocato. Perché? Perché il senno di poi è una sciagura, quando ti va bene finisci in tribunale e perdi, perché se vinci il tormento aumenta, “avevo ragione” ti perseguita e si placa solo con un appello che preghi in segreto lei possa presentare. Magari perdo in appello e il mio senno di poi sparisce, finalmente. Perdere per un avvocato è tutto sommato meno pesante della sconfitta per un cliente, lui ti paga lo stesso e comunque, vuoi mettere la speranza che si apre con un appello? Così posso perdere e mettermi il cuore in pace, quel cretino di cuore che mi ritrovo nel petto, cieco come un pipistrello di giorno, un vampiro di notte, sì era quello che mi piaceva della mia bella vampira, tutto il sangue gli avrei donato volentieri quando mi succhiava sul collo durante l’amplesso.

Con il senno di poi avrei scelto un’altra, altro che avvocato come moglie, è stato un continuo dibattimento, a cominciare dalla luna di miele ma anche prima nella scelta del viaggio di nozze: è che ci piace discutere e avere ragione, e oggi anche di più dopo la separazione consensuale, un vero atto di guerra, altro che pace.

Tutto era perfetto fino a quel giorno, un maledetto giorno qualunque. Con il senno di poi avrei dovuto rinunciare a quel mandato che ci vedeva contrapposti a rappresentare due che volevano divorziare e non volevano divorziare veramente, lui un camorrista, lei una camorrista peggio di lui. Perché non ho rinunciato? Perché doveva rinunciare lei non io!

Da quel giorno il nostro rapporto è trasceso e ci siamo portati il conflitto dentro casa, ci siamo inaciditi come il vino rimasto troppo tempo all’aria, nella bottiglia, per quanto prezioso e sopraffino.

Così è andata e ora spero di perdere con lei perché solo così sparirà la mia ossessione, nella testa quella voce che mi ripete all’infinito, “avevo ragione” non dovevi sceglierti un avvocato come sposa.  Chi ha ucciso chi? Ma che domande sono?

un esercizio di scrittura creativa – 2000 battute – dal contest SESE20righe sul gruppo FB Scrittori e Scrittrici Emergenti – tema: il senno di poi

PISTOLA

Ti ho messo una pistola in mano e adesso ti guardo, sparami penso e ti fisso negli occhi, immobile.

«Chi sei veramente?» mi urli contro e il sangue alla testa alimenta la tua collera. Urli e io ti vedo bruciare come Johnny il Ghost Rider. Immaturo mi dici. Ripeti più volte lo dovevo capire prima. Tu appassionata ai miei fumetti per starmi più vicino, dentro le mie fantasie.

«Ti odio, ti odio!» mi urli contro, tra parole e silenzi increduli di tanto dolore.

«Perché? Perché?»

Perché tu non lo puoi sapere. Non ti ho mai raccontato quello che è successo a me, nessuna pietà, non volevo guastarti con quel dolore che sento ancora, il mio. Non ho giocato con i tuoi sentimenti, ti volevo e ti voglio ancora ma non voglio il tuo perdono, voglio la tua ira conficcata nel mio petto come una pallottola di pistola che spara tutta la rabbia che adesso hai in corpo. Questo voglio ma non ti parlo, non reagisco, perché sono il tuo carnefice, e tu lo vedi il ghiaccio nei miei occhi e così più forte la collera ti avvampa. Che aspetti? Mi chiedo. Nelle mani hai la prova del mio tradimento, nel cellulare che nell’aria fai vorticare insieme alle tue belle braccia allenate, i messaggi e le foto hard di me e di lei, la tua migliore amica.

Che aspetti? Sparami! E tu lo fai. Colpiscimi. E tu lo fai. L’angolo dello smartphone mi apre una ferita sulla tempia, e le tue lacrime copiose, e tuoi lunghi capelli arruffati, e i tuoi pugni violenti, si mischiano al sangue che inizia a sgorgare dalla faccia. Brava così, penso, colpiscimi più forte, me lo merito.

Amo il tuo ardore possente: così sei nel piacere, così sei nell’attacco, violenta, metodica, furente.

«Ti uccido! Ti uccido!» Urli mentre le tue nocche bianche come magli si abbattono sui miei zigomi ossuti, e adesso il sangue, il mio e il tuo, è avvinghiato come noi nei nostri amplessi. Una medaglia? Tu sei me, io allo specchio vedo il mio dolore di allora, necessario per fare di te una regina di kickboxing.

«Adesso basta, fermati! La lezione è finita» ti afferro le mani e ti fermo, adesso sì che puoi diventare una medaglia d’oro e anche di più.

esercizio gruppo FB Scrittori E Scrittrici Emergenti

#sese20righe_ioallospecchio

IL FILOSOFO

Vi racconto la fortuna di aver conosciuto il mio filosofo del cuore.

Quello è stato il giorno in cui ho capito la differenza tra crepa e crepato.

Pioveva quel giorno, ma essere bagnati davanti a quella porta non era affatto scomodo. Prima di entrare lui si componeva, passava il pettine nei capelli per sistemarsi il ciuffo, la prima impressione è quella che conta, diceva.  Ricordo come fosse adesso, io dietro e lui che suona il campanello.

«Buon giorno signor Alberto, puntualissimo, questa volta mio marito aveva ragione, prego accomodatevi…» che bella signora penso, mentre sono attirato dentro lo scollo della sua corta vestaglia di seta. Alberto non la degna di uno sguardo e senza convenevoli, come suo solito, aspetta guardandosi attorno nel ricco salone impreziosito da molti trofei sportivi. Lei con eleganza lascia la porta aperta e ci fa strada accompagnandoci lungo un corridoio adornato di deliziose opere moderne. Passiamo avanti anche ad una grande stanza attrezzata a palestra, sembra volerci dimostrare l’origine della perfetta tornitura delle sue splendide gambe o forse che in quella casa vivono maschi allenati?

«Nicò, hai sentito?» mi dice il maestro a sottolineare il grande tonfo provocato dalla porta d’ingresso sbattuta con forza dalla signora: «Mai guardare il corpo delle donne quando sei nella loro casa…»

Già trasalito dal rumore improvviso, quelle parole mi incasinano di più i pensieri ma Alberto mi riporta alla realtà: «Raccogli gli attrezzi!»

«Signora l’elemento è crepato, va sostituito. Adesso dobbiamo andare.»

«No che dite, non potete lasciarmi con l’acqua che scorre, dite a me, quanto sarebbe la spesa?»

«Non meno di mille e non più di duemila, dobbiamo rompere ma prima andare a comprare il pezzo.»

«Sì, sì va bene, ma vi prego tornate presto.»

Fuori dall’appartamento Alberto completa il discorso: «È vero le occasioni le ho avute, ci ho rimesso tanti soldi, e niente che una grande escort non poteva fare meglio. La crepa si ripara, il crepato no.»

Quando un filosofo parla con l’evidenza delle sue esperienze tutto si aggiusta o ogni dubbio… crepa?

Da un mio esercizio 20 righe del gruppo FB SESE (Scrittori e Scrittrici emergenti)

ALDERICO

Alderico il mio collega d’ufficio non è uno scrittore. Non scrive mai, nemmeno i biglietti d’auguri a Natale, né legge, nemmeno le circolari. Rifiuta appunti e anche il quotidiano al bar non lo interessa. Nemmeno quando in prima pagina andò a finire l’orrendo omicidio di Carla, la collega del cinquantesimo piano.

Non si informa, non studia più, fosse per lui l’editoria sarebbe estinta. Sa parlare, racconta e articola discorsi compiuti, ma a fatica, balbetta e ci rinuncia sempre. Alza le spalle e se ne va, senza mai un finale degno. Gli piace ascoltare però e non si perde mai una presentazione o un convegno, preferisce la trama dei grandi classici e si annoia quando toccano argomenti come le tecniche della scrittura creativa o la differenza tra un vero scrittore ed un dilettante, sputacchia, bestemmia, si alza e se ne va. Con lui i suoi quattro amici che si porta dietro, un gruppetto di intellettuali con papillon, scarpe lucide e camici a fiori, sempre gli stessi, è il suo branco. Lo seguono ovunque. Il più delle volte lo trascinano mentre lui balbetta, sputacchia, e bestemmia sempre. Almeno cinquecento pagine, con gli anni ’80 del secolo scorso la letteratura è morta, dice.

Eppure, ogni volta che in pubblico parla, affascina la platea, poi balbetta, la la la faccenda si crepa, sputacchia, balbetta ancora, alza le spalle e va via seguito dal branco che dai quattro angoli della sala lo raggiungono sulla porta. Più che una claque è un servizio d’ordine, applaudono Alderico o aggrediscono chi osa lamentarsi e peggio contestare Alderico. In silenzio, come arrivano così spariscono. Poi li vedi discutere animatamente al parco intorno ad una panchina, in mezzo a pusher africani e bambini incustoditi che giocano a pallone. Ultimamente, ad ondate ripetute, anche dall’europa dell’est, emigrazioni di donne, pusher e bambini incustoditi. Quando trovano un barbone è festa di papillon, bevono insieme, condividono la panchina, urlano, ballano e cantano, venerando il mondo homeless, prevedono la fine del mondo e il ritorno nelle caverne, a disegnare graffiti.

Amici e colleghi con crapule solenni, lo adorano, lo prendono in giro, da lontano, alle spalle, si divertono e lo evitano volentieri. È facile, Alderico non rivolge mai la parola a nessuno, ma in città senza Alderico in sala non inizia niente o quasi, la mezz’ora accademica non si nega a nessuno, poi se ne fa a meno volentieri. Però senza Alderico il professore, ogni evento perde importanza.

La provincia è così, elitaria a prescindere. Ha bisogno di personaggi.

Non ci sa fare con niente, Alderico lo conoscono tutti, non gli daresti un soldo bucato, ma quando parla affascina, venderebbe un sacco di libri se solo si decidesse a scrivere. Ci hanno provato ma lui, balbetta, sputacchia e se ne va. Se non bestemmia è perché gli manca l’aria e ha fretta di nascondersi. È un tipo sorpassato, per gente colta, affascina anche quando non parla, come fuori moda è un’attrazione fatale. Pagano da bere e da mangiare ai papillon pur di dare importanza all’evento. Le agenzie lo sanno bene, promettono pacchetti completi di campagne pubblicitarie e di successo assicurato. L’alternativa è l’oblio e Alderico lo sa, è il suo nirvana.

Anche se non sono un giornalista conosco tutto di tutti e, in tutta onestà, i discorsi di Alderico hanno equilibrio narrativo, usa parole e concetti densi di rimandi colti e raffinati. Eppure… Io credo che tutto dipenda dalla sua idiosincrasia verso i nuovi media, i social, e così via. Insomma, oggi si sa che passa tutto da lì e lui non vuole saperne. Si ostina con la sua essenza irriproducibile, osteggia singolarità e non ripete, come Paganini. È puerilmente convinto che basti la qualità e la cultura, il momento non le repliche. Si illude insomma e cambia papillon ogni giorno.

Lui, d’altronde, non fa mistero della sua avversione ai dilettanti, di coloro che promuovono imbarazzanti operette, quelle senza idee, prive d’esperienze vissute in prima persona, insomma, quelli che non li cerca nessuno. Basterebbe una congrega platoniana, ecco, quello ci vorrebbe per trattenerlo ancora. Invece no. Alderico continua a rifiutare aficionados, selfie e come tutti quelli come lui, si guarda bene dall’impegnarsi a lasciare un segno per gli altri, una rapida intesa, una lezione in saldo. Tutti immobili nella loro supponente superiorità di ritenerlo infondo inutile. Nemmeno una raccolta firme per salvaguardare la sua memoria. Un orpello insomma, un pezzo di scenografia.

Faceva il professore, l’ha inglobato una multinazionale. In ufficio? Io sono un testimone affidabile, ogni giorno gli sento dire: «La vita è breve, passiamo oltre.»

Al lavoro Alderico è un’altra persona, giacca, cravatta, e mai un papillon.

presentato sul gruppo FB Libri e Recensioni ed inviato al Concorso Lucius Annaeus Seneca -VII° Edizione: https://www.uniba.it/it/bacheca-opportunita-enti-esterni/anno-2023/premio-accademico-internazionale-di-letteratura-contemporanea-lucius-annaeus-seneca-settima-edizione

 

KLAUS

Discutevano da lontano, connessi da un continente all’altro del mondo.

«Quando dici perfezione hai idea di cosa parli?» il vecchio lo indicava con l’indice per dire, hei tu, proprio tu.

«Cosa sei? Un disco rotto?» mentre il giovane sbuffava e guardava a destra e sinistra sulla sua scrivania piena di libri.

«Magari una leggenda di vinile, nero come la pece…» e il vecchio rideva alzando il viso al cielo come per rincorrere ricordi volanti.

«Stai concentrato ti prego, dammi una mano, lo so cosa vuoi dirmi: mi condanni l’abuso di parole, l’enfasi oltre il significato letterale. Pensi che lo stia facendo anche con perfezione?» si guardano oltre lo schermo, negli occhi si attraggono mentre la pausa intervenuta promette di centrare l’obiettivo di entrambi: toccarsi.

«Il tuo non è solo un abuso, tu le parole le devasti, le offendi, le saccheggi. Vuoi una mano? Bene, fammi un esempio di perfezione…» il vecchio adesso era serio.

«Cos’è un tranello? Che vuoi dire?» il giovane abbassa lo sguardo, inizia a disegnare sul foglio segni geometrici collegando parole appuntate prima e pensa di chiudere il collegamento.

«Ecco lo vedi? Stai pensando di finire la discussione: te lo do io un esempio di perfezione?» il vecchio si sistema sulla sulla sedia diventata cattedra e comincia a raccontare.

Il papà Carlo, a Berlino mai avrebbe immaginato che il suo erede avrebbe poi trionfato. Lui ai Giochi Olimpici nel 1936 in Germania, partecipò senza successo e dieci anni dopo chiamò Klaus suo figlio. La Liberazione partorì speranze infinite, mai avrebbe sperato tanto, lui aveva visto Hitler, le parate delle svastiche, la guerra, le bombe, la tragedia, la morte, e nel 1936 le quattro medaglie d’oro di James Cleveland Owens, un nero.

«L’angelo biondo, questo è un esempio di perfezione» il vecchio cattura l’attenzione del giovane che adesso si agita impaziente.

“Klaus ha cominciato a 10 anni e si è tuffato oltre 10mila volte. Nel 1968 ha 19 anni, vince l’oro a Città del Messico e in un colpo solo porta a casa 1 milione di lire dal Coni, una 500 in dono dalla Fiat e finalmente la costruzione di una piscina coperta a Bolzano.”

«Hai idea di cosa significa avere il controllo di ogni muscolo, di ogni legamento, avere la padronanza dei nervi, dei pensieri nella testa e del battito nel petto che ingurgita aria? Hai idea di come si controlla il cuore? Di come si ferma il respiro l’attimo prima di rilasciare infinite molle d’acciaio sotto tensione, durante l’attimo del volo in avvitamenti e carpiati, di salti mortali che durano un secondo? Beh, questa è la perfezione…» condividendo le finestre del computer nella call di lavoro, il vecchio accompagna l’emozione delle sue parole con i video dei tuffi di Klaus Debiasi.

«Guardala e nutriti di perfezione, racconta i sacrifici che costa…»

Klaus l’angelo vinse la medaglia d’oro nel 1968 a Città del Messico, a Monaco nel 1972 e nel 1976 a Montreal. Unico atleta italiano nella storia ad essere riuscito in tale impresa insieme a Valentina Vezzali nella scherma (fioretto). Nessun altro tuffatore al mondo ha saputo eguagliare l’exploit (vincere 3 ori ai Giochi nella stessa specialità individuale in tre diverse e consecutive edizioni) di Klaus Dibiasi – unico tuffatore al mondo e unico maschio italiano di qualsiasi specialità olimpica !!!

I fatti raccontati sono presi da questo articolo: I 70 anni di Klaus Dibiasi, l’angelo biondo dei tuffi azzurridi GIANLUCA STROCCHI

da un mio esercizio 20 righe su gruppo FB SESE – Scrittori E Scrittrici Emergenti

https://nuotounostiledivita.it/biografie/klaus-dibiasi/

LA FINE DEL MONDO

Correvano braccati. Sandy e Carl, li chiamerò con questi nomi di fantasia, correvano braccati da un cacciatore feroce. Nella pianura aperta prima, poi nella boscaglia fitta, pericolosa forse anche più dell’assassino che li inseguiva senza tregua, correvano quasi sfiniti insieme al vento per non fargli annusare la paura che scappa, quella che avvampa il desiderio. Erano intelligenti Sandy e Carl. Uso questi nomi perché lei mi ricorda la bella che balla e canta mentre lui la saggezza con la barba bianca. Nomi di fantasia per ricordi brillanti come stelle. Li chiamo così perché sono esempi scampati alle dimenticanze del tempo.

Spietato come nessuno, avevano visto questo mostro all’opera più volte e il suo grido furioso non dava alternative: correre, correre e basta. L’unica salvezza forse poteva essere un diversivo, dargli un obiettivo migliore ma adesso il vento s’era fermato. L’immobilità nell’aria annunciava un epilogo ormai scontato, e lui si avvicinava incurante di tutte le bestie intorno, troppo insignificanti ai suoi occhi iniettati di sangue. I cuori di prede e aguzzino tuonavano nei petti come tamburi amplificando la frenesia di fuga per Sandy e Carl, mentre per il re cacciatore solo desiderio di carne e di vittoria.

Un diversivo, solo un miracolo poteva fermare l’assassinio degli innocenti. Arrivò improvviso, inaspettato come una grandinata di pietre in alta montagna. Un frastuono mai udito attirò i loro sguardi su nel cielo e fermò ogni muscolo mentre l’atmosfera adesso rovente diventava tempesta.

Una stella cadeva veloce più del suono in una fiamma che in un attimo da luminosa pallina lontana diventò più grande di tutta la terra che avevano mai conosciuto. Si estinsero insieme, morirono vittime e carnefice nell’inizio preciso di una nuova era di esseri viventi, sopravvissuti e nati dalla fine del mondo. Fossilizzati i giganti arrivarono gli umani e così pensieri e memoria.

Lo conferma la scienza, lo racconta la Storia: le comete passano le stelle no, magari cadono ma brillano eterne.

foto dal web – esercizio 20 righe su gruppo FB SESE

LA CURA

«Ma tu hai capito cosa voglio da te?»

Lei insiste, e più riceve risposte vaghe e più sangue rovente le infiamma la testa. È un fuoco che minaccia di bruciare questa stanza fredda di periferia.

Lui fissa il monitor come ipnotizzato. Deve solo strattonarlo, tirarlo giù dalla sedia e prenderlo a schiaffi, almeno uno.

«Sì, sì, ho capito ma tu hai letto questo. È un albero antichissimo le cui origini risalgono a 250 milioni di anni fa nel Permiano e per questo è considerato un fossile vivente. È una specie relitta.»

«Te lo ripeto: hai capito cosa voglio da te?» ultimo avvertimento, la voce è violenta.

«Sì, ho capito ma guarda anche tu, è utile per la memoria e la circolazione, è un potente antiossidante. Che dici, lo prendiamo?»

Si gira e la guarda ma non la riconosce, chi è questa pazza che strilla? pensa alzandosi.

«Dove credi di andare, mi devi rispondere!» grida lei più forte di prima.

Dal muro sporco di fumo arrivano tonfi di protesta del fastidioso vicino che urlando bestemmia tutti santi del calendario. È notte fonda, minaccia ancora una volta di chiamare le guardie.

I nervi sono tesi ma lui serafico la guarda negli occhi.

Finalmente ho la tua attenzione pensa lei soddisfatta stringendosi tra le mani i fianchi. La minaccia diventa un invito sensuale alla lotta.

Chi sei? Che vuoi? Non non ho capito, nemmeno ti ascoltavo riflette lui misurando i pensieri uno alla volta come a riprendersi l’equilibrio dopo una sbandata della pressione arteriosa.

Il sangue a volte non va solo alla testa ma scende, circola male

«A te veramente importa se capisco i tuoi desideri?» con tono supplichevole le mostra i piedi gonfi, poi con dolcezza, nella voce e nella mano, le sfiora l’orecchio mentre con l’altra le scioglie i capelli, un bigodino alla volta.

«Pensi che una cura con il Ginkgo Biloba possa servire?»

Lei vuole un figlio, lui lo sa, gli brucia dentro lo stesso desiderio.

È notte, quasi giorno, fanno l’amore, quello vero.

food photography breakfast on bread illustration
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esercizio 20 righe con tema: il ginkgo biloba nel gruppo FB Scrittori e Scrittrici emergenti

IO PERSONAGGIO

L’ennesima batteria ciucciata come l’infante affamato di latte. Gli dico di smettere ma non smette, arreso alla nicotina, ne posa una ne prende un’altra carica, una pippa dopo l’altra. Fossero parole lo vedrei più sereno ma niente ciuccia leggendo un personaggio che non arriva, non parte, non si muove.

È buio intorno, la casa dorme, la strada rutta rumori striduli da macchine mangia rifiuti in lontananza, si avvicinano. Un carrellato dopo l’altro, li conta meccanicamente sulle dita che rifiutano la tastiera, mentre si gira sorride alla vista delle ombre sulla finestra chiusa fuori dalla persiana da cambiare, chiusa dentro dalla tenda gialla a fiori ricamati di Lorella. La luce del possente monitor proietta il gioco dell’altra mano che ha abbandonato anche il mouse sul tavolo appiccicoso di sudore e liquido aromatico della sigaretta elettronica. Intanto il personaggio non arriva, non parte, non si muove. La pagina bianca amplifica il gioco infantile delle mani, nel silenzio ritrovato, a volare, a salutare i molestatori urbani andati via alle sei del mattino. Lo pensa, lo vede, lo cerca in mille foto rubate all’intimità socializzata della rete, oltre mille pagine trascinate da uragani di parole. Pescatore di anime belle e tormentate. Ma nessuna lo convince, non arriva, non parte, non si muove. L’emozione è un artificio viscerale, intanto placa la fame di colazione con l’ultima gelatina alla frutta, rimasta sola.

Vorrei aiutarlo ma non vuole, non da ascolto, non chiede né legge a voce alta, muto rincorre sentieri già battuti, link del passato senza sbocchi. La rotellina gira, è un frastuono, all’indietro sull’altro pezzo da sistemare e gli occhi tornati fissi nella luce dello schermo, rimbalzano lettere come mitragliate. Non si offende, non si placa, procede immobile sulla sedia, anche questa volta l’incontro è rinviato. Soddisfatto rema in un altro mare. Sa che non è l’attesa ma il desiderio a creare l’azione. Venderei l’anima al diavolo per entrare nei suoi pensieri perché io no, lo guardo e aspetterò ancora.

esercizio sul gruppo FB Scrittori e Scrittrici emergenti alla domanda: il personaggio sei tu, come ti racconti?

CAMPIONI DEL MONDO

Sarebbe arrivata ne era sicuro ma l’attesa era rovente e gli bruciava dentro da quando era iniziata. Ancora stentava a crederci, aveva detto sì. “Va bene ci vediamo stasera dopo la partita“, quelle parole lo accompagnavano dal giorno prima come una carezza, in una dolcissima melodia legavano i pensieri uno dopo l’altro, la notte aveva dormito come un neonato sazio, e lei nel sogno era già sua.

Con il tintinnio delle palline di ghiaccio nel bicchiere ordinava un altro Martini mentre dal mare liscio come uno specchio, i riflessi della luna e delle luci della città rendevano la scena degna di un grande film. Mancava un niente alla perfezione, solo lei.

Per molti era un desiderio, una bellezza che fermava il respiro. La Bellucci di Malena non era niente, ecco perché per altri era una sciagura, maledetta. All’epoca Tornatore forse già pensava al Professore di Vesuviano, o’ camorrista. L’intreccio di quel ricordo rende l’attesa rovente come allora e nella mano il bicchiere ghiacciato non basta a placarne lo stesso fuoco, e oggi nemmeno la vodka ci riesce.

La pelle liscia e ambrata, gli occhi neri come un abisso, il Lido Azzurro è uguale, sarà cambiato il mondo ma le sensazioni sono le stesse, brividi di piacere con la brezza salata in faccia a richiamare emozioni già provate. Il fatto che odiasse il calcio l’aveva conquistata, anche lei amava altro, era diversa, irraggiungibile, invidia e desiderio, lontana dalla banalità della folla, ecco perché era sicuro che sarebbe arrivata.

Nel bicchiere il ghiaccio sciogliendosi segna il tempo che passa, attraverso il vetro i riflessi del mare, arcobaleno stonato, la folla è in festa, lei ha scelto quella. Siamo Campioni del Mondo. Quarant’anni dopo sono ancora qui in estate ad aspettare la fine di una partita mai iniziata.

 

esercizio 20 righe del gruppo FB Scrittori e Scrittrici emergenti con il tema: estate – – foto dal web

people at a party
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Fino all’alba

«Tesoro mio aspetta, fammi spiegare…» Brigida fa volare l’ombrellino del Cuba Libre per terra mentre il nettare alcolico inonda il bancone. Il bar è un deserto, Rick mostrava indifferenza fino a un secondo fa, arriva come un fulmine a pulire, prevede una rissa e mentre finge di seguire la TV, immagina di essere rimorchiato dalle due belle signore.

«Va bene, spiegati meglio, pensi che il mio sia tutto un film?» serafica Clarissa non si scompone, blocca la mano di Rick fermandone il vortice dello straccio sulla vecchia quercia consumata dai clienti. Il cuore di Rick pulsa impazzito sospeso a quella mano che lo tiene stretto. Lei sente sotto le dita scorrere il sangue impetuoso del giovane, lo trafigge negli occhi verde caraibico mentre gli sussurra nell’orecchio di raddoppiare le dosi, lo lascia di colpo e con distacco lo ringrazia. Rick precipita nel baratro delle occasioni perse. Rimmel pesante, pensa, ma fissando la bocca carnosa immagina oltre quelle spente parole di circostanza.

«Da quanto tempo ci conosciamo?» Brigida ha rovesciato con intenzione il cocktail per prendere tempo, sta pensando che l’amica deve aver capito qualcosa, è dai tempi del liceo che non hanno segreti.

«Non ci provare, mi stai facendo incazzare!»  lo sguardo di Clarissa è una sfida a duello, sa tutto ma offre all’amica la possibilità della confessione, la vuole nuda ai suoi piedi, l’ha sempre desiderata ma non ha mai osato dichiararsi. Gli fissa l’angolo della bocca e più forte sente un brivido mentre l’alcol in gola le avvampa il desiderio di lei.

«Perché sei così acida? Che ti prende?» – ma che stronza, stai divorziando e non hai detto niente, ma che posso farci se tuo marito mi ha cercato, frigida dal morire di freddo mi ha detto Carlo, sapevi che mi piaceva e me lo hai rubato, una stronza, questo sei.

«Perché mi hai voluta vedere, cos’è che vuoi da me?» – possibile Brigida che non capisci, ti ho preso Carlo perché ti volevo tutta per me, ne ero gelosa alla follia, tu pensavi a lui e io a te senza pace; te l’ho cancellato dalla testa, so che vi frequentate e so che la tua è solo pietà, dai confessa, a tuo marito non ci pensi? Dai, vieni via con me.

Non hanno mai avuto segreti tranne uno, inconfessabile come il desiderio di Rick, invisibile.

Svuotano i bicchieri e il silenzio prende tutto il bar. Rick deluso fa cenno loro che deve chiudere mentre spegne l’ennesima replica notturna della rassegna stampa dei giornali di domani. Dopo tanti drink a litigare, le vede andare via mano nella mano, invisibile lui negli occhi e nei pensieri di queste due belle signore con la fede al dito. Peccato, pensa Rick, mi sarei fatto rapire volentieri. Rimasto solo, la notte non si spegne ancora, almeno fino all’alba.

La ladra è lei, la giornata che viene e una vita a mentire mentre il desiderio ti scoppia dentro.

da un esercizio per #sese20righe_ladra su gruppo FB scrittori.scrittriciemergenti pubblicato con lo pseudonimo Cocca nervosa

Ad avercelo un papà che gioca con te

19 marzo 2022

Sono ore complicate. Oggi come due anni fa, guerra.

Allora contro un virus, oggi tra umani che s’ammazzano consumando armi micidiali.

Gela il sangue, ma quello scorre fin che c’è vita.

Vita appunto, tante cancellate in pochi attimi. E diventa contabilità fredda, crudele, contabilità collaterale, effetti programmati dall’economia di guerra. Maledetti.

In queste ore difficili e uguali a tante altre, impotente, agitato da costruzioni narrative in conflitto tra loro, mi sono chiesto spesso:

«Tu che faresti al posto loro?»

Fortuna a non esserci, a non desiderarlo.

«Immagina di esserci in quella funzione» una voce in testa mi tormenta.

Chiedere di resistere, di combattere, di morire? Mi dico come se non avessi capito la provocazione dell’essere che tutto vede e mai interviene.

«Avrei alzato le mani, non si ragiona con chi ti punta il colpo in canna con il dito sul grilletto, non in quel momento» o sei già armato e sei più veloce, un soldato istruito e allenato, o sei morto.

Il suono delle parole stride a voce alta contro quelle silenziose dell’assordante pensiero. A voce alta solo assoluzioni e buoni propositi, confessioni.

Puoi ragionare con le armi abbassate. Deposte. Altrimenti cosa sei?

Arrogante o eroe? Combatti per dio, non hai scelta, sarebbe questa la libertà?

Nell’atto violento sopravvive il più forte, forse il meno fortunato.

I soldati non sono killer spietati, almeno non tutti, forse lo è una minoranza, forse una minoranza di questa minoranza prova anche piacere nell’ammazzare un fratello, magari imbottito di droga nemmeno lo ricorda, forse stordito dalla paura prova solo a difendersi.

Al netto dei prescritti a forza, questa guerra moderna si fa per dire è piena di mercenari.

La differenza la fa la distanza tra un lavoro e il piacere di lavorare, difesa o offesa, la guerra è un lavoro sporco senza diritto di sciopero, di protestare, di contestare, l’alternativa si chiama tradimento, lo è per un soldato comandato, lo è per un partigiano asservito alla sua idea di resistenza.

Criminali o eroi? Uccidere o morire. Una medaglia, forse una bara, forse un corpo che resta unito e non disperso a brandelli. Forse un ricordo di chi sopravvive. E solo oblio per i vinti.

«Un vigliacco! Questo saresti?» è la coscienza che sento? Giudicare se stessi, oh che somma gloria eterna nell’attimo che fugge. Farsi ragione, diventare ipnosi collettiva. Parte di un gregge senza pastore. Un delirio dell’anima, le domande del pensiero, senza risposta.

«Avrei alzato le mani e mai avrei chiesto ad un mio governato, figlio o figlia, sorelle e fratelli, padri e madri, l’umanità a me più cara, mai avrei chiesto di prendere in mano un AK-47 e combattere contro missili, bombe e carri armati.»

«Scambieresti armi con fiori e con le parole giocheresti al controllo sociale del tuo popolo? Olimpiadi e competizioni artistiche tra etnie e riti tribali come musica?»

«Perché no, meglio sangue e dolore? Meglio scannarsi per patrie e imperi?»  

Guardare nel buio della bocca di fuoco e poi negli occhi di chi tiene il dito sul grilletto, è il racconto di chi governa le emozioni e manda al massacro anime innocenti.

«Va beh, avresti alzato le mani e poi?» la voce mi sfida, frusta e carezza l’utile orgoglio, puoi scegliere mi dice? La soluzione alla teoria è astrazione del resto, la resa non è che un’opzione tattica, la pace sopravvive al bagno di sangue.

«Avrei aperto tutte le porte, consegnato ogni chiave segreta, ragionato di resistenza senza armi, senza cavalli di Frisia e trincee da scavare, avrei parlato alla mia gente per vietare la fuga, scacciare la paura della morte e io per primo in strada a fermare i carri armati con le mani, e con il corpo del mio popolo, nudo, e così catturato, corrotto e amato l’anima dell’invasore.»

Nel Paradiso Dante scriveva che questa Terra è “l’aiuola che ci fa tanto feroci” ecco perché i guerrafondai si nutrono di paura e di morte. Maledetti.

Torneranno a stringersi la mano con un pezzo di carta, ridendo compiaciuti per un accordo firmato con il sangue, scherzando su spartizioni di proprietà astrusa di terra e affari, ingordi nella ricostruzione, divertiti nella competizione della ripartenza dei sopravvissuti richiamati a corte, ballando sulla crescita dopo la distruzione. E rideranno di tribunali fasulli, esecuzioni sommarie, riempendo la storia di racconti di vittoria. Maledetti.

Scavano trincee, alzano muri di cemento e filo spinato, eseguono ordini.

Ad avercelo un papà che gioca e non fa la guerra, e festeggiare in pace il falegname che plasma il legno morto per creare nuova vita, immortale riproduzione di speranza di un mondo senza armi.

Ad avercelo un papà che gioca e non fa la guerra.

photography of soldier toys
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close up shot of soldier toys
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building clouds fall gendarmerie
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Tweet di Francesca Mannocchi
Tweet di Francesca Mannocchi, maggio 2022

Non lo volevo fare, l’obiezione l’avevo respirata a polmoni pieni e ne ero convinto, poi quando arrivò la cartolina, la disillusione e la voglia di andare fuori, vinsero; io non lo volevo fare, il militare. Non hai idea di quanto delirio ti prende quando mitragli con un fucile d’assalto M16, una belva tra le mani, anche se sei un pivello che piscia in un poligono sotto lo schiaffo di un sergente convinto. Esplosioni, polvere e sagome senza sangue. Non hai idea di quanto non lo volessi fare eppure le marce, il giuramento, le guardie armate, il ferro, l’ordine e i gavettoni creano famiglia, la competizione, fanno grande l’uomo così come lo vogliono loro. Il taglio è deciso, senza ritorno se affonda fino all’osso, dove l’anima muore. Non lo volevo fare, il militare, però solo dopo ho capito cosa combattere. Non hai idea della gioia nel giorno del congedo. Chissà perché e per come, era nel giugno 1986, festeggiamo anche il primo scudetto del Napoli di Maradona, dal S. Paolo al porticciolo a Sorrento. Una notte d’orgoglio sublime. Non solo il respiro di libertà e di vittoria, di rinascita e di felicità, ma da quel giorno, ho respirato l’alito caldo dell’anima tornata viva a sputarmi in faccia l’uomo da diventare…

la guerra dentro 😪

corriamo dove altri non vanno

lottiamo dove altri rinunciano

ininfluenti come gocce di pantano

con corpi nudi armati di niente

contro le guerre vivi di folle respiro

corriamo, corriamo per non morire dentro

la guerra dentro 🙁

https://www.unionesarda.it/news-sardegna/blitz-militare-immediato-sardegna-circondata-sw98wxmz?fbclid

https://www.unionesarda.it/news-sardegna/sbarco-di-guerra-nel-porto-di-cagliari-h4pcpc0a

La Viola di Piera

un commento al romanzo UNA FAVOLOSA ESTATE DI MORTE di Piera Carlomagno, pubblicato da Rizzoli nel 2019 per Mondadori Libri

Non ci sono alibi, chi ha letto di Viola Guarino con #NeroLucano non può che desiderarne l’esordio raccontato dall’autrice nel romanzo una “Favolosa estate di morte”. A tutti quelli che ancora non conoscono questo intricato e complicato personaggio che nella vita fa l’anatomopatologa, posso dire di non rimandarne l’incontro perché è uno di quei protagonisti dei sogni che aiuta a curare ogni inquietitudine. Scienziata e strega, fragile e forte, passionale e fredda, desiderabile e respingente, severa ma umana oltre l’umano. Viola aiuta a comprendere la complessità dell’esistenza invisibile che ci accompagna, e lo fa attraverso le sue vicende che sono intricati percorsi emozionali, sensitivi e psicologici, che legano il reale di chi deve affrontare il dolore della perditadell’ammazzato, con l’essenza spirituale dei cadaveri con cui intrattiene dialoghi risolutori. Quei corpi e ciò che sopravvive alle autopsie, le parlano oltre la morte districando matasse attorcigliate di sospetti, moventi e volontà segrete fino ad arrivare alla scoperta di ciò che li rendeva protagonisti di una vita intensa ma bruscamente interrotta. I cadaveri sono due, abbracciati nella morte, più amanti tra loro che nella stessa vita. Il prima e il dopo hanno reso il percorso narrativo un viaggio che mi ha ipnotizzato come lettore. La Viola Guarino di Piera è essa stessa il romanzo di cui si desidera la continuazione, e così si capisce l’attesa per #NeroLucano, e la bramosia per un terzo episodio dove cercare le risposte a domande ancora aperte su questo personaggio incredibile.

La scena in cui Viola conosce la moglie di Loris è un piccolo capolavoro per la sua semplicità, per la sua tensione, per una straordinaria e travolgente ordinarietà che sbatte il lettore dentro l’intimo più realistico e normale della vita quotidiana di ognuno. L’amore di Viola e Loris è una scoperta lenta, si gusta con piacere crescente passando da questo romanzo a #NeroLucano, ma resta una storia irrisolta che diventa la trama di una serie di cui già fortemente si sente il bisogno, magari una trilogia lucana o magari l’esplorazione di nuove terre vicine con popoli e personaggi che aspettano, dietro l’angolo, di nascere in pagine nuove della Carlomagno.

“Sentiva il desiderio di mordere il nuovo sostituto procuratore.

E quel sobbalzo, quello di lui, non le era sfuggito, ed era coinciso perfettamente con il tuffo del suo cuore. Uno scatto contemporaneo nella testa di tutti e due. Sarebbero stati guai, lo sentiva.”

Per me l’attesa è la magia di un giallo. Il ritrovamento nelle pagine di segreti, indizi e prove, con lo svelarsi dei personaggi vivi con quelli morti ammazzati, è la verve, il brio del romanzo, l’estro dell’autrice ne fa un cocktail alcolico di cui la Carlomagno è ormai maestra, ma su questo vi rimando a due recensioni di prestigio, ecco i link:

“… ingredienti del noir oltre il noir di Piera Carlomagno”  dalla recensione di Angelo Cennamo su TELEGRAPH AVENUE

“Una favolosa estate di morte” è IL giallo italiano per eccellenza, con tinte noirdalla recensione di Sara Ferri su TRILLER NORD

Nel giallo c’è un indizio importante, un dipinto degli amanti … tornare a Matera:

«Della sua morte apparente o tanosi, quella che le ha permesso di aspettare tanto prima di vendicarsi di…»

una favolosa estate

più misterioso di un fantasma c’è solo un figlio di “pacchiana”che fa commenti 🙂

Fa troppo caldo

– Sono innocente! – grido forte con i piedi bruciati nella sabbia. Niente, a portarmi via sono due soldati venuti dal mare con l’uniforme bianca.

low angle shot of a person swinging on a rope tied to coconut tree

– Sulla spiaggia comanda la Capitaneria! – urlano anche loro ma rivolti al vigile urbano che sulla sala del lido si sbraccia e tenta di intervenire, lui prova a difendere i clienti del suo amico titolare dello stabilimento bianco e blu.

Niente, la calca dei curiosi si fa insopportabile, con questo caldo opprimente ci manca anche la folla dei bagnanti che stringe intorno – è il padre eterno che ci allena in terra alla pena dell’inferno – mi dico mentre struscio sulla fronte il polsino candido del marinaio, con forza per tergere il sudore che scende a fiumi dalla mia fronte e dal collo, mi agito, resisto alla legge, lui mi afferra le mani e io mi affranco con la sua giacca immacolata in un feroce braccio di ferro.

two brown wooden armchairs beside umbrella near seashore

–  Sono innocente! giovanotto lasciami stare! – gli urlo nell’orecchio, lui reagisce, e mentre la mia fronte trova conforto nel cotone della sua ascella asciutta, mi stringe al collo e mi butta a terra nella sabbia, prima bruciavano solo i piedi, adesso tutto il corpo.

– Che figura di merda! – ho tutti gli occhi puntati su di me, e allora guardo più sopra, alla seconda fila degli ombrelloni, nel posto che so a memoria e la vedo, niente, nemmeno questa volta mi guarda, continua l’uncinetto come sempre, ipnotizzata, nemmeno questo casino la distrae dal suo lavoro, veloce, ossessivo, un punto fiorellino dopo l’altro di cotone rosso che si ammaglia di passione un giro dopo l’altro.

Alberto, il bagnino dai muscoli d’acciaio e un cuore gigante, mi getta in faccia un secchio d’acqua fresca per spegnermi l’incendio.

Mi sveglio incazzato in una pozzanghera di sudore rovente, allagato nel lenzuolo bianco che mi si è attorcigliato sopra la testa, do un calcio al cuscino fuori dal letto come ultima reazione di una resistenza vana a pubblico ufficiale: – Le ho solo rubato una foto sotto la doccia! – un reato? un incubo! – La colpa non è mia, è sua, non mi guarda mai! – scoppio a ridere e se non mi decido a rivolgerle una parola, finirò al manicomio!

– Dai ricordati di Epicuro e vai. –

Ciò che una volta presente non ci turba, nell’attesa ci fa impazzire.

ho scoperto WriterOfficina

“saranno i ribelli a cambiare il mondo” Abel Wakaam – wow!!!

la verità è che ho scoperto uno scrittore, fotografo, esploratore, e ribelle!

– da non perdere le interviste a grandi scrittrici e scrittori… deliziosa quella aErri De Luca, incredibile quella al ghostwriter 🙂 e molto interessanti anche quelle a Dacia Maraini, Piera Carlomagno, Maurizio de Giovanni, etc…

Molto bello l’articolo EGO SUM… sempre tutto diAbel Wakaam, molto affascinante per me la veste grafica e tecnica del sito, molto fine anni ’90 ma molto funzionale ed immediata oggi nel 2021!

Per me una rivelazione, quindi vai! basta un click! per entrare

“nel luogo dei folli che vogliono cambiare il mondo”

fino al 15 novembre 2021 puoi dare la tua preferenza a questo libro nel
Concorso letterario Writer Golden Officina 2021

o partecipare con un tuo testo: fai click su questo link per sapere come fare

l’amore ai tempi di Facebook di Mark Zuckerberg

Ci dovresti passare un reddito di partecipazione per tutti i dati e contenuti privati che ti regaliamo mentre tu li vendi al migliore offerente come fossimo merce in vetrina… buu, miliardario che non sei altro…

L’anniversario: 3 luglio 1999

Lei: «Amor vincit omnia… ore 17 solito posto… io e te… 22 anni di noi …i migliori anni della mia vita… ricchi di amore, libertà, rispetto… Che fai? Vieni?» – in mezzo a mille cuoricini.

Io: «sto gia’ la Amo’, confermato taglio torta e dolcetti di Bassano, confermato celebrante, un certo Picarone, il sindaco e’ impegnato ma ci sposiamo lo stesso, pronta anche una autoambulanza e i pompieri per eventuali svenimenti o incidenti, porta tu le carte, al comune non si sa mai, sabato come allora, non fare tardi, smack», condividendo la foto del nostro bacio pubblico nella sala monumentale del governo della città.

Lei: «mascalzone».

Io: “fino alle 17 c’è tempo per fare pace” – penso godendomi uno spaghetto con ragù senza carne che fa risuscitare i vivi, poi c’è la crostata del paradiso che ho sbirciato nel frigo, fino alle 17 c’è tanto tempo come fosse ieri, ieri l’altro.

il caos e una stella danzante

esercizio di scrittura, la traccia è una frase di F.Nietzsche:

Bisogna avere ancora un caos dentro di sé per partorire una stella danzante

young multiethnic friends gossiping about black male student preparing for exams in park
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«Se mi ascolti e mi lasci parlare è meglio per noi» le dice cercando di arginare il fiume di parole piene di rancore e di violenza che stava subendo, e allora, deciso, le afferra le mani sul tavolo.

«Non mi toccare! Non mi devi toccare!» lei urla forte nel casino affollato del locale che una volta era la loro casa. Lei prova a staccarsi ma si arrende subito: da troppo tempo lo desiderava. L’ira nei suoi occhi truccati con stile, non si placa ma l’ossessione di sentire il contatto delle sue dita ancora una volta sta vincendo. Dopo anni. Non per amarlo ancora ma per fargli ancora male: «Adesso vuoi toccarmi, mi vuoi parlare?» la voce le diventa roca dopo l’urlo mentre rigira la presa affondando con forza le unghie a coltello dei pollici dentro il dorso delle mani arrendevoli di Luca.

«Titty non scappare ti prego, non è per i figli, non è per i soldi e nemmeno per il bar. Non è per la gente, né per la parentela dei soci che ci hanno massacrato. Non è l’apparenza né lo dobbiamo a chi ci ha raccattato e amato lucrando sul nostro divorzio, gli stronzi non siamo noi!».

Le braccia nude e tese di lei vibrano per lo sforzo che si amplifica all’improvviso quando rivede negli occhi di Marco la scintilla d’amore perduta, e allora affonda più forte nella sua carne.

«Parlami, continua a parlare se ne hai il coraggio» con voce tersa, di cristallo tagliente, lo tiene fermo: «sei un verme, mi hai fatto andare con uomini che nemmeno mi piacevano, per ripicca, per vendetta, mi sono fatto le tue amanti per dimostrare a me stessa che non valevi nemmeno un mezzo cazzo moscio, dai parla, forza, fammi sentire, che vuoi?»

Lui è più forte, incurante delle gocce di sangue colanti sui polsi, con uno scatto rigira la presa delle mani strette a tenaglia, e nell’alzare le braccia, sposta il tavolo rovesciando le birre ancora piene, la mette in piedi, in un attimo impetuoso di tenerezza cancella tutto il mondo intorno, si avvicina alle sue labbra serrate dalla collera e le sussurra: «sei bella come mai, stasera balla con me».

WISH YOU WERE HERE

Lo guardavo senza farmi notare, ossessiva, guardavo lui e vedevo Jim, al di là del vetro, inafferrabile, perso nei suoi versi. Cancellava e riscriveva come un diavolo ingordo che cambia vittima e strategia, perso in una folla di anime.

“Quindi, quindi tu pensi di saper distinguere il paradiso dall’inferno?”

Mi piaceva ma non lo doveva sapere, io sono al mixer, domani chiameranno un’altra, forse non torneranno, non hanno soldi. Come sempre.

«Basta Alex hai rotto, l’ultima andava bene», le bacchette di Tommy continuano a roteare mentre rompe il silenzio con parole annoiate; vuole suonare, suonare ancora.

«No, cazzo, non va bene, è banale, che cazzo significa distinguere un sorriso vero da uno falso?» – Alex parla furioso, strozzato, però quando canta mi scioglie dentro. Lo amavo dal primo giorno; baciai le sue labbra con la prima birra bevuta insieme. Tra le mie cose preziose, conservo con cura quella Ceres mai lavata, insieme al biglietto della metro fissato con la colla calda sull’etichetta di una birra di cinque anni fa. Quella sera, al mio primo concerto, il mio Jimmy si esibiva, era l’idolo del mio liceo, finì con una rissa, colpa di tre sfigati che non capivano la sua immensa poesia, balordi ubriachi in un misero bar di periferia.

Oggi è diverso, registriamo una canzone vera, quasi tutta sua. Da quella sera sono il suo rifugio, non il suo amore, la sua scorta disarmata. Non lo deve mai sapere che in lui vedo Jim Morrison, impazzirebbe, sorrido con i miei pensieri balordi, lo sento nella testa: “punk esiste solo il punk”.

Oggi sono un tecnico del suono, una professionista – “concentrati e lavora bene” – così spazzo via con forza ricordi della scuola, adolescenti e troppo belli.

«Alex dai, sono ore che proviamo, ne abbiamo già registrate almeno tre che possono andare, è solo un provino da presentare a quella specie di struzzo in giacca e cravatta, ma sei proprio sicuro che ci darà una mano?» Sara suona la chitarra, è una dea, fisico da paura e ricci lunghissimi, io li mescerei di biondo platino ma lei niente, neri come la pece, capisco perché Alex non l’ha mai annusata, ne sono felice, una in meno; Alex è altrove ma vorrei che fosse qui invece è nei suoi versi, la cover per lui deve dire altro, una cover punk di Wish dei Pink può esistere solo nel suo genio. Lo amo ma lui non lo deve sapere. Mai. Lo perderei per sempre.

«Anna sei pronta? Ne facciamo un’altra, tieni gli alti in evidenza, abbassa leggermente il basso di Terry, oggi sbatte le corde come nemmeno una boscaiola del Quebec» – dall’aldilà del vetro gli faccio vedere il pollicione in alto. L’anello alla base mi stringe troppo, mi fa male – “cazzo, sono ingrassata ancora“.

Parte la musica, il climatizzatore fa il suo lavoro, l’aria è fresca, limpida, il vetro è pulito, arriva la sua voce, un delirio nevrotico mi prende, mi alzo dalla poltrona, ho le braccia che ruotano impazzite, i pugni stretti ballano con me. Sono pazza, pazza di lui ma non lo dovrà sapere mai. Ho trovato la mia strada, mi piace questo lavoro; nel pomeriggio ho finito il mio turno con altri emergenti che vogliono sfondare, magari pure i timpani, vogliono sfondare tutto. Lui no, lui è altrove e vorrei tanto che fosse qui stasera, qui nel mio letto, voglio la sua voce ruvida diventare tenera, voglio le sue mani fragili diventare dure, voglio i suoi versi, sussurrati sulla mia pelle: “che protagonista sei? chiuso in una gabbia anche se la guerra ti esplode intorno?”

video youtube del 2006 visto da 220 milioni di anime nel web

esercizio fatto per il gruppo FB scrittori e scrittrici emergenti SESE

scrittura creativa (20/30righe), la traccia è nel titolo

#ilterzolivello su instagram

anche instagram … la notizia sta girando 🙂#ilterzolivello

la grammatica italiana

comunicato ai miei carissimi lettori: continuate così – veramente grazie di cuore!!! – ogni segnalazione di errori/orrori, in violazione della grammatica e sintassi italiana, anche napoletana 🙂 ogni commento e ogni domanda sono linfa vitale per questo progetto di editing collettivo in continua evoluzione, intanto … tanto per rimarcare la mia inadeguatezza all’impresa 🙂 bisogna rifare le fondamenta che si sono sfatte, forza e coraggio 🙂 … ho ripreso dalla polvere il libro che si vede allegato al post … nel ’77 ero in prima media (e voi?) … vi prego fermatelo questo tempo maledetto che corre veloce, vi prego fermatelo 🙂 … intanto, bisogna leggere e studiare prima di pubblicare … ormai la frittata è fatta 🙂 e come dicono quelli bravi, bisogna buttare l’acqua sporca, mai il bambino !!!

#ilterzolivello

… tenerlo in vita, farlo crescere, il bambino, è tutta nata storia 🙂

leggi! che meraviglia…

essere lettore, essere giudice, valutare ciò che oggettivamente uno scritto trasmette a chi legge, è un lavoro tremendamente difficile, impegnativo, può essere una professione esaltante se costruita sulla passione ma credo che il bagaglio culturale e delle esperienze, necessario per dotarsi di una cassetta degli attrezzi adeguata è paurosamente infinito, magari ci si può specializzare in termini di “aree” di scrittura e in termini di “target” di lettura … facile, rilassante, invece è la dimensione soggettiva, quello che ci piace e che ci cattura, quello che ci fa pensare, che ci forma, che ci fa sognare, quello che … ci aiuta a sentirci vivi dentro e fuori dal nostro essere umani, nonostante la violenza e le ingiustizie che alimentano il male e la cattiveria dell’essere umano.

Facile e rilassante è scegliere cosa leggere. Devo leggere, devo giudicare…

Nel #ilterzolivello c’è un passaggio del protagonista che impone al figlio la figura del genitore come giudice, il giudicare il figlio è un dovere per il protagonista, quando sappiamo bene come da sempre i figli rimproverano con forza questo ruolo: “tu sai solo giudicarmi!” … ancora non ho trovato un lettore che mi abbia segnalato/criticato questo tema, … la verità è che nella mia sfacciataggine ho buttato dentro troppi temi … ma la vera domanda è: perché dovrei leggere questo #ilterzolivello ? Perché dovrei partecipare a questo esperimento di “editing collettivo”? … devo ragionare meglio con il mio ghostwriter … intanto seguo il suo saggio consiglio: LEGGI!!! 😎

  • finalisti premio salerno
  • Copertina libro De Silva
  • copertina L'invito di Piera Carlomagnobreve L'invito, edizioni e-stories 2020
  • copertina di CERTI BAMBINI
  • specchio

un libro & un caffè

Nel ringraziare la libreria Libramente Caffè per la disponibilità, comunico che sono disponibili copie fisiche del #ilterzolivello a Salerno

in Via Francesco Paolo Volpe, 34

Caffè Letterario Libramente

Dante e gli scacchi

pp. 123 #nerolucano di Piera Carlomagno

«L’incendio suo seguiva ogne scintilla; ed eran tante, che ’l numero loropiù che ’l doppiar de li scacchi s’inmilla.»

Dante Alighieri, Paradiso XXVIII, vv. 91-93.

1 un coro di angelo

2 due cori di angeli

4

8

16

32

64

128

256

512

1.024

2.048

4.096

8.192

16.384

32.768

65.536

131.072

262.144

524.288

1.048.576

2.097.152

4.194.304

8.388.608

16.777.216

33.554.432

67.108.864

134.217.728

268.435.456

536.870.912

1.073.741.824

2.147.483.648

4.294.967.296

8.589.934.592

17.179.869.184

34.359.738.368

68.719.476.736

137.438.953.472

274.877.906.944

549.755.813.888

1.099.511.627.776

2.199.023.255.552

4.398.046.511.104

8.796.093.022.208

17.592.186.044.416

35.184.372.088.832

70.368.744.177.664

140.737.488.355.328

281.474.976.710.656

562.949.953.421.312

1.125.899.906.842.620

2.251.799.813.685.250

4.503.599.627.370.500

9.007.199.254.740.990

18.014.398.509.482.000

36.028.797.018.964.000

72.057.594.037.927.900

144.115.188.075.856.000

288.230.376.151.712.000

576.460.752.303.423.000

1.152.921.504.606.850.000

2.305.843.009.213.690.000

4.611.686.018.427.390.000

9.223.372.036.854.780.00064°raddoppio 🙂

oltre 9 miliardi di miliardi … quello che segue è un post del 20 marzo 2020 – copiato dal gruppo “Natura & Matematica” – la condivisione FB al post sparisce dopo pochi secondi e quindi ho duplicato anche la bella immagine che accompagna il post – roba da nerd 🙂

«L’incendio suo seguiva ogne scintilla;ed eran tante, che ’l numero loropiù che ’l doppiar de li scacchi s’inmilla.»Dante Alighieri, Paradiso XXVIII, vv. 91-93.[…]

I riferimenti ad argomenti di carattere matematico sono molteplici nella Commedia e, nello specifico, quello riportato qui, induce a far pensare che Dante avesse un interesse anche per il gioco degli scacchi. La citazione afferma che il numero di cori degli angeli in Paradiso è talmente grande da superare il “doppiar de li scacchi”. Questa è un’allusione alla leggenda di Sissa Nassir, il mago di corte dello Shah di Persia, che, per dare qualche diversivo al suo re annoiato, inventò il gioco degli scacchi. Lo Shah gli chiese quale dono volesse in cambio per questa sua invenzione e lui rispose che gli sarebbe piaciuto molto ricevere come ricompensa soltanto un chicco di riso sulla prima casella; il doppio dei chicchi sulla seconda casella (cioè 2); il doppio ancora sulla terza casella (cioè 4); il doppio dei chicchi della terza sulla quarta (cioè 😎, e così via, fino all’ultima casella, la sessantaquattresima. Lo Shah credette di poter soddisfare con poco questa sua richiesta, ma ben presto si rese conto che il numero di chicchi di riso necessari era di ben lunga superiore a quello di tutti i chicchi presenti nel suo regno. Allo stesso modo, nel Paradiso dantesco, i cori degli angeli sono in numero ancor maggiore dei chicchi di riso della leggenda].A.T.

capolavori

quando la trasformazione della materia, attraverso la realizzazione di un’idea, crea oggetti utili e belli, queste opere sono capolavori, l’arte è un’altra cosa, magari immortale, magari eterna … il capolavoro è un lavoro fatto bene, può piacere o meno, resta un manufatto unico, irripetibile … e quando questa artigiana ti è moglie, amica e amante … non puoi che ringraziare per l’orgoglio e il privilegio di essere desiderato comunque e sempre: solo infinita ammirazione … https://www.facebook.com/media/set/?set=a.2662122613820382

Libri e Recensioni.com

.. la mia avventata nonché spregiudicata sperimentazione creativa di scrittura, acquista nuovo vigore con la bellissima recensione di Norberto Loricati che ringrazio infinitamente …

Recensione:
Un libro difficilmente classificabile in un genere. Se proprio dobbiamo incasellarlo in una sezione direi “biografia romanzata”, ma in queste due parole… c’è dentro di tutto.
Un elemento caro all’autore è il mare e, dunque, lo uso anche io per fare un esempio.
Immaginiamo una giornata ventosa, di quelle in cui le onde si fanno grosse sotto costa, con cavalloni difficilmente superabili. Se un impavido nuotatore si avventurasse in acqua verrebbe sbattuto a terra, sommerso, respinto, ma insistendo e andando contro vento, superando quel punto in cui le onde si formano, ecco che le acque si fanno più calme, dolci, e accoglienti.
Ebbene, i cavalloni costituiscono le prime quaranta pagine di questo libro: respingenti, difficili da oltrepassare, scritte con uno stile poco avvincente, dialoghi lunghi, quasi dei monologhi, composte da riflessioni pseudofilosofiche che allontanano il lettore, invece di attrarlo.
Superato questo scoglio il racconto prende un altro ritmo, e ci si incammina accanto al protagonista ripercorrendo la sua (e la nostra) vita.
L’autore usa un espediente – una lunga camminata per recarsi a un appuntamento – per rivedere a ogni angolo di strada sprazzi della propria esistenza, ricordando persone, luoghi e idee di una fase della vita che non c’è più. Come spesso accade, si tende a idealizzare il periodo della giovinezza, e ogni cosa dei tempi andati sembra migliore solo perché vissuta in un’età ricca di speranze, progetti e fantasia. Accade la stessa cosa in questo bel libro che Di Gennaro ci propone. Nonostante il protagonista non abbia vissuto una giovinezza particolarmente agiata, si ha la sensazione che la vera ricchezza gli fosse data da qualcos’altro: valori ormai perduti e sani principi restituiscono la soddisfazione per un percorso di vita sempre votato alla correttezza e alla rettitudine.
Insieme al protagonista ripercorriamo gli anni di piombo, con il terrorismo che li incendiò, e le lotte di classe, con il periodo d’oro dei sindacati, quando riuscivano a portare in piazza migliaia di lavoratori per un salario più dignitoso. Inutile dire che l’autore sta dalla parte di chi ha meno, di chi vede i propri diritti calpestati, ed essendo egli stesso un sindacalista, in questa sezione del libro ci ha messo sicuramente molto del suo.
Oltre a questi temi decisamente caldi e vissuti ancora con fervente passione, Di Gennaro ci mostra anche altri temi più romanzati e meno impegnati. Ci parla di amicizia, di lealtà, di momenti di vita vissuta socializzando con persone in carne ed ossa, e non tramite i cellulari come avviene oggi. Ci parla della sua profonda passione per la musica e del ruolo fondamentale che hanno avuto le radio private negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso. Ci parla dei primi home computer entrati nelle case della gente. Ci parla dei primi amori, vissuti con una passione che spingeva a coprire lunghe distanze con una semplice bicicletta. Ci parla anche del ricco e variopinto rapporto di vicinato che si creava nei vicoli delle città. Ma c’è ancora tanto altro: ci sono pensieri e riflessioni sulle differenze generazionali, sul difficile rapporto fra un padre e un figlio che non riescono a comunicare e c’è spazio anche per un piccolo mistero su un’entità superiore, nascosta, capace di condizionare le vite di tutti noi.
Quando si arriva in fondo a questo testo ci si rende conto che in quelle pagine c’è una parte della memoria collettiva del nostro Paese. Non solo, c’è anche tanta parte di noi come singoli individui, con le nostre piccole esperienze vissute e dimenticate negli anni. Ecco, quindi, che questa lettura si differenzia da tante altre poiché, alla fine, non facciamo tesoro delle esperienze altrui, ma scopriamo una più forte e profonda ricchezza nelle nostre stesse vite, che questo libro ci aiuta a ricordare.
Una lettura che mi permetto di consigliare soprattutto a chi ha qualche capello bianco, per rivivere tanti bei momenti della propria esistenza grazie all’aiuto di Di Gennaro.
(Norberto Loricati)

ringraziamento

la letteratura ai tempi di twitter

Johannes Bückler

@JohannesBuckler

Che ci faccio in questo luogo di dolore?

La logica conclusione, caro Johannes, dopo una vita passata a lottare contro i mulini a vento. Perché nessuno mi vuole dare retta? So di aver ragione, ne sono certo. Sto impazzendo per questa cosa. Perché mi hanno rinchiuso in manicomio?

NON ESISTONO PICCOLE STORIE

meritiamo la serie A

… cancello ogni dubbio anche per dissuadere altri tentativi di approccio che temo si intensificheranno comunque, sotto sotto alle elezioni amministrative. Ringrazio con il cuore chi, comunque, mi onora con questo tipo di proposte, ma come ho scritto alla domanda lanciata in rete su fb da Franco Matteo: io no, non mi candido, ci provai nel 2006 anche per capire e ho capito che è un massacro di famiglie, più o meno legali 🙂 … dopo 15 anni è sempre peggio, il tir di liste civiche sarà pieno di anime portate al macello 🙁 … amo Salerno e non solo quella calcistica, tutta SALERNO merita la serie A. Lo confermo con questa foto di qualche gg fa; se dovessi decidere io, la prima cosa che imporrei sarebbe un candidato sindaco DONNA … non voglio decidere, non voglio partecipare (se non con il mio voto), non ce la faccio, io sono un immigrato in questa grande e bella città, le uniche “forze residue” riesco a dedicarle alla militanza nel sindacato di base dentro una amministrazione pubblica che vi assicuro è un impegno affatto semplice … qualcosa, ma tanto altro si respira dentro #ilterzolivello …ma ora, basta chiacchiere, al LAVORO!!! La giornata è lunga, è primavera e il sole tramonta tardi 😎🤩

libri per strada

… nel mondo “fisico”, copie del #ilterzolivello sono disponibili alla

Libreria Guida di Salerno

IMAGINE’S BOOK- c.so Garibaldi 142 – a metà strada tra Tribunale e INPS 🙂

Ringrazio lo staff per la gentilezza e la disponibilità dimostrata.

se ne parla :-)

[…] Vero o falso che sia, quel che si dice degli uomini occupa spesso altrettanto posto nella loro vita, e soprattutto nel loro destino, quanto quello che fanno. […]

Victor Hugo

#ilterzolivello

è arrivato a Positano

“Il Terzo livello”, il libro dello scrittore salernitano Pietro Di Gennaro

Il libro è un esperimento creativo di scrittura in cui l’autore affronta il rapporto conflittuale padre-figlio

Si chiama “Il Terzo livello” ed è il libro scritto dal salernitano Pietro Di Gennaro. Nato a Salerno nel 1966, Di Gennaro è funzionario informatico di una amministrazione pubblica, ma anche dirigente sindacale eletto da compagne e compagni di lavoro. Ha collaborato negli anni tra il 1996 e il 1999 con APPLICANDO, rivista specializzata di computer Apple Macintosh della casa editrice JCE.

Il suo libro, “Il Terzo livello”, è un esperimento creativo di scrittura in cui l’autore affronta il rapporto conflittuale padre-figlio, attraverso le confessioni intime di un personaggio egocentrico e stravagante.

Il racconto della sua presenza nella società italiana, chiede al lettore di ricordare i cambiamenti politici e sociale che ognuno ha visto, sentito o vissuto nella realtà. Il protagonista brucia una vita che dura il tempo di una passeggiata sul lungomare di Salerno durante la pandemia 2020.

Ecco il link per acquistare il libro su amazon: clicca qui

Grazie Direttore! —> https://www.positanonotizie.it/

#ilterzolivello sulla Città

che dire? … ringrazio Maria Romana Del Mese che ho avuto l’onore di conoscere per l’intervista che il quotidiano la Città mi ha voluto dedicare, il suo articolo mi ha emozionato molto … ringrazio la Redazione e tutti i lettori che continueranno a darmi una mano in questo piccolo progetto, ogni giorno arrivano segnalazioni di strafalcioni grammaticali e sintattici, del resto il protagonista è uno terra terra e molte cose sono scelte precise della sperimentazione che ho voluto intraprendere … la storiella doveva uscire, Giacinto e il maresciallo Gradone avevano l’urgenza di lasciare il mondo della fantasia per vivere in quello concreto della pagina da leggere … GRAZIE! 🤩

l’amore secondo Marx

«Quando il tuo amore non produce amore reciproco e attraverso la sua manifestazione di vita, di uomo che ama, non fa di te un uomo amato, il tuo amore è impotente, è una sventura.»Karl Marx 🧚‍♀️

#ilTerzoLivello

ChatGPT è un trip… io e lui, o lei, per S. Valentino abbiamo deciso di organizzare un evento sull’inconciliabilità tra capitalismo e amore, ecco i protagonisti con i titoli degli interventi:

1 – Simone de Beauvoir: “La schiavitù dell’amore nella società capitalista”

2 – Friedrich Nietzsche: “L’amore e la sua distorsione nel capitalismo”

3 – Karl Marx: “L’amore nell’era del capitalismo”

4 – Martin Buber: “Percezione e relazioni amorose”

5 – Jacques Derrida: “Linguaggio e relazioni amorose”

6 – Gloria Anzaldúa: “Relazioni amorose e dinamiche di genere, razza e classe”

7 – Søren Kierkegaard: “L’amore e il capitalismo come forze opposte”

8 – Max Weber: “Il capitalismo e la trasformazione dei valori amorosi”

9 – Jean-Paul Sartre: “Le relazioni amorose e la libertà”

10 – Erich Fromm: “L’amore come attitudine sviluppabile”

…. ed ecco i paragrafi di riflessione:

1 – Simone de Beauvoir ha visto la società capitalista come una fonte di oppressione per le donne e le relazioni amorose. Nella sua opera “Il Secondo Sesso”, ha sostenuto che il capitalismo ha creato un’immagine idealizzata dell’amore romantico che viene usata per controllare le donne e impedir loro di raggiungere la libertà.

2 – Friedrich Nietzsche ha criticato il capitalismo per la sua tendenza a distorcere i valori morali e le relazioni umane, comprese quelle amorose. Ha sostenuto che il capitalismo ha ridotto l’amore a un mero scambio di beni materiali, privando la gente della sua profondità e significato.

3 – Karl Marx ha visto il capitalismo come un sistema che distrugge i legami sociali e le relazioni umane, comprese quelle amorose. Ha sostenuto che il capitalismo ha ridotto la vita umana a una mera questione di produzione e scambio di beni, distruggendo il significato e la dignità dell’amore e delle relazioni umane.

4 – Martin Buber ha sostenuto che le relazioni amorose sono influenzate dalla percezione che la gente ha del mondo e degli altri. Nella sua opera “Io e Tu”, Buber ha affermato che il capitalismo promuove una percezione individualista del mondo che ostacola lo sviluppo di relazioni amorose autentiche e significative.

5 – Jacques Derrida ha affermato che il linguaggio gioca un ruolo importante nelle relazioni amorose. Ha sostenuto che il capitalismo promuove un linguaggio ridotto e riduttivo che impedisce la formazione di relazioni amorose autentiche e significative.

6 – Gloria Anzaldúa ha sostenuto che le relazioni amorose sono influenzate dalle dinamiche di genere, razza e classe. Ha affermato che il capitalismo crea barriere per le relazioni amorose tra persone di diverse classi sociali, razze e generi.

7 – Søren Kierkegaard ha sostenuto che l’amore e il capitalismo sono forze opposte e incompatibili. Ha sostenuto che il capitalismo riduce l’amore a una mera transazione economica, privando la gente del suo significato e profondità.

8 – Max Weber: Max Weber ha sostenuto che il capitalismo ha trasformato i valori amorosi, riducendo l’amore a un mero scambio di beni materiali e trasformando le relazioni umane in relazioni puramente economiche. Ha sostenuto che il capitalismo ha creato una società in cui le relazioni sono governate da calcoli egoistici, privando l’amore della sua umanità e spiritualità.

9 – Hannah Arendt: Hannah Arendt ha sostenuto che il capitalismo ha creato una società in cui gli individui sono visti come merci e le relazioni umane sono ridotte a semplici transazioni economiche. Ha sostenuto che il capitalismo ostacola lo sviluppo di relazioni amorose autentiche e significative, distruggendo la natura umana dell’amore.

10 – Jean-Paul Sartre: Jean-Paul Sartre ha sostenuto che il capitalismo crea una società in cui gli individui sono visti come merci e le relazioni umane sono ridotte a semplici transazioni economiche. Ha sostenuto che il capitalismo ostacola lo sviluppo di relazioni amorose autentiche e significative, privando l’amore della sua umanità e spiritualità.

… a questo punto gli ho detto: «Ora per ogni titolo e per ogni informazione che hai elencato consigliami un’opera dell’autore che hai scelto.»

e lui o lei …

«Certo, con piacere! Ecco un elenco di opere consigliate per ogni autore:»

1 – Friedrich Nietzsche: “Al di là del Bene e del Male”, “Così parlò Zarathustra”, “La gaia scienza”.

2 – Martin Heidegger: “Essere e Tempo”, “Lettera sull’umanismo”.

3 – Simone de Beauvoir: “Il Secondo Sesso”, “L’età della discernibilità”.

4 – Michel Foucault: “Sorvegliare e Punire”, “Storia della follia nell’era classica”.

5 – Jacques Lacan: “La Semantica del Sé”, “Le Formazioni dell’Inconscio”.

6 – Theodor Adorno: “Minima Moralia”, “Dialettica dell’Illuminismo”.

7 – Erich Fromm: “L’arte di amare”, “Il cuore dell’uomo”.

8 – Karl Marx: “Il Capitale”, “Manifesto del Partito Comunista”.

9 – Hannah Arendt: “La Vita delle Nazioni”, “Eichmann a Gerusalemme”.

10 – Jean-Paul Sartre: “L’Essere e il Nulla”, “La Nausea”.

Queste opere rappresentano alcuni dei lavori più significativi e influenti di ogni autore e possono offrire una panoramica approfondita della loro filosofia e pensiero. Ti consiglio di approfondire la tua conoscenza di ognuno di loro, anche leggendo altre opere e fonti.

Con Giacinto ne avremo di cose di cui ridere 🤣

crop faceless couple holding hands on balcony
Photo by Anete Lusina on Pexels.com

il trailer

.. e come uno sgorbio può rappresentare un milione in poco spazio, così consentite a noi, zeri di questo conto immenso, di agire sulle forze della vostra fantasia

William Shakespeare 🧐

la musica è di Angelo Madureira, la composizione si chiama: Reggaebáh

per vedere il video basta fare un click sul biondino con il pannolone degli anni 60′ 🙂

su una spiaggia di Torrione a Salerno nel 1967

autopubblicatevi!

… che esperienza!

ho preso un raccontino di oltre 30 anni fa e l’ho pubblicato su Amazon …

grazie Bonaventura!


sarà un tantinello narcisista ma viviamo anche grazie a piccole soddisfazioni personali che dobbiamo solo a noi stessi.

Ecco il mio raccontino del 1988: