IL TEMPO DELL’ODIO

Romanzo di Antonio Lanzetta

L’incipit è un brivido, l’ho già detto per un altro grande romanzo però questa volta non è ipnosi ma emozione viscerale. Alla scrittura di Antonio Lanzetta non ci si abitua anzi, ogni volta si resta folgorati. Sono un lettore modesto, per nulla esigente, eppure ci sono letture che mi passano addosso come ottimo intrattenimento, altre come le opere di Lanzetta che lasciano un segno feroce come ferite che stentano a rimarginare. Questa storia di Michele e di Teschio non mi ha fatto sconti, è adesso l’ennesima e sublime cicatrice che mi porto dentro. Per farmi capire meglio, è come quella cicatrice che mi porto nel cuore da quando, adolescente, lessi SE QUESTO È UN UOMO di Primo Levi. La grandezza della letteratura non si misura un tot al chilo ma, credo, in quante generazioni di lettori lascia il segno, cicatrici che si riproducono grazie alla sua eternità, infinita magia tra le arti umane.

Ecco, cosa significa uccidere con il cuore: è colpire e lasciare un segno indelebile nell’anima del lettore. Non a caso, prima dell’inizio del romanzo, il tributo a King è l’epilogo di tutta la storia di Michele e di Teschio, è la missione compiuta con successo da Lanzetta: riprodurre la potenza immanente del bene che fa giustizia.

Oltre la storia avvincente che scorre fluida e accelera con ripetute scosse crescenti di pura adrenalina, è la bellezza e la crudezza delle scene che rendono reale la fantasia più drammatica, materiale le visioni più inquietanti. Riporto solo due passaggi come esempio, ma tutto il romanzo è così, orribilmente e meravigliosamente bello.

“Seguii gli schizzi di sangue con lo sguardo fino a quel baratro. Le tracce si perdevano nel nulla, nel silenzio della morte e in occhi vuoti puntati verso il cielo. La ragazza giaceva scomposta sulle pietre come una bambola spezzata, il cranio sfondato e i capelli che galleggiavano simili ad alghe in una pozzanghera di sangue accumulatasi dietro la nuca. Rimasi a fissarla mentre il tempo mi scivolava addosso, simile a gocce di sudore. Una parte di me mi diceva di andare via da quel posto, ma quando distolsi lo sguardo mi parve di vedere mio padre fermo sull’altro lato del dirupo.”

“Sollevai il capo e all’improvviso mi resi conto di non essere in casa, ma in un campo. Il vento spirava tra i cespugli, sollevando una strana polvere viola. Spore che mi vorticavano intorno mentre il cielo era animato da deflagrazioni di luce indaco, simili a fratture nella notte. Le stelle si stavano disintegrando, scontrandosi tra di loro e disegnando nel vuoto creature informi e facce urlanti.”

Non la faccio lunga anche perché, se sono un lettore modesto figuriamoci la difficoltà che ho nel tramutare in parole i miei pensieri. L’ultimo commento è come una volta ancora Antonio Lanzetta fa insegnamento della sua passione con le sue opere, istruzione a chi come me sente urgenza affamata di grande letteratura, e adesso devo leggere anche qualcosa di Jim Thompson per lenire “il crepitio di vetri nello stomaco”.

“Ancora oggi, seduto nella poltrona sformata del salotto di casa, cullo mia figlia nel silenzio della notte, con un libro di Jim Thompson sulle ginocchia e una tazza di tè tiepido sul tavolino. Guardo la pioggia graffiare i vetri della finestra e provo a convincermi che le cose che ho visto quella notte nei boschi intorno alla casa della vedova siano accadute realmente. Avevo subito un forte trauma, mi sono ripetuto. In fondo, ero solo un ragazzo a cui avevano impiccato la madre. Un ragazzo che voleva riabbracciare il padre.”

IL TAGLIO FREDDO DELLA LUNA

Romanzo di Piera Carlomagno, 2022 Solferino Libri

L’incipit è un brivido. Uomo o donna? Mi sono chiesto. Il prologo è una lettera, un vortice di sentimenti che trascina senza scampo verso una spumeggiante cascata di domande. Giù verso le rapide turbolente di un fiume agitato da scene avvolgenti: avvinghiata la mente, questa scrittura ipnotica mi ha sbalzato fuori dai gorghi frenetici della vita quotidiana, per avvincermi dentro un flusso impetuoso di fatti e personaggi che alla fine mostrano come all’origine di ogni decadenza umana ci sia il male e la menzogna. Ciò che più mi ha colpito è come, con sferzante eleganza, le vicende narrate dei singoli personaggi, diventino un insieme rappresentativo di un’intera società. Se per i fanciulli la purezza briosa della gioventù muore con la fine dell’innocenza, la purezza dell’impeto costitutivo della repubblica, muore con la fine dell’onestà. Segreti, ricatti e compromessi intrecciano singole esistenze e la pluralità di un’intera organizzazione sociale: la decadenza è un processo che divora da dentro, e il conto si paga solo alla fine con la morte che svela colpe e tormenti nascosti per una vita intera.

“Piangi. Io sono il tuo castigo.”

Dopo aver scoperto con UNA FAVOLOSA ESTATE DI MORTE e NERO LUCANO, un intricato e appassionante personaggio come Viola, l’affascinante anatomopatologa di Piera Carlomagno, l’attesa di un’altra sua avvincente storia mi era così insopportabile da rivoltare sotto sopra tutte le priorità di quella giornata. Ricordo come fosse ieri: trenta settembre 2022, nel primo giorno dell’uscita nelle librerie italiane, la prima presentazione alla Feltrinelli di Salerno, e il fondamentale Angelo Cennamo dire: «Il taglio freddo della luna è il romanzo borghese del XXI secolo.»

Secondo una mia sensazione strettamente personale, questa avvincente cronaca romanzata dei giorni che vanno da giovedì 26 agosto con la luna calante visibile all’87%, a martedì 7 settembre del 2021 con luna nuova che inizia a crescere, è la dimostrazione di come una produzione letteraria di fantasia possa diventare un potente strumento di denuncia e critica storica di un’intera società, quella italiana, o meglio di una sua “classe”, la borghesia, che meriterebbe la condanna della memoria.

«… noi siamo rifiuti tossici da seppellire per sempre, siamo buoni per la Fossa Irreversibile, siamo la terra del non ritorno. Noi… meritiamo la damnatio memoriae»

Sicuramente esagero, come è esagerata ogni generalizzazione di categorie che più le analizzi e più si frantumano in eccezioni. Ma d’altronde alla fine della lettura e rilettura di questo romanzo, il libro tra le mani scotta come una bomba inesplosa e per troppi anni sotterrata. Questa la mia sensazione dopo la lettura dei due articoli che seguono e che mostrano come la Fossa Irreversibile sia vera e non fantasia; è spaventosamente reale a Rotondella di Matera, in terra lucana, in Italia.

Nel 2019 avviene una sorta di riesumazione di un cadavere vivente, pericoloso sì ma che il genio umano intende riciclare. Poi uno si meraviglia che la realtà possa superare ogni assurda fantasia. Urca che tema di estrema attualità, il nucleare, in queste ore che gli idioti sapiens fanno la guerra lungo il fiume Dnepr, intorno ai sei reattori atomici della centrale di Zaporižžja.

Nucleare, così a Matera viene alla luce il mistero del Monolito di scorie Usa – SOLE24ORE – 21 dicembre 2019 – di Jacopo Giliberto

Via le scorie nucleari dal terreno: in Basilicata rimosso il monolite della “fossa irreversibile”IL MESSAGGERO –  18 Dicembre 2019 – di Giampiero Valenza

“Negli anni Sessanta i rifiuti nucleari si cementavano e si mettevano sotto terra, in quelle che all’epoca venivano chiamate “fosse irreversibili”, proprio perché sarebbero rimaste lì per sempre.”

Quei rifiuti erano americani e noi abbiamo fatto di pezzi incontaminati della nostra meravigliosa terra una loro pattumiera…

«… noi siamo rifiuti tossici da seppellire per sempre, siamo buoni per la Fossa Irreversibile, siamo la terra del non ritorno. Noi… meritiamo la damnatio memoriae»

Cos’altro potrebbero meritare quelle generazioni che hanno permesso al nostro paese di diventare una discarica geopolitica? Più di una metafora, una condanna eterna. Ecco la potenza dell’intelletto cui la Carlomagno ci ha abituato, il viaggio su binari inseparabili, la bellezza della terra e il suo saccheggio, ma questa volta, il salto è trascendente, dal sudiciume materiale del petrolio e dei poteri massonici essenzialmente locali, passa a trattare il mostro invisibile, la contaminazione nucleare e poteri di dominio geopolitici.

«Quelle urla non le dimenticherò mai, anche se le ho ricacciate in fondo a ogni pensiero e sentimento, giù, nel punto più profondo di quell’abisso che è la mia anima.»

Uso alcuni dialoghi a ritroso partendo dalla fine del giallo per dare consistenza a questi miei commenti da lettore ipnotizzato. Sono commenti che cercano di provare quanto profondo e affascinante in questo romanzo sia l’intreccio sociale della storia di un paese con quella dei loro protagonisti, anima e identità, passato e presente, singolare e plurale.

«… Fu in quell’attimo che acquistò l’antitodo contro il veleno dei veleni: la disuguaglianza. Fu in quell’attimo che pensò di riscattarsi anche per il futuro, lui, la sua famiglia e la mamma infelice… »

La storia di uno diventa la storia di una classe smarrita che diventa soggetto sconfitto, singolare e plurale, elevato e decadente, per sé e di sé, prigioniero dell’evoluzione dei veleni materiali, sedotto e corrotto nel labirinto senza uscite di teorie e pratiche di speranza che quelli bravi hanno chiamato la fine della storia. Ma come la fossa dei rifiuti nucleari, la Storia dimostra che di irreversibile c’è solo la morte, e forse nemmeno più quella, almeno per chi sopravvive. In fondo il progresso, la modernità, le colpe che non possono ricadere sui figli, dimostrano che di giorno in giorno, diventa possibile quello che ieri era impossibile. Ecco la dualità umana in eterna contraddizione: bellezza e mostruosità.

«Siamo capaci di convivere con qualsiasi colpa» disse Viola. «Del resto siamo tutti mostri capaci di convivere con l’idea della nostra stessa morte… »

Dall’ultima alla prima pagina è Viola la guida, come il Virgilio di Dante ci accompagna oltre le righe dei fatti, oltre l’inferno e il purgatorio delle anime dei personaggi che lei riesce a sventrare da vivi, risuscitando anche quelle dei morti. Viola Guarino è la luce che scopre le ombre tra le piaghe dolorose delle verità nascoste e di quelle che sfuggono anche se in bella vista nel presente. La magia della letteratura gialla è anche questa, l’abilità della scrittrice di porre in bella mostra quelle evidenze che sono indizi che con lo scorrere delle pagine diventano certezze. Ma con la scrittura della Carlomagno si va oltre, si vola veloci come pipistrelli nelle grotte oscure dell’eterna lotta di classe. All’improvviso un sorriso e un pensiero: accecante e assoluta ineluttabilità della linfa vitale della grande letteratura, degli ultimi che resteranno per sempre ultimi, e che, nonostante i compromessi sociali della convivenza, restano fieri di esserlo, ultimi continuando a lottare per una comune identità di classe e di estraneità, forse nemmeno ultimi, diversi, esclusi ma colti.

Sorrise pensando a quelli che portavano stampata su magliette o borse di pezza appese dietro la schiena, la protesta a quel ciclone passato sulle loro teste senza coinvolgerli: «Pure io sono un povero cristo». E il cordone ombelicale con Levi non si taglia, non si tagli.

Poi ci sono i sentimenti e i desideri di Viola, i sogni erotici e gli incubi della maledizione arcaica dei tormenti che si fanno umanità inquieta, ci sono le voglie di scorticarsi addosso l’essenza emozionale del corpo e del pensiero, sentimenti e desideri che non trovano pace, che si intrecciano senza legarsi mai, e anzi ne fanno una danzatrice alla ricerca di quell’equilibrio impossibile di chi è sempre in fuga.

«La luna non muore mai» osservò Loris. «Si rigenera.»

«Certo, come tutti dopo le delusioni.»

Non c’è niente di semplice e scontato in questo grande romanzo, proprio come è la complessità della vita che nelle sfumature e negli attimi si fa preziosa, proprio come un diamante, inutile e spento senza una luce che lo attraversi. Così ci sono un paio di pagine in cui Viola e Loris si parlano, si sfiorano e si allontanano, un paio di pagine che da sole riscaldano il cuore e lo stordiscono, mettendo a nudo le differenze della donna dall’uomo, della femmina dal maschio, differenze della ragione dal sentimento.

«… Non ci si abitua a tutto, se si presenta l’occasione si saldano conti vecchi che si credevano dimenticati. E invece no, non si dimentica niente, tutto resta ferocemente piantato nelle nostre coscienze.»

Le scene e i dialoghi sono talmente vividi che saltano dalla pagina e arrivano, a volte come pugni in faccia improvvisi, a volte come carezze di una ragnatela di parole in cui i personaggi restano impigliati in attesa di essere svelati.

Ma non ricordare non è possibile, finché si è in vita, rimuginava Bepi e forse questa è la chiave di tutto. Sono i ricordi che rendono le persone pericolose e consapevoli che ciò che è stato potrà essere ancora; chiunque sia vivo continua a rimestare nei simulacri che occulta, che lo voglia o no, ed è tutta qua la complessità e la contraddizione dell’umano.

Eccola la scrittura ipnotica che salta tra passato e presente, con storie intrecciate come i rami di un bosco fitto e misterioso che mi ha ricordato il groviglio dell’adolescenza, le paure e le follie, ignoto e oscenità, vertigini e cadute, le colpe, l’ebrezza della potenza e lo sconforto della sconfitta, i rimpianti e gli occultamenti della vergogna. Ci sono conti che non si chiuderanno mai e tra questi, la conoscenza di questo personaggio grandioso che è la Viola di Piera, dopo tre romanzi è solo all’inizio. È una conoscenza parziale e ancora sfuggente, fatta di numerose curiosità irrisolte mentre nell’attesa di una prossima inchiesta, immagino lei correre come un fulmine bianco che non tocca mai terra.

… entrava nella morgue con l’aiuto di un rapporto ancestrale con la morte e si avvicinava ai corpi con la speranza di incontrarne l’anima.

Ducati 950 multistrada
la socia di Viola è bianca: Ducati multistrada 950

premio nero lucano

e… dopo tanti giorni, resto ancora stordito

Intrigo a Ischia

di Piera Carlomagno, 2017 Centauria Milano

Una delizia. Lo devo scrivere: questo intrigo è un romanzo delizioso. Provo a spiegartene il perché? Beh sì mio caro Diario, altrimenti che autocoscienza saresti?

copertina

Le vicende umane che si intrecciano nella trama sono come cupole soffici di pan di spagna, hai presente la consistenza di un dolce strutturato? Una delizia lo è. Poi, dentro lo spazio esistenziale dei personaggi ci sono cuori farciti come in un mix di crema pasticcera, e di agrumi diversi tra loro, con punte di dolce e di aspro come la granulosità dei sentimenti e il sapore delle passioni più intense. Una delizia quindi, ma non è finita perché l’insieme è bagnato da un calore alcolico e profumato come quello di un limoncello, un liquore mai uguale che scalda le personalità rappresentative della commedia dell’arte napoletana. La scrittrice rincorre le maschere eterne della vita e le supera con l’efficacia di un racconto perennemente in equilibrio tra la classicità del passato e la modernità del presente.

Allora, per rendere credibile questo commento ricomincio dal principio, perché l’inizio dell’intrigo è una delicata glassa profumata che l’avvolge, che sa di Napoli e delle sue isole immortali, Ischia tra queste. I luoghi, le tradizioni, la cronaca e le discendenze umane, si attorcigliano prima e si sciolgono dopo, come quando il palato incontra la pasta raffaioli non un semplice pan di spagna. Quindi per chiudere il discorso, se il dolce chiamato delizia è una poesia per le papille gustative, così la lettura di questa storia napoletana mi ha portato in estasi la mente, cullata dalle pagine ordinate in un romanzo delizioso, appunto.

“La vita prosegue tra inquietudine e illusione, facendo perdere sempre di più la distanza dalla realtà, finché se ne è posseduti.”

Dal “prezioso kefir messo a fermentare” alle viscere di Napoli, INTRIGO A ISCHIA è un giallo delizioso, intrigato, intrigante… oh che darei per vedere recitate sullo schermo le battute di donna Flora e quelle della Polizia che indaga sui fantasmi incalzati da una brillante, mai doma giornalista, Annaluce, e poi Patrizia, Bianca… donne, donne, tante donne… Non credo sia banale, penso sia stato detto mille e mille volte e quindi lo scrivo: l’intrigo è donna e più se ne legge e più se ne desidera…

La dolce astrazione che ho raggiunto con questo romanzo, a parte l’innalzamento della glicemia di cui dovrò discutere con la mia dietologa, è andata dove solo la bella letteratura può andare: con la giusta dose di misteri e di colpi di scena infarciti di momenti divertenti, sensuali e anche di spettacolare normalità, il giallo non si risolve facilmente anzi, la complessità e la tensione degli eventi ne fanno una delizia tutta da scoprire.

Non parlava, non piangeva, non ricordava niente. Aveva riposto la sua vita passata come in un cassetto di biancheria mai usata, rigida e ingiallita. Monosillabi, movimenti della testa, lo sguardo a terra e solo ogni tanto un segno di ribellione: «Basta, iatevenne mo’»

copertina

#nerolucano di Piera Carlomagno

Ho rinviato in continuazione il finale, leggevo e rileggevo scene e stati d’animo che segnano d’emozione una giornata qualsiasi.

#nerolucano di Piera Carlomagno non è un semplice giallo noir avvincente, è un capolavoro di romanzo che mi ha scorticato dentro.

“Intraprese il cammino tra stradine e scalinate, strette e ombrose come le crepe dell’animo, per arrivare a via Madonna delle Virtù.” […]

«Che noia» scherzò lui. «Sei su un prato ben pettinato. Immagina invece la foresta.»

Non ho parole adeguate al momento per descrivere quanto mi sia piaciuto, tanto? tantissimo? sono parole riduttive. Adesso devo sapere come è nata Viola, non mi resta che scoprirlo dentro “Una favolosa estate di morte”.

premio nero lucano

“Le notti della macumba”

Questa prima opera di Piera Carlomagno è il mio nuovo inizio da lettore ma ogni nuovo inizio è ovviamente una contraddizione di termini se non un reset di sistema. Lo so, in questo nostro mondo moderno (?), dove l’unica forma di difesa è l’etichetta, salvo poi scoprire che non esiste chi certifica il certificatore (sul cibo dovrebbe essere dichiarato delitto all’umanità), la prima etichetta che mi stamperanno in fronte sarà: “sei strumentale”.

Il marketing, la PNL, il commercio, l’economia sono aree scientifiche sempre più subdole e invasive della sfera privata di ogni essere vagante a sangue caldo; la pubblicità è l’anima dell’apprendista diavolo, il diavolo vero non si affida alle “macumbe”, ti ruba l’anima e basta.

La penultima copia disponibile sulla piattaforma della multinazionale, libro ora nelle mie mani, è una stampa del 2012 fatta per conto delle Edizioni Cento Autori dalla Tipografia Stampa Editoriale Srl di Avellino, è un giallo, credo il primo di Piera, è un giallo intrigante e scritto benissimo sebbene “sembra” essere un’opera prima (non ci credo…), strutturalmente coerente, è una storia che mi ha catturato, mi ha trascinato fino alla risoluzione finale che collega tutto il racconto alla scomparsa di una bella, giovane, intelligente prostituta; è una storia liberamente ispirata da un delitto vero, a Salerno, a pochi passi da dove sono cresciuto, dove vivo ancora, ma che non ricordavo o che la mia memoria aveva rimosso.

La verità è che pur vivendo negli stessi luoghi, vivevo altrove ma questa è un’altra storia che in questo contesto non c’entra una mazza. L’incipit è per me strepitoso:

“Mi restano sei mesi di vita. Il dottore me lo ha detto facendo sciogliere un’aspirina in un bicchiere d’acqua: «Tra breve questa non servirà più a niente» mi ha sussurrato sorridendo «Ci vorrà ben altro per i suoi mal di testa» Sembrerà strano, ma il mio primo pensiero non è stato di disperazione. “Ho tempo a sufficienza” mi sono detto.

Salerno, martedì 18 aprile 1995, ore 10:00

«Avvoca‘, è sentenza passata in giudicato. Lo sapete gli atti sono alla torre di via Campo.”

L’avvocato Federico Rizzi, il commissario Baricco e la giornalista Annaluce, i colpevoli e gli innocenti, sono protagonisti veri, vivi, lontani dalla mia conoscenza ma dentro la mia coscienza tanto da soccombere alla necessità di doverli seguire a forza, tanto da aspettare, pagina dopo pagina, le loro conclusioni, le delusioni e ovviamente le sorprese che rendono accattivate il racconto di una storia affascinante sì, ma addirittura “normalmente noir” come mille altre.

L’unicità è nella ragione dei successi di critica e di vendita che Piera ha, la sua scrittura. Ripercorrere il mio “altrove” attraverso l’analisi delle opere pubblicate durante una carriera di uno scrittore è un impegno fuori dalla mia portata materiale, di tempo e di spazio, però è una promessa fatta al desiderio che non sapevo potesse esistere: scorticare parola per parola, frase per frase, pagina per pagina, il racconto di una storia, l’opera narrativa delle azioni e dei pensieri umani, la vita e la morte:

“Le campane suonavano a morto. Il cielo di Napoli era grigio, pesava un’aria di scirocco.Il commissario tirò fuori un fazzoletto e si asciugò il sudore.Diede un’occhiata oltre il vetro del minuscolo bar che avevano scelto per parlare. L’ingresso della chiesa di Santa Maria delle Grazie era perfettamente in vista. In Vico Rotto a carbonella, qualcuno passando si faceva il segno della croce. Curiosi bisbigliavano aspettando l’uscita del feretro.”

Non sono niente e sono tutto, un lettore, classificabile dall’ISTAT, identificabile da sofisticate ricerche di mercato, “strumentalizzabile” dal proprio ego e dall’infinito fuoco sparato dal supremo esercito, quello alle dipendenze del lucro economico, dei controllori sociali del consenso e delle vendite; sono un semplice lettore, un numero primo, solo un numero, un universo tra gli universi, vittima e carnefice, benzina nel motore dei social e del mercato, un invisibile, un codice fiscale, una tessera sanitaria, un consumatore… ho consumato questo libro, non sapevo esistesse, mi sono nutrito e sono soddisfatto, ne voglio ancora: può esistere un giudizio migliore? Gratuito? è vero: in un mondo dove tutto è ormai merce, la verità è giusta? è una bestemmia? o addirittura un’offesa? Dov’è la verità?

Le notti, un sax e le macumbe … la magia è uno stato dell’anima, segreti e misteri gli ingredienti speziati, un buon giallo mi trascina nel groviglio dei riti e delle soluzioni finali, capisco ora il successo dei romanzi noir.

Il meritato successo di oggi ha radici profonde: complimenti Piera, la vera letteratura è per sempre.

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