Le città invisibili

Italo Calvino

C’è un prima e un dopo Calvino. Leggere questo testo è come nascere in un altro mondo. Forse quello vero e non la bolla in cui mi sento come un pesciolino rosso che si esprime muto in un fantasmagorico acquario esistenziale. Parlare senza suono come scrivere senza significati interessanti, credo sia in fondo l’ossessione di morte dell’individuo social di oggi. Ecco l’effetto su di me di questo mio primo Calvino, la vergogna, l’oscenità di parole gratuite prive d’emozione.

C’è un prima e un dopo come quando nuove lenti da vista rimettono a fuoco le parole sulla carta, come quando nel centro del fuoco di legna che arde, vedo la materia trasformarsi in luce, calore e cenere inutile.

Il prima è l’intera storia umana che si trasforma in nuovi significati, il dopo diventa la mia città che nemmeno sognavo di vivere. L’incubo che diventa sogno e la paura, desiderio. Calvino mi ha trasformato, forse plasmato, mi ha reso viaggiatore nel tempo e insieme dall’altro lato della scacchiera, sovrano dominatore del tempo che smette d’andare, a consumare partite di tensione duale tra abitante e abitato, tra spettatore e attore, viaggiatore che arriva e che parte, in perenne fuga dall’ovvio, dall’insostenibile pesantezza della noia.

Una dopo l’altra, Calvino svela tutte le città non del mondo ma dell’intero universo, umano mai divino, materiale mai etereo, reale come meta di un miraggio e polvere magica come lavorazione di pietre preziose:

La mia preferita è Anastasia e la tua?

Adesso capisco bene perché “Le città invisibili” di Italo Calvino sia considerato un capolavoro letterario e una delle opere più significative del Novecento.

Leggendo sono stato oggetto di uno spettacolare gioco onirico ad occhi aperti, parte in causa in temi complessi legati alla natura delle città, alla percezione e all’immaginazione.

Calvino crea un mondo letterario in cui l’immaginazione si fonde con la realtà, portando il lettore ad affogare nella complessità e nell’effimero delle città, così come nella vastità dell’esperienza umana. Affogare per poi meravigliarsi di respirare ancora per ogni piccola luce d’umanità che nessuno può spegnere.

Attraverso le descrizioni di città fantastiche, ognuna con le proprie peculiarità e simbolismi, Calvino esplora concetti filosofici, sociologici e umani, eccitando la mente con viaggi tra mondi immaginari per scoprire nuove prospettive sulla vita e sul significato delle città.

La prosa di Calvino è poetica (lo dice anche Pasolini), e il racconto in cui intreccia le diverse storie delle città invisibili è per me ubriacante. Questo libro può essere letto in molti modi: come una meditazione sulla natura mutevole delle città, come un’esplorazione della condizione umana o semplicemente come un’avventura letteraria straordinaria.

“Le città invisibili” è un viaggio intellettuale senza confini, un percorso sensuale denso di realtà e desideri che sfuggono al ragionamento tanto da diventare emozione diretta della propria residenza, forse casa, quartiere o metropoli ma allo stesso tempo, è l’odepòrico dello straniero in cerca di conoscenza, in un eterno viaggiare a cercare risposte dall’invisibilità dei pensieri.

Purtroppo il progresso tecnologico porta anche tanta distruzione e oggi nel 2023 ci sono città orribili come Arlit e chissà se Italo aggiungerebbe queste alle sue invisibili.

“Arlit è la mia città, è lì che estraiamo la ricchezza del paese. Si chiama ‘Piccola Parigi’. Vorrei davvero che fosse così! Si ha l’impressione che sia circondata da montagne, come quelle vicino alle quali i Tuareg si stabiliscono per proteggersi dal vento del deserto. Ma queste montagne sono state create da zero. Infatti, sono formate dall’accumulo delle scorie radioattive derivanti dall’estrazione dell’uranio”…


Prima e dopo Calvino? Adesso ho finito e ho voglia di ricominciare, ma il viaggio deve continuare.

Questo scrivevo a metà lettura il primo luglio 2023…

C’è meraviglia e meraviglia, scappare dalla città, correre in città, un’altra e un’altra ancora, ingabbiati e soffocati, liberi e al sicuro, coccolati… perché deve essere così? Così sarà sempre, vertigini e affanno, la scoperta, la conoscenza. Manca l’aria mai respirata, manca l’acqua mai assaporata.

Ad occhi aperti leggendo mi vibra dentro Anastasia, come un’orchestra di musica e cori possenti, come nel vicolo del silenzio, centro storico che dorme, un calcio alla lattina abbandonata, accartocciata, fa vibrare le mura antiche che cadono in frantumi, nel silenzio del mio centro storico, parole e polvere, e rovine mai viste.

Sono nemmeno a metà… braccato in questo buco di culo di un corpo meraviglioso che con le ali tocca a nord, Positano e a sud Sapri, provinciale, magari non fessura ma cuore, motore d’emozione.

Un commento su “Le città invisibili”

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