coronavirus

Infinite Jest ∞ 37-100

Prozac, Zoloft, Parnate, Litio, Valium, Xanax, Tavor, Lexotan, Valium, Ansiolin, Control, Rivotril, Lorans, Diazepam, Alprazolam, Lorazepam e poi TENNIS tanto tennis… addirittura definito un ibrido tra scacchi e boxe.

Basterebbe chiedersi “com’è esattamente la storia dei bicchieri capovolti e appannati sul pavimento del bagno” per cadere in una tela intricata di sequenze al limite della realtà più luminosa dei led che vi sputano dallo schermo queste parole di commento.

Sarà il destino o l’allineamento dei pianeti lontani ma comunicare dalla bolla esistenziale di queste ore, ingolfata di paura di guerre e odio, dai virus in continua varianza ai soldatini armati sulla neve nell’Est Europa come ai tempi di Napoleone o Hitler, comunicare dicevo, è un trip che la scrittura di DFW rende un desiderio incontrollabile.

Alla fine potrò dire di averlo letto più e più volte. È la mia lentezza genetica ad impormi un ritmo da lumaca che per lo più mi fa tornare indietro e rileggere. Gli intrecci dei racconti sono peggio di un labirinto ma a tenerli insieme è la tensione dei personaggi, la loro azione e reazione è qualcosa di veramente speciale. I salti temporali sono continui, le infanzie, le adolescenze, infine la cosiddetta maturità dei protagonisti, sono uno spazio continuo, unito nella folle consistenza di una razionalità stupefacente. Questo testo mi colpisce e mi stordisce ad ogni pagina, capitolo dopo capitolo. Avrei voluto lasciare tracce di commento in modo più frequente, ma i racconti di David sono magnetici, le note poi… infinite. Chiusa pagina 100 siamo oltre 30 note, da perderci la testa. La più importante, a questo punto, è la nota 25:

David

JAMES O. INCANDENZA: UNA FILMOGRAFIA.

Sono i film diretti dal papà di Hal in dodici anni di attività, sono sperimentazioni ottiche e sensoriali all’ennesimo livello, tra questi titoli, descritti con minuzia esasperante, ricorre cinque volte INFINITE JEST; nella fase di postproduzione dell’ultimo, il numero V, il regista muore e questa ultima pellicola (riduttivo chiamarla così) sembra scomparsa, distrutto il master, incompleto e non distribuito per gli archivisti anche se qualche studioso l’ha visto. Sembra essere il miglior lavoro depositato nelle volontà testamentarie dell’autore. Che fine avrà fatto?

Una nota di dieci pagine fittissime, un elenco infinito di opere visive per dare alla figura paterna di Hal una pesantezza e grandiosità oltre l’umano: come si deve sentire il figlio di un personaggio mostruosamente grande, una sorte di entità mitologica metà Fellini e metà Oppenheimer, un mostro esageratamente asfissiante e fagocero, e la sua essenza e la sua assenza? Cosa può chiedere alla vita il figlio geniale del Lui in Persona?

Un’altra nota degna di menzione è la descrizione della struttura della scuola ETA (Enfield Tennis Academy) fondata dal papà di Hal a forma di cardioide.

La trama sembra svelarsi, entro le prime 100 pagine vengono delineati i fratelli di Hal, la madre accademica ma anche agente segreto (???), il padre geniale regista, studioso di ottica che fonda la scuola di tennis, una struttura mostruosamente funzionale e futurista dove cresce il piccolo Hal abbandonato in giovane età da un “Lui in persona” morto troppo presto. E poi gli amici del quartiere e i danni subiti nelle violenze familiari come corollario di teoremi emozionali, precisi, dirompenti nel lettore che immerso nel profondo, viene trascinato da una tempesta furiosa, che ti fa annegare e tornare a galla, da un periodo all’altro.

Nelle prime 100 pagine si delineano i temi, il tennis, i medici, le dipendenze, i giovani e le loro devianze. A me sembra una sorta di rappresentazione di sopravvissuti, alla selezione sociale, alla competizione, alla formazione da parte di insegnanti che hanno fallito la loro scalata personale al successo e che, riciclati, sopravvissuti anche loro, diventano istruttori. È la metafora di un’America nascosta sotto l’apparenza, sotto la pelliccia di potente benessere, e della sua classe dirigente alle prese con gli scontri geopolitici di dominio delle risorse naturali, delle terribili sostanze chimiche di controllo, con la tecnologia e la persuasione collettiva dei bisogni emozionali e fisici. Il trasferimento di eredità tra generazioni diventa la riproduzione di modelli arcaici di controllo sociale, tra questi l’intrattenimento assurge ad opera d’arte.

Un altro modo in cui i padri influiscono sui figli è che i figli, una volta che le loro voci sono cambiate con la pubertà, invariabilmente rispondono al telefono con le stesse locuzioni e intonazioni dei loro padri. La cosa resta vera indipendentemente dal fatto che i padri siano ancora vivi o meno.

«Voglio dirti», disse la voce nel telefono, «che la mia testa è piena di cose da dire».

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Mario è il fratello che non gioca, ha limiti fisici e mentali. Segue Hal nelle sue partite, dorme con lui, insieme parlano e si contaminano dei ricordi infantili, i genitori, il papà che non c’è più e la madre che ha smesso di viaggiare rinchiudendosi nella loro casa/scuola, una sorta di riformatorio di lusso, fondato quasi espressamente per strutturare con scientifica precisione e severità, la formazione degli eredi dell’Impero visionario di J. O. Incandenza, il Lui in Persona.

E poi, incomincio a conoscere un assistente medico di un potente principe saudita (delle nazioni petrol-arabe) che resta affascinato, ipnotizzato da una senso-cartuccia misteriosa che gli è stata recapitata anonima con un semplice augurio di “buon anniversario” mentre la moglie è assente, impegnata come tutti i mercoledì, a giocare a tennis con le mogli dei diplomatici del Medioriente. La donna lo troverà così, allucinato, steso dentro il suo letto ipertecnologico del riposo, dopo aver visto e rivisto per ore questo misterioso senso-film anonimo.

Le cartucce d’intrattenimento sono film con coilvolgimento sensoriale, DFW ha precorso i tempi, ci siamo quasi, oggi la tecnologia c’è ma non siamo ancora alla diffusione di massa di prodotti di questo tipo, ci sono i visori, le tute sensoriali, le poltrone che vibrano, e il Meta-verso annunciato dal creatore di Facebook. La realtà virtuale da vivere come intrattenimento sarà il nuovo oppio del popolo? La sfida è sostituire gli effetti della chimica ingeriti con le visioni e i sensi stimolati con la tecnologia dei chip e software di programmatori visionari?

Nell’ANNO DELLA SAPONETTA DOVE, un racconto straziante, metropolitano senza ancoraggi culturali se non l’esperienza diretta dei ragazzi, conosco i primi amici di Hal (ma è proprio lui?), Wardine, Reginald…

Wardine c’ha la schiena tutta botte e tagli. Segni lunghi di tagli che vanno su e giú per la schiena c’ha Wardine, righe rosa, e intorno alle righe la pelle tipo la pelle sulle labbra. Solo a vederle mi fa male la pancia.

Wardine piange. Reginald dice che Wardine dice che la sua mamma la tratta male. Dice che sua mamma gliel’ha date con la gruccia. Dice che il tipo della mamma di Wardine, Roy Tony, vuole andare a letto con Wardine. Le dà le caramelle e le dà delle pacche sul culo. Lui le sta sempre davanti e ogni volta non la fa passare senza che la tocca. Reginald dice che Wardine dice che la notte Roy Tony quando la mamma di Wardine è a lavorare va ai materassi dove ci dormono Wardine e William e Shantell e Roy il piccolo, e sta là al buio, fatto, e le dice le cose piano e ansima. La mamma di Wardine dice che è Wardine che lo tenta a Roy Tony nel Peccato. Wardine dice che lei dice che Wardine cerca di portare Roy Tony con lei dritto nel Male e nel Peccato. A botte sulla schiena la prende, con le grucce che leva dallo stanzino. Mia mamma dice che la mamma di Wardine non ci sta con la testa. Mia mamma ha paura di Roy Tony.

Roy Tony è un criminale, è ai domiciliari con una cavigliera elettronica di vigilanza.

Poi Mildred…

Mildred Bonk. Era il tipo di ragazza imprendibile, fatalmente bella, che fluttua per i corridoi di liceo nei sogni degli eiaculatori notturni.

Poi Tommy Doocey, famigerato spacciatore di erba…

La storia di una mattinata di Orin, l’altro fratello maggiore di Hal, è da brividi, realtà e incubi sono intrecciati con fobie e lo studio della schizofrenia paranoide riassunta in un documentario del passato. Letto per la terza volta diventa un dovere ossessivo, un rito, una religione da servire. Sarà stato questo l’effetto della Bibbia negli esseri umani del basso medio evo? Gli umani che bruciavano le streghe? È questo modo di subire un testo che da origine ai riti di lettura come preghiera e penitenza, come sottomissione all’incomprensibile?

Per Orin Incandenza, n. 71, il mattino è la notte dell’anima. Psichicamente, il momento peggiore della giornata.

Poi dopo Orin, l’altro fratello giocatore, ancora un racconto di Hal. Chi non ha spinto con le mani il fumo delle prime sigarette proibite fuori dalla finestra? Per non farsi beccare dai genitori, da un superiore, un insegnante, da una ragazza amata che odia la puzza e il fatto di alterarsi con sostanze strane? Perché l’amore se è drogato non è amore? Mettere a tacere le domande o sfruttare le inquiete paure di non sentirsi all’altezza, di sentirsi perdenti? Come lo racconta DFW di Hal che si nasconde nei tunnel sotto la scuola, è molto ma molto epico. Hal, diciassette anni, si fa e lo fanno tutti.

E allora DFW, quasi mi avesse ascoltato, mi fa vedere cosa pensa e come si comporta la madre… e così scopro che il mostro per il genitore è l’alcol, quasi una minaccia ereditaria da prevenire.

La Sig.ra Avril Incandenza non va pazza all’idea che Hal beva, soprattutto per via di quanto beveva suo padre da vivo in Az e in Ca e, a quanto si dice, il padre di suo padre prima di lui; ma la precocità accademica di Hal e in particolare i suoi recenti successi nei tornei del circuito juniores indicano chiaramente che lui è in grado di gestire le piccole dosi che lei è certa consumi – la psicoconsulente dell’Eta, la Dott.ssa Rusk, le assicura che è impossibile prendere seriamente una sostanza e mantenere un livello altissimo di prestazioni accademiche e atletiche, specie la parte atletica – e Avril ritiene importante che un genitore solo sia attento ma non asfissiante e sappia quando è il caso di lasciare un po’ andare e permettere ai due figli iperfunzionanti dei suoi tre di commettere i loro eventuali errori e imparare dalle proprie valide esperienze, senza pensare alla segreta paura degli errori che rivolta le budella alla loro madre.

mother carrying her baby while looking at the nature scenery
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Dentro c’è l’analisi di tutta la società americana imposta come un fardello sulle muscolose spalle dei ragazzi iperfunzionanti, una comunità di solitudini, alterata, drogata dall’infanzia, in ricreazione perenne. L’abbondanza, la ricchezza, e la competizione sfrenata, senza appello.

Le droghe ricreative sono piú o meno una tradizione di tutte le scuole secondarie degli Stati Uniti, forse per le tensioni senza precedenti che vi s’incontrano: postlatenza e pubertà e angoscia e imminente età adulta eccetera. Per aiutare a gestire le tempeste interpsichiche eccetera.

Poi una stanza, un altro racconto, e gli intrecci aumentano, come i salti temporali. Una stanza qualsiasi del grande dormitorio, una delle tante giovani promesse… e ancora incubi vivi come la fiamma di un fuoco indomabile, la paura, quella di un dodicenne nella prima notte passata all’ETA.

Stanza 204, Subdormitorio B: Jim Troeltsch, diciassette anni, nato a Narberth Pa, n. 8 nell’attuale classifica Under 18 maschile all’Enfield Tennis Academy, e dunque secondo singolarista della squadra B, si è ammalato.

Poi la storia del Lui in persona, il Dott. in Scienze educazionali James Orin Incandenza e il racconto della sua formazione, figlio di un ex tennista, anche lui, scienziato, diventato ricco con innumerevoli brevetti nel campo dell’ottica, regista visionario e fondatore dell’ETA, un romanzo dentro il romanzo, finito con il suicidio all’età di soli cinquantaquattro anni.

Eccone solo uno spizzico…

Il matrimonio durato da maggio a dicembre26 dell’alto, sgraziato, isolato e semialcolizzato Dott. Incandenza con una delle poche vere bombe di sesso del mondo accademico nordamericano, l’estremamente alta e nervosa ma anche estremamente carina e aggraziata e astemia e raffinata Dott.ssa Avril Mondragon, l’unica figura femminile accademica ad aver avuto la Cattedra MacDonald in Uso Prescrittivo al Royal Victoria College della McGill University, che Incandenza aveva incontrato in una università di Toronto durante una conferenza in cui i Sistemi Riflettenti venivano messi a confronto con i Sistemi Riflessivi, questo matrimonio fu reso ancora piú romantico dalle tribolazioni burocratiche per ottenere prima un Visto di Uscita poi uno di Entrata, per non parlare della Carta Verde, perché anche se ora era la professoressa Mondragon, sposata con un cittadino americano, il suo coinvolgimento ai tempi dell’università con certi membri della Sinistra separatista québechiana aveva collocato il suo nome sulla lista delle personnes à qui on doit surveiller attentivement della Reale polizia canadese a cavallo. La nascita del primo figlio degli Incandenza, Orin, era stata almeno in parte una manovra legale.

Poi il medico, il reparto psichiatrico e la storia di Kate Gompert. Allucinante ma vera come la carne appena macellata, appesa a gocciolare sangue.

David

I dottori tendono a entrare nelle arene della loro pratica professionale con una disposizione d’animo allegra e vivace che devono poi bloccare e attenuare non appena arrivano nell’arena del quinto piano dell’ospedale, il reparto psichiatrico, dove una disposizione d’animo allegra e vivace sarebbe vista come una sorta di gongolio maligno. Ecco perché nelle corsie psichiatriche i dottori hanno cosí spesso quell’espressione accigliata e un po’ finta di concentrazione perplessa, se e quando li si vede nei corridoi del quinto piano. Ed ecco perché un medico d’ospedale – persone in genere robuste, rosee e senza pori che sanno quasi sempre di buono e di pulito – si presenta a ogni paziente psichiatrico con un piglio professionale a metà strada fra il blando e il profondo, una partecipazione distante ma sincera che appare equamente suddivisa fra il disagio soggettivo del paziente e la dura realtà del caso.

Kate Gompert era sottoposta agli Speciali, vale a dire Sorveglianza Antisuicidio, vale a dire che a un certo punto la ragazza aveva mostrato sia Ideazione sia Intento, vale a dire che doveva essere guardata a vista ventiquattr’ore al giorno da un membro dello staff fino a che il medico supervisore non avesse revocato gli Speciali.

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Gompert, Katherine A., anni 21, Newton Ma. Impiegata informatica in un’agenzia immobiliare a Wellesley Hills. Quarta ospedalizzazione in tre anni, tutte depressioni cliniche, unipolari. Una serie di trattamenti elettroconvulsivi due anni prima al Newton Wellesley Hospital. Sotto Prozac per un breve periodo, poi Zoloft, piú di recente Parnate insieme al litio. Due precedenti tentativi di suicidio, il secondo l’estate scorsa. Bi-Valium sospeso da due anni, Xanax sospeso da un anno – una storia esplicitamente ammessa di abuso di medicinali prescritti. Classica depressione unipolare, caratterizzata da acuta disforia, ansia con panico, episodi diurni di svogliatezza/agitazione, Ideazione con o senza Intento.

Era quasi morta due volte, Katherine Ann Gompert.

«Voglio solo che lei mi faccia l’elettroshock. Mi tiri fuori. Farò qualunque cosa lei desideri».

E poi … l’istruttore tedesco con un pizzico di “potenziale protofascista”

Gerhardt Schtitt, Allenatore Capo e Direttore Atletico dell’Enfield Tennis Academy di Enfield Ma, fu corteggiato senza tregua dal Preside dell’Eta, Dott. James Incandenza, fu praticamente implorato di entrare a far parte dell’Accademia proprio nel momento in cui la cima della collina fu spianata e l’istituto stava per nascere.

È una impresa quasi irrispettosa provare a sintetizzare DFW, io dico impossibile, tu dirai inutile e tediosa, ma, perdono chiedo perdono, copio e mostro piccoli pezzi come fotogrammi di scene come fossero amuleti o reliquie da ricordare. È un trailer compulsivo, orgasmi ripetuti. Sono quelli che mi prendono di più, quelli che meglio comprendo. Con i richiami (sublimi e geniali) alla Matematica, adesso capisco l’assoluta ammirazione e devozione che i veri matematici hanno per DFW.

Questo è un estratto dalla nota 35 a p.1193: “… ove Cantor era un teorico degli insiemi dell’èra del ventesimo secolo (tedesco, per di piú) e piú o meno il fondatore della matematica transfinita, l’uomo che dimostrò che certi infiniti erano piú grandi di altri infiniti, e la cui Prova Diagonale del 1905 (anno piú anno meno) dimostrò che ci può essere un’infinità di cose fra due cose indipendentemente da quanto sono vicine fra loro le due cose, la quale Prova D. influenzò profondamente l’intuizione del Dott. J. Incandenza sull’estetica trans-statistica del vero tennis.”

shadow of woman playing tennis
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Incandenza aveva deciso che avrebbe portato Schtitt nel comitato direttivo a ogni costo – nonostante Schtitt fosse stato di recente invitato a dimettersi dallo staff di uno dei campi di Nick Bollettieri a Sarasota a causa di uno sfortunatissimo incidente nel quale era stato coinvolto un frustino da equitazione. Ma ormai tutti all’Eta pensano che le storie sulla faccenda delle punizioni corporali di Schtitt debbano essere state gonfiate all’inverosimile, perché se è vero che Schtitt continua a portare quegli alti stivaloni neri lucenti e, sí, anche le mostrine militari, sí, ancora, e una bacchetta retrattile da meteorologo che è chiaramente un surrogato del vecchio frustino da equitazione ora proibito, lui, Schtitt, a quasi settant’anni si è ammorbidito fino a diventare una sorta di anziano uomo di Stato che comunica astrazioni piú che disciplina, un filosofo anziché un re.

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Allora ecco la filosofia del tennis moderno contro la modernità, la distruzione di tutto quello che DFW sembra odiare, la media, la statistica, la massificazione. In bocca al suoi protagonisti mette l’esaltazione del bello, della magia, del talento e dell’unicità, facendone un trattato scientifico con tanto di note sempre più specializzate. Sull’altare che non posso non venerare, appaiono distinte le contrapposizioni e le scelte: il Lui in persona sceglie l’appassionato ma ignorante Schtitt per proferire e tramandare il verbo (nonostante sia un anzianotto a digiuno di matematica) mentre il protofascista sceglie Mario, il meno funzionante dei figli del patriarca suicida.

Potrebbe sembrare strano che il leptosomatico Mario I., tanto menomato da non riuscire a tenere in mano una racchetta figuriamoci poi a usarla per colpire una palla in movimento, sia l’unico ragazzo all’Eta di cui Schtitt cerchi la compagnia, anzi l’unica persona con cui Schtitt parli francamente, senza il cipiglio pedagogico.

Cavolo ma cos’è un leptosomatico?

Sono speculativi, inclini all’arte, difficile da adattare, introversi, timidi e seri, dotati di grande energia e tenacia. Questo tipo è associato con il temperamento schizotimico caratterizzato da oscillazioni tra ipersensibilità e frigidità.

Schtitt possiede quella spaventosa tenacia degli anziani che ancora fanno energicamente moto. Ha degli attoniti occhi azzurri e un taglio a spazzola di un bianco acceso che appare virile e appropriato sugli uomini che hanno già perso un bel po’ di capelli. E una carnagione candida come le lenzuola pulite, tanto che quasi brilla: un’evidente immunità ai raggi Uv del sole; nel crepuscolo ombreggiato dai pini è quasi un bagliore bianco, come fosse ritagliato nella pasta di luna.

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Mario è un fan sfegatato di Gerhardt Schtitt, ma la maggior parte degli altri ragazzi dell’Eta lo considera probabilmente fuori di testa, e rincitrullente per via della sua logorroicità, e se mostrano al vecchio saccentone un rispetto di facciata lo fanno solo perché Schtitt continua a sovrintendere di persona all’attribuzione quotidiana degli allenamenti

Schtitt affrontava il tennis agonistico piú da matematico puro che da tecnico del gioco. Gran parte degli allenatori di tennis juniores sono sostanzialmente dei tecnici, degli sbrigativi praticoni che pensano di poter risolvere ogni problema con le statistiche, con un po’ di psicologia da quattro soldi e un mucchio di chiacchiere motivazionali.

Schtitt, sapeva che il vero tennis non era fatto da quella mistura di ordine statistico e potenziale espansivo che veneravano i tecnici del gioco, ma ne era anzi l’opposto – non-ordine, limite, i punti in cui le cose andavano in pezzi e si frammentavano nella bellezza pura. Che il vero tennis non era piú riducibile a fattori delimitati o a curve di probabilità di quanto lo fossero gli scacchi o la boxe, i due giochi di cui è un ibrido.

Caro diario, sei nato come un gioco, cresci giorno dopo giorno come un essere vivente sfamando bisogni compressi e desideri lamentosi, ti riproduci e cresci ancora. Ti posso fare una domanda? Chi di noi due è l’ospite?

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Fosse ancora tra i viventi, il Dott. Incandenza descriverebbe ora il tennis nei termini paradossali di ciò che viene adesso chiamata «Dinamica ExtraLineare». E Schtitt, le cui nozioni di matematica formale sono probabilmente equivalenti a quelle di un puericultore taiwanese, sembra tuttavia sapere ciò che Hopman e Van der Meer e Bollettieri sembrano ignorare: e cioè che individuare la bellezza e l’arte e la magia e il miglioramento e le chiavi dell’eccellenza e della vittoria nel complesso flusso di una partita di torneo non è una questione frattale di mera riduzione del caos a forma. Sembrava sentire intuitivamente che non era una questione di riduzione ma – perversamente – di espansione, il fremito aleatorio della crescita incontrollata e metastatica – ogni palla ben colpita ammette n possibili risposte, 2n possibili risposte a queste risposte, e cosí via fin dentro quello che Incandenza avrebbe definito per chi condividesse entrambe le sue aree di sapere un continuo cantoriano di infinità di possibili colpi e risposte, cantoriano e bello perché capace di crescere eppure contenuto, un’infinità di infinità di scelte ed esecuzioni, matematicamente incontrollata ma umanamente contenuta, delimitata dal talento e dall’immaginazione di se stessi e dell’avversario, ripiegata su se stessa dalle frontiere date dall’abilità e dall’immaginazione che infine fanno soccombere uno dei giocatori, che impediscono a entrambi di vincere, che finiscono col fare di tutto questo un gioco, queste frontiere del sé.

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«Cioè le linee di delimitazione del campo sono frontiere?» prova a chiedere Mario. «Lieber Gott nein», con un suono plosivo di disgusto. Schtitt preferisce fare figure di fumo piuttosto che i classici anelli, e non è che sia bravo, cosí crea delle specie di tremolanti hot dog color lavanda che Mario trova deliziosi. Ecco cosa c’è da dire di Schtitt: come la maggior parte degli europei della sua generazione, ancorato com’è sin dall’infanzia a certi valori permanenti che – sí, ok, d’accordo – possono, ammettiamolo, avere un pizzico di potenziale protofascista, ma che comunque (i valori) ancorano mirabilmente un’anima e il corso di una vita – roba patriarcale del Vecchio Mondo come onore e disciplina e fedeltà a una qualche entità piú grande – Gerhardt Schtitt non tanto disapprova i moderni Stati Uniti d’A. onaniti, quanto invece li considera esilaranti e spaventevoli allo stesso tempo. Forse piú che altro semplicemente alieni.

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Schtitt si è formato ai Gymnasium preUnificazione secondo l’idea piuttosto kanto-hegeliana che l’atletica juniores fosse poco piú che un addestramento a essere cittadini, che l’atletica juniores fosse imparare a sacrificare i ristretti e impetuosi imperativi del Sé – i bisogni, i desideri, le paure, gli aneliti multiformi della volontà appetitiva individuale ai piú importanti imperativi di una squadra (ok, lo Stato) e a un insieme di regole precise (ok, la Legge). Tutto questo sembra quasi spaventosamente semplicistico, ma non per Mario che ascolta dall’altra parte del tavolo di legno da picnic. Apprendendo, in palestra, le virtú che dànno i loro frutti nei giochi di competizione, il ragazzo ben disciplinato comincia ad assemblare le qualità che piú lo allontanano dalla gratificazione, le piú astratte e necessarie per essere un «giocatore di squadra» in un’arena piú vasta: il caos morale ancora piú sottilmente diffratto dell’essere cittadino a pieno diritto di uno Stato. Solo che Schtitt dice Ach, ma come si fa a credere che questo addestramento possa assolvere il proprio scopo in una nazione experialista, che esporta i suoi rifiuti, che sta dimenticando la privazione e la durezza e la disciplina che la durezza insegna a ritenere necessaria? Gli Stati Uniti di una moderna America dove lo Stato non è una squadra o un codice ma una specie di intersezione abborracciata di desideri e paure, dove l’unica forma di consenso pubblico a cui il ragazzo ben disciplinato deve arrendersi è la supremazia riconosciuta della ricerca diretta di quest’idea miope e piatta della felicità personale: «Il piacere felice della persona sola, sí?»

photography of bridge during nighttime
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… sono quelle frontiere se non le linee di fondocampo, che contengono e dirigono verso l’interno l’infinita espansione del gioco, che rendono il tennis simile agli scacchi in movimento, un gioco bello e infinitamente denso?

La grande intuizione di Schtitt, sua grande attrattiva agli occhi del defunto padre di Mario: Il vero avversario, la frontiera che include, è il giocatore stesso. C’è sempre e solo l’io là fuori, sul campo, da incontrare, combattere, costringere a venire a patti. Il ragazzo dall’altro lato della rete: lui non è il nemico: è piú il partner nella danza. Lui è il pretesto o l’occasione per incontrare l’io. E tu sei la sua occasione. Le infinite radici della bellezza del tennis sono autocompetitive. Si compete con i propri limiti per trascendere l’io in immaginazione ed esecuzione. Scompari dentro il gioco: fai breccia nei tuoi limiti: trascendi: migliora: vinci. Ecco la ragione per cui il tennis è l’impresa essenzialmente tragica del migliorare e crescere come juniores serio mantenendo le proprie ambizioni. Si cerca di sconfiggere e trascendere quell’io limitato i cui limiti stessi rendono il gioco possibile. È tragico e triste e caotico e delizioso. E tutta la vita è cosí, come cittadini dello Stato umano: i limiti che ci animano sono dentro di noi, devono essere uccisi e compianti, all’infinito. Mario pensa a un palo d’acciaio alzato fino ad arrivare a due volte la sua altezza e sbatte una spalla sul bordo d’acciaio verde di un cassonetto e piroetta verso il cemento prima che Schtitt si precipiti in avanti per afferrarlo a metà strada, e sembra quasi che siano impegnati in un casquè mentre Schtitt dice che questo gioco che tutti i ragazzi sono venuti a imparare all’Eta, questo infinito sistema di decisioni e angoli e linee che i fratelli di Mario hanno lavorato cosí mostruosamente tanto per padroneggiare: lo sport fatto dai ragazzi non è che una sfaccettatura della vera gemma: la guerra infinita della vita contro l’io senza il quale non si può vivere. Schtitt poi sprofonda nel tipo di silenzio di chi si diverte a riavvolgere e riascoltare mentalmente ciò che ha appena detto. Mario sta di nuovo pensando intensamente. Sta pensando a come articolare una domanda tipo: Ma allora lottare e sconfiggere l’io equivale a distruggersi? È come dire che la vita è pro morte? Tre ragazzini allstoniani di passaggio scimmiottano e prendono in giro l’aspetto di Mario dietro le spalle dei due. Alcune delle espressioni di Mario mentre pensa sono quasi orgasmiche: congestionate e molli. E allora quale sarebbe la differenza fra il tennis e il suicidio, la vita e la morte, il gioco e la sua fine?

people holding tennis rackets
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