2021 Neo Edizioni

All’inizio di questo mio personale cammino di formazione alla lettura, non potevo immaginare che un giorno avrei potuto associare un romanzo alle montagne russe, si, proprio quelle, le terribili e strabilianti giostre che salgono e scendono a mille all’ora, quelle che ti travolgono con un pugno nello stomaco quando precipiti giù, quelle che ti fanno respirare nella scalata lenta verso la cima, quelle giostre vorticose che in pochi secondi rendono l’adrenalina regina in un corpo legato, costretto a seguire una macchina pensata per il divertimento, quelle giostre che a testa in giù ti fanno pensare che tutto il mondo è rovesciato quando stai con i piedi a terra. Questo romanzo si legge in poche ore o meglio, ti travolge con un flusso veloce di storie che intrecciano l’esistenza nei suoi aspetti più densi e profondi. Quando sono arrivato all’ultimo giorno di lavoro di un vigile del fuoco, l’eroe per antonomasia della società civile, mentre i sui colleghi lo vogliono festeggiare, ho toccato, con il suo racconto segreto, il tormento estremo di una società che corre a vuoto, marcia sul posto, nel suo ombellico viscerale che non è il centro ma un vortice di anime solitarie, non è il centro ma un insieme convergente senza dimensioni:
“È il nuovo giorno che sostituisce il vecchio: il ritmo incessante della vita che si ripete ottuso.” – questa frase di qualche pagina prima, esplode tutto il suo significato nella confessione del pompiere, da quel giorno in pensione, i colleghi gli chiedono il giorno più bello, lui racconta: “Non ho mai più provato quella sensazione allo stomaco. Mai.” e di cose brutte, un vigile del fuoco ne vive anche troppe.
In questo meraviglioso romanzo ho trovato una sola parola difficile per me, una parola che però spiega il fascino intenso dell’intero romanzo: aoristo.
sostantivo maschile – Categoria del verbo, particolarmente vitale in greco, che indica l’azione pura e semplice, prescindendo dalle categorie del tempo e della durata: gnôthi seautón (‘conosci te stesso’) è in greco, diversamente dall’italiano, un aoristo, perché valido nel presente, nel passato, nel futuro.
Storie ordinarie, storie comuni, storie che ogni lettore vive e rivive nelle esperienze quotidiane, del passato, del presente, nei desideri del futuro, anche se non si è stati al liceo, anche se hanno abolito il latino nella scuola media, anche se la strada e il sogno di diventare campioni si è infranto nell’utopia della gioventù, la prigione di una sedia a rotelle, la prigione di un corpo inerte che non può decidere se vivere o morire… il rumore dei pensieri, leggendo Acari si fa assordante, l’ho sentito forte:
“Barbara me l’ha detto una volta, mentre la guardavo in silenzio:«Mario! Si sente il rumore del tuo cervello che sta sempre a pensare».”

Le cime e le valli, mai una distesa pianeggiante, mai la pace se non alla fine con il racconto dell’amore di Mario, alla fine, ma bisogna arrivarci all’uscita dalla giostra dei racconti di Rugo, racconti che la quarta di copertina riassume come una “sinfonia polifonica orchestrata magistralmente“, giusto ma non c’è solo una musica fatta bene, c’è la vita vera, con le sue vertigini, i suoi conati di vomito e la sua verità più lucida:

“Un milione e mezzo di turisti invadono ogni estate la riviera romagnola. Un milone e mezzo di culi producono milioni di chili di merda che si riversano nel mare in cui la mattina dopo lo stesso milione e mezzo si farà il bagno. Mi trovo a cesenatico a lavorare come assitente socio sanitario, anche il mio culo quest’anno sta dando il suo piccolo contributo.”
Le emozioni non si possono contenere, nemmeno un libro penso possa farlo, anzi un libro bello come questo, le amplificano e le rendono meravigliose come un giro su una montagna russa che ancora non si conosce.

“Dal bidone dell’immondizia arriva un odore nauseabondo di pannoloni sporchi. Non che me ne vengano in mente di buoni, ma questo è davvero un posto di merda per morire.“
La morte e la vita ci sfiorano, ci accarezzano, ci sfuggono, come la notizia per me tristissima della scomparsa, proprio in queste ore di un mio vecchio compagno di scuola: carissimo Pasquale, che la terra ti sia lieve.
