LA FILOSOFIA COME DE – FASCINAZIONE E LA SCRITTURA COME TERAPIA
Saggio di Vincenzo Fiore, 2018 Nulla Die edizioni
Caro diario sono al capolinea. Hai presente quando di un percorso hai saltato tutte le fermate, belle ma impegnative, e non sei sceso, e ti trovi a non sapere più dove andare? L’autobus è quello della fascinazione, i luoghi i romanzi e affascinanti le scritture. Ma sì è una bugia, ad alcune fermate sono sceso e ritornato e ritornerò per fare giri in tondo allargando il raggio della vista e dell’emozione. Dopo Le città invisibili di Italo Calvino ho capito che il sé stessi è un centro, un punto di forza elastico, che richiama e respinge, dove si torna per ripartire, dove ci si perde per ricominciare. Più leggi e più ne vuoi leggere, perché la visita è un passaggio ma la lettura è un’immersione totale nella storia che racconta, nei personaggi che la fanno vivere e scrittore o scrittrice, diventa la divinità che crea.
Esagero perché voglio profanare il senso comune, sverginare l’inconfessabile senso di fascinazione che mi toglie il respiro, quando all’ultima pagina chiudo con il suo romanzo e apro il pensiero all’autore che lo ha creato. Divina la creazione, e l’autore? Empatia emotiva e razionale, presuntuosa la mia comprensione, social da fare schifo o dispersa nella sua elitaria grandezza di solitudine, immortale perché morto o contemporaneo il lui, la lei, perché vivente.
Il preferito, la preferita o solo tra i preferiti, autore appena conosciuto o talmente studiato da conoscerne il gossip più intimo, odiato o amato perché irraggiungibile, sopravvalutato, sottostimato, ammirato o denigrato da chi non lo capisce. Il maschio è scontato ma la femmina lo è di più. Guerriera. Quindi il fascino e la venerazione, e la preferenza diventa disturbo, una patologia da curare, stili da spogliare, significati da afferrare, emozioni a cui abbandonarsi, senza remore perché la ragione è solo morte. Se l’inferno è lastricato di buone intenzioni, e l’inferno non esiste, come faccio a sopravvivere nella produzione industriale dei desideri indotti?
Da quando ho visto le creazioni della cucina destrutturata, ho il terrore del “de”, puoi capire l’orrore della parola de-fascinazione in me che adoro sottomettermi senza condizioni al fascino…
Questo è il punto, capire, comprendere, farne conoscenza. Poi mi arriva lui, Cioran, o meglio come lo presenta e lo spiega questo ragazzo del ’93 nato a Solofra (AV), Vincenzo Fiore, attraverso un saggio prezioso che, come dicevo è il mio capolinea, ma non di quelli desolati in una periferia emarginata, no, un capolinea al centro di una stella di stelle.
Mio caro diario, prova a immaginare innanzi a te tremante, un dio nudo come un re che balbetta e non sa rispondere ad una semplice domanda: «Perché ci hai creato?»
Se è vero che al centro della terra c’è il fuoco, la stella che era in origine, se i vulcani sono solo foruncoli giovanili che scoppiano in superficie, di quale fascino vuoi parlare senza conoscere Cioran?
La bibliografia che inizia a pagina 161 è l’universo, adesso capisco perché dio ha creato i buchi neri.
Prova a immaginare di spazzare via ogni struttura e sovrastruttura, ogni chiesa o multinazionale, ogni stato democratico o totalitario, ogni partito, ogni associazione di persone e interessi, cancellare ogni filosofo e pensatore, e finalmente dare senso solo alla morte. Anche oltre Jim Morrison che diceva: «Non aver paura della morte, fa meno male della vita» e ancora «Non ho scelto io di nascere quindi lasciatemi vivere come mi pare. Non siamo fatti per durare» e via dicendo.
“Via dicendo” è una citazione, forse lo stile ossessivo che più mi è piaciuto de Il giovane Olden di Salinger, finito in queste ore e per la verità, oltre l’ipocrisia è l’unica cosa che ricordo bene, che mi manca e via dicendo.
E dopo la spumeggiante questione delle anatre, la gioventù e i suoi deliri, ecco che ho attaccato con L’ANIMALE MORENTE di Philip Roth, la storia di un vecchio, un professore universitario di critica letteraria che affascina, dice lui, belle studentesse di vent’anni.
L’universo è fatto di stelle che ferme si allineano secondo uno schema preciso per poi cadere inutili la notte di San Lorenzo.

Capisci cosa fa Cioran?
Ferma il tempo non come grandezza fisica, anzi, ne annulla il conteggio come opera umana e in quanto tale, magnifica, singolare meraviglia. Meglio non esser nati.
«Tanto per cominciare, non tutti hanno la fortuna di morire giovani.»

E tu cario Diario, pur non essendo umano ma comunque intriso di ogni umanità, non avrai di questi problemi, non sarai mai abbastanza giovane né abbastanza vecchio da morire, perché in fondo come Diario di un fantasma non esisti e per tanto l’oblio ha su di te un destino segnato, fascino che mai potresti esercitare. Ecco cosa sei una terapia, lo sospettavo e Cioran me lo conferma, non con i suoi scritti che qualcuno mi riprometto comunque di leggere, ma con la sua anima che suo malgrado continuerà ad essere l’incubo di ogni filosofo, passato, presente e futuro.
Ecco cosa accade, con Cioran da oggi mi sento meno piccolo a osare sfidare i giganti ma, cara e grandissima Michela Murgia, in queste ore volata così in alto da scappare come una cometa libera di andare dove vuole, meno piccolo ma sempre in ginocchio, perché per ogni sommo che vola, miliardi restiamo in ginocchio, in catene schiavi alla terra dei bisogni.
Forse s’avess’io l’ale
sa volar su le nubi,
e noverar le stelle ad una ad una,
o come il tuono errar di giogo in giogo ,
più felice sarei, dolce mia greggia,
più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
mirando all’altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
stato che sia, dentro covile o cuna,
è funesto a chi nasce il dì natale.
Sì perché la filosofia come ogni dio è solo una manipolazione, un tappabuchi, ecco perché amo la cameriera del suo aneddoto più di ogni sapienza che nel dubbio, senza una matematica certezza che privata d’assiomi non esiste, per tutte quelle condizioni al contorno che rendono soggettivo ogni pensiero, amo quella contadina analfabeta diventata cameriera.
E allora amo ancora quella poesia che la mia professoressa volle imparassimo a memoria, amo quel finale che da un senso profondo alla lotta di classe più di ogni sforzo umano. Funesta è la nascita senza eredità, dico io, come magnifica una vita di conquista.
Poi scopro che Cioran, rumeno, magari un po’ vampiro e un po’ zingaro, cercava le traduzioni di Leopardi, scopri che d’italiano in francese, tanto ancora nemmeno esiste, ancora oggi che interi popoli sognano la fine del giogo colonialista.

Cameriera? Una parola, dissezionabile? “Una parola dissezionata, dice Cioran, non significa nulla, proprio come un corpo che dopo l’autopsia è meno di un cadavere.”

Capisco bene i ricchi che hanno tutto da perdere e come inevitabilmente, dotato di tutt’altro tesoro, il “ricco” pensatore non ha che un capitale in dissoluzione con il passare del tempo, e capisco perché voglia scappare dalla nascita, la sua, funesta e futile filosofia. Capisco l’odio e la paura degli altri suoi simili che non pensano altro che aggrapparsi alla “roba” da portarsi dietro come le sfarzose tombe testimoniano da millenni.
Capisco poco o niente ma gli aforismi di questo scrittore, più che filosofo come sento dire e via dicendo, è una ventata di beatitudine che annulla ogni gerarchia di struttura e sovrastruttura sociale e culturale, ma come ho detto all’inizio non ho trovato la verità, ma un capolinea da dove partono infinite strade di conoscenza. Intanto, de – fascinazione e terapia, sono segnate a riempirmi di futuro.
Grazie Vincenzo Fiore ti devo un pezzo di luce, e grazie Luciano Bassan che me lo hai consigliato un bel po’ di tempo fa.




