un piccolo esercizio di scrittura del fantasma, la traccia è questa frase:
“vorrei fare con te quello che la primavera fa con i ciliegi” di Pablo Neruda
«Non ti fermare, continua» le dice con la gioia di un amore ritrovato, e lei non si ferma: sono gesti ipnotici senza tempo, scosse tenere, ripetute, delicate. Sospirando ad ogni reazione della pelle la vede riflessa, e immobile sulla sedia difronte allo specchio, gode di tante carezze inattese finalmente tornate intime.
La continua a fissare con lo sguardo incollato ai suoi occhi che però sono sfuggenti – cosa sta pensando? – si chiede mentre nota che le sue pupille azzurro limpido, sono nervose, in cerca di vastità indecifrabili, guardano fuori verso la finestra a lato della toeletta per il trucco, già di nonna prima della sua infanzia; lei è assente, guarda lontano oltre le imposte spalancate sulla primavera che pulsa fuori, esplosa nel giardino.
«Amo di più la terra quando prende forma il caldo risveglio alla morte dell’inverno» dice senza fermarsi, sempre più dolce, assaporando la brezza tiepida che le arriva in faccia dal suo giardino, denso di gemme in fiore sull’albero più vecchio, quello più alto, e così si immagina bambina, arrampicata e felice.
La continua a cercare nello specchio ma non riesce ad afferrarne gli occhi, e allora vede i suoi capelli finissimi dorati di miele: le ondeggiano liberi sul viso senza trucco mentre la chiusura prolungata delle palpebre con ciglia quasi invisibili, sugella intensamente il piacere fisico nel respirare i profumi dei ciliegi in fiore.
È un attimo di estasi: «siamo ancora insieme, solo questo conta, il nostro inverno è morto», dice come se stesse parlando a qualcuno sull’albero, ma lei non si ferma, non rallenta, le sue carezze si fanno sempre più delicate mentre nei suoi occhi si combattano mille luccichii, colorati dalle gocce di rugiada che rinfrescando i primi petali dischiusi, riflettono il sole in ogni direzione. I bagliori della luce nello specchio stridono con la pacatezza irreale della voce diventata adolescente, confligge l’amore e l’assenza di emozioni. Un brivido freddo inonda l’altra donna più giovane che smette di godere, e allora le prende la mano, la ferma rabbiosamente, si alza e abbracciandola con forza, la riporta alla realtà: «basta mamma! basta spazzolare, basta coccole! adesso ti metti seduta e lo faccio io a te! oggi devi uscire da questa stanza, ci vestiamo insieme e andiamo a fare shopping in centro, ti ricordi come mi dicevi? vorrei fare con te quello che la primavera fa con i ciliegi…»

Pablo Neruda
Tu giochi tutti i giorni con la luce dell’universo.
Sottile visitatrice, tu vieni nel fiore e nell’acqua.
Sei più di questa bianca testolina che stringo
ogni giorno tra le mie mani come un grappolo.
A nessuna assomigli da quando ti amo.
Lascia che io ti distenda fra le ghirlande gialle.
Chi scrive il nome tuo con lettere di fumo tra le stelle del sud?
Oh, fammi ricordare come eri allora, quando ancora non esistevi.
D’un tratto il vento ulula e picchia alla mia finestra chiusa.
Il cielo è una rete cagliata piena di tetri pesci.
Qui vengono a battere tutti i venti, tutti.
Già si sveste la pioggia.
Passano gli uccelli in fuga.
Il vento. Il vento.
Io solo posso battermi contro la forza degli uomini.
La bufera fa turbinare le foglie oscure
e scioglie tutte le barche che stanotte si sono ancorate in cielo.
Tu sei qui. Oh, tu non scappi.
Tu mi risponderai sino all’ultimo grido.
Raggomitolati al mio fianco come se avessi paura.
Eppure, qualche volta un’ombra strana è corsa nei tuoi occhi.
E ora, anche ora, tu mi porti, mia piccola, caprifogli,
e hai perfino i seni profumati.
Mentre il vento triste galoppa e uccide farfalle
io ti amo e la mia gioia morde la tua bocca di susina.
Che dolore avrai patito ad assuefarti a me,
alla mia anima sola e selvaggia, al mio nome che tutti respingono.
Tante volte abbiamo visto ardere la prima stella baciandoci negli occhi
e tante volte i crepuscoli girare a ventaglio sulle nostre teste.
Le mie parole su di te sono cadute accarezzandoti.
Da tanto tempo ho amato il tuo corpo di aprica madreperla.
E ti credo addirittura padrona dell’universo.
Ti porterò dalle montagne fiori allegri, copihues,
nocciole brune, e ceste silvestri di baci.
Voglio fare con te
ciò che la primavera fa con i ciliegi.
un anno dopo, piccolo autoediting per un altro gruppo FB (Libri e Recensioni)
«Non ti fermare, continua» le dice con la gioia di un amore ritrovato, e lei non si ferma: sono gesti ipnotici senza tempo, scosse tenere, ripetute, delicate. Sospirando ad ogni reazione della pelle la vede riflessa, mentre immobile, seduta sulla sedia difronte allo specchio, gode di tante carezze inattese finalmente tornate intime.
La continua a fissare con lo sguardo incollato ai suoi occhi che però sono sfuggenti – cosa sta pensando? – si chiede mentre nota che le pupille azzurro limpido sono nervose, in cerca di vastità indecifrabili: guardano fuori verso la finestra a lato della toeletta per il trucco, già di nonna prima della sua infanzia. Lei è assente, in piedi alle sue spalle, guarda lontano oltre le imposte spalancate sulla primavera che pulsa fuori, esplosa nel giardino.
«Non ti fermare, ti prego… Continua». La cerca, non la lascia andare. E lei non si ferma, continua con gesti ipnotici di braccia e mani sulla testa, sulle spalle scoperte, carezze tenere come una volta, di quando era bambina.
Prova a fermare con parole preoccupate quegli occhi che tante volte le hanno fatto paura. Non ci riesce, lei è assente, guarda lontano oltre la finestra, cerca il mondo fuori che esplode di ricordi.
«Amo di più la terra quando prende forma il caldo risveglio alla morte dell’inverno» dice senza fermarsi, sempre più dolce nei movimenti, assaporando la brezza tiepida che le arriva in faccia dal giardino, denso di gemme in fiore sull’albero più vecchio, quello più alto, e così si immagina bambina, arrampicata e felice.
La continua a cercare nello specchio ma non riesce ad afferrarne gli occhi, e allora ne guarda i capelli finissimi dorati di miele che ondeggiano liberi sul viso senza trucco. Osservando con attenzione come la chiusura prolungata delle palpebre renda brillanti le sue ciglia bianche quasi invisibili, si arrende e si lascia andare allo stesso piacere fisico di respirare il profumo dei ciliegi in fiore.
È un attimo di estasi: «Siamo ancora insieme, solo questo conta, il nostro inverno è morto», dice come se stesse parlando a qualcuno sull’albero, e non si ferma, non rallenta, le carezze si fanno sempre più delicate mentre nei suoi occhi si combattano mille luccichii, colorati dalle gocce di rugiada che, rinfrescando i primi petali dischiusi del mattino, riflettono il sole in ogni direzione. I bagliori della luce nello specchio stridono con la pacatezza irreale della voce diventata adolescente, confligge l’amore e l’assenza di emozioni. Un brivido freddo inonda l’altra donna più giovane che smette di godere, e allora le prende la mano, la ferma rabbiosamente, si alza e abbracciandola con forza, la riporta alla realtà: «Basta mamma! Basta spazzolare, Basta coccole! Adesso ti metti seduta e lo faccio io a te! Oggi devi uscire da questa stanza, ci vestiamo insieme e andiamo a fare shopping in centro, ti ricordi come mi dicevi? Vorrei fare con te quello che la primavera fa con i ciliegi…»
2021, 2022… ancora un anno in avanti, veloce e lento come il vento dei pensieri mentre fuori il tornado dell’AI ci avvolge, nel niente e nel tutto vomitato di parole
ONANISMO MENTALE
ecco una pratica di autoediting con ChatGPT 3,5, quello gratis 😂
Richiesta: “Riscrivi questo testo come lo farebbe Stephen King”
“Non ti fermare, continua”, le sussurra con l’estasi di un amore ritrovato, e lei non si ferma: gesti ipnotici senza tempo, carezze tenere, ripetute e delicate. Ogni reazione della sua pelle è un sospiro che lei osserva riflesso, immobile sulla sedia di fronte allo specchio, godendo di queste carezze inattese finalmente intime.
La fissò intensamente, gli occhi incollati ai suoi, ma quegli occhi erano fugaci, sfuggenti – cosa sta pensando? – si chiese mentre notava che le pupille di un azzurro limpido erano nervose, alla ricerca di vastità indecifrabili: guardavano oltre la finestra, accanto al tavolo da trucco, che era già di nonna prima ancora della sua infanzia. Lei era assente, in piedi dietro di lei, con lo sguardo rivolto lontano, oltre le imposte spalancate che rivelavano la primavera che palpitava fuori, un esplosione nel giardino.
“Non ti fermare, ti prego… Continua”. La cercava, non voleva lasciarla andare. E lei non si fermava, continuava con quei gesti ipnotici di braccia e mani sulla testa, sulle spalle scoperte, carezze tenere come un tempo, quando era solo una bambina.
Provò a fermare con parole preoccupate quegli occhi che tante volte l’avevano spaventata. Non ci riuscì, lei era ancora assente, lo sguardo perso lontano oltre la finestra, alla ricerca del mondo che esplodeva di ricordi.
“Amo di più la terra quando prende forma il caldo risveglio alla morte dell’inverno”, disse senza interrompersi, sempre più dolce nei movimenti, assaporando la brezza tiepida che le accarezzava il viso dal giardino, denso di gemme in fiore sull’albero più antico, il più alto. E così, si immaginò bambina, arrampicata e felice.
Continuava a cercarla nello specchio, ma non riusciva ad afferrare i suoi occhi. Allora osservò i suoi capelli finissimi, dorati come il miele, che fluttuavano liberamente sul viso privo di trucco. Notò come il lento abbassamento delle palpebre rendesse le sue ciglia bianche quasi invisibili e, arrendendosi, si abbandonò al piacere fisico di respirare il profumo dei ciliegi in fiore.
Fu un attimo di estasi: “Siamo ancora insieme, solo questo conta, il nostro inverno è morto”, disse come se stesse parlando a qualcuno sull’albero. E non si fermava, non rallentava, le carezze diventavano sempre più delicate, mentre nei suoi occhi si scontravano mille scintille, colorate dalle gocce di rugiada che, frescando i primi petali del mattino, riflettevano il sole in ogni direzione. I bagliori di luce nello specchio contrastavano con la voce pacata, ma l’amore e l’assenza di emozioni. Un brivido freddo avvolse l’altra donna, più giovane, che smise di godere. Allora la prese per mano, la fermò con rabbia, si alzò e la abbracciò con forza, riportandola alla realtà.
“Basta, mamma! Basta spazzolare, basta coccole! Adesso siediti e sarò io a prendere cura di te! Oggi devi uscire da questa stanza, ci vestiremo insieme e andremo a fare shopping in centro. Ti ricordi quando mi dicevi che vorresti fare con me quello che la primavera fa con i ciliegi…”
L’atmosfera si fece più cupa, il tono della voce si trasformò in uno sguardo di determinazione. La giovane donna cercava di riportare sua madre nel mondo reale, liberarla dalla trappola dell’ozio e dell’immobilità. Era giunto il momento di rompere quelle catene, di affrontare la vita con coraggio e riscoprire la gioia delle esperienze condivise.
Stephen King avrebbe potuto descrivere questa scena con una tensione palpabile, facendo emergere i contrasti tra passato e presente, tra l’amore e il desiderio di cambiamento. Avrebbe forse amplificato il senso di inquietudine e il richiamo alla realtà, rendendo il momento di trasformazione ancora più intenso.