’a stella

micro racconto di capodanno

Colpevole era lei: Frida, che suonava con me quella notte.

Mezza vestita e mezza spogliata. Brillava di sudore urlando Maracaibo, mare forza nove, fatta persa di lambrusco, quel tanto rubino da frizzare di solfiti scadenti. Graffiava la mia chitarra consumata e cantava in un corpo sgraziato dal rancore. Fuori tempo danzava con dentro sogni devastati di rock’n’roll e la gola bruciata dall’erba di Velia. Aveva solato anche me quel contadino maledetto, un truffatore altro che Eden. L’albergo del cenone, grande, bianco e pulito come la tela di un pittore senza fantasia, era un trauma improvviso come un cazzotto sull’occhio in mezzo alla piana del Sele, ai piedi dell’antica Paestum. Cento euro per una serata di canzoni era ossigeno in quella nostra vita disperata. L’avrei seguita in capo al mondo Frida. Andò dove non potevo andare, e peggio come non poteva andare. Quella fu la nostra ultima esibizione insieme. Quando il principale del locale le chiese l’autografo, lei gli spaccò la testa con una bottiglia di spumante: una morte scadente come tutta quella festa di capodanno. In cella oggi Frida scrive canzoni ubriacandosi di parole recluse come la sua anima in fiamme, mentre l’avvocato scrive ricorsi. C’è un medico che è sicuro come la cassazione: Frida in quel momento non era capace d’intendere e di volere. Voleva bere non uccidere. In mano a Laura in arte Frida, la bottiglia era vuota. Si è difesa da quel bavoso fetente che meritava di morire. A vent’anni la vergogna brucia come l’inferno ma nessuno l’ha mai creduta. Questa volta però è la volta buona me lo sento: il giovane CTU del tribunale ama il rock’n’roll e mi ha giurato che non si vende a quella potente famiglia camorrista. E poi vorrei dire: come si fa a condannare una stella?

woman in black top holding clear plastic pack
Photo by MART PRODUCTION on Pexels.com
a grayscale of the temple of hera ii in italy
Photo by Edoardo Colombo on Pexels.com
prison
Photo by Oljamu on Pexels.com

Apostasia

Putin ha detto: «È apostasia.»

In Russia sembra iniziato un colpo di stato militare guidato dal suo ex cuoco, il padrone della società mercenaria Wagner. Forse siamo alla vigilia di cadere dalla padella alla brace. Fino a ieri Prigozhin era l’eroe che ha sterminato gli ucraini a Bakmut, oggi sembra diventato l’eroe dell’occidente che sogna di rovesciare il governo Russo. Un po’ di tempo fa anche in Turchia c’è stato un tentativo militare di ribaltare Erdogan ed è finita con un bagno di sangue. Se denaro crea denaro, sangue chiama sangue… e magari è tutta una commedia, forse un dramma, magari una tragedia. Pare che Aljaksandr Lukašėnka, il Presidente della Bielorussia ha messo una pezza alla questione.

Ho chiesto aiuto a ChatGPT per capire il senso di questa parola, sembra vero sempre tutto il contrario di tutto, nel tempo e nella storia cambiare idea come cambiare padrone è una libertà, sembra proprio libertà costituente… è questione di ore, forse domani mattina inizierà una guerra civile (i ceceni sono partiti all’inseguimento), la guardia nazionale e la polizia si prepara a difendere Mosca … forse come ho già detto la sceneggiata è finita prima di cominciare.

ecco l’articolo —–>

Il Concetto di apostasia: analisi politica, filosofica e religiosa.

L’apostasia, termine che deriva dal greco “apostasis” e che significa “abbandono” o “rivolta”, non è solo una questione religiosa, ma assume anche una rilevanza politica significativa. Nell’ambito politico, l’apostasia si riferisce all’atto di abbandonare o dissentire da un’ideologia o un regime politico. Tuttavia, oltre alla sua connotazione politica, la parola “apostasia” solleva anche critiche filosofiche sulla libertà di pensiero e sulla natura dell’identità individuale.

L’apostasia, termine che deriva dal greco “apostasis” e che significa “abbandono” o “rivolta”, è un concetto complesso che assume rilevanza non solo dal punto di vista politico e filosofico, ma anche religioso. Esploriamo dunque le diverse prospettive su questo argomento.

Prospettiva Politica

Nel contesto politico, l’apostasia si riferisce all’atto di abbandonare o dissentire da un’ideologia o un regime politico. Alcuni sostenitori dei diritti umani e dei principi democratici vedono l’apostasia come un’espressione della libertà di pensiero e del diritto individuale di cambiare convinzioni politiche.

Thomas Jefferson, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti d’America, ha sostenuto il concetto di libertà religiosa e di coscienza come diritti fondamentali. Egli ha scritto che “il governo non ha alcun potere di prescrivere credenze religiose o coercire l’adesione ad alcuna professione di fede”.

Nelson Mandela, il famoso leader sudafricano nella lotta contro l’apartheid, ha difeso il diritto delle persone di cambiare le proprie convinzioni politiche. Ha affermato che “essere libero non è solo sbarazzarsi delle proprie catene, ma vivere in un modo che rispetti e riconosca la libertà degli altri”.

Critiche Filosofiche

Le critiche filosofiche alla parola “apostasia” mettono in luce il conflitto tra la libertà individuale e le aspettative sociali. Alcuni filosofi sostengono che l’identità di un individuo sia legata alle proprie convinzioni politiche e che un atto di apostasia possa essere visto come una forma di alto tradimento.

Jean-Paul Sartre, filosofo esistenzialista francese, afferma che l’identità è costantemente in evoluzione e che l’apostasia può essere vista come un passo verso una maggiore autenticità individuale. Secondo Sartre, ogni individuo ha il diritto di esplorare e ridefinire le proprie convinzioni politiche senza essere vincolato a un’ideologia dominante.

Friedrich Nietzsche, filosofo tedesco, sostiene che la vera grandezza di un individuo risiede nella sua capacità di superare le vecchie convinzioni e di abbracciare nuove prospettive. Secondo Nietzsche, l’apostasia può essere un segno di forza e di vitalità individuale, in quanto implica una rottura con le convenzioni e una ricerca di nuove verità.

Prospettiva Religiosa

Nel contesto religioso, l’apostasia si riferisce all’abbandono o al rifiuto di una fede o di una religione. Le prospettive religiose sull’apostasia possono variare ampiamente a seconda delle tradizioni, delle interpretazioni e dei contesti culturali.

Nella Bibbia cristiana, l’apostasia viene spesso considerata negativamente e vista come un allontanamento dalla verità divina. Ad esempio, l’apostolo Paolo afferma: “Alcuni si sono allontanati dalla fede, dando ascolto a spiriti seduttori e dottrine di demoni” (1 Timoteo 4:1). Tuttavia, alcune correnti teologiche cristiane sostengono il concetto di libertà religiosa e la possibilità di cambiare o abbandonare una fede.

Nel Corano, il testo sacro dell’Islam, l’apostasia è considerata un atto grave. Secondo alcuni passaggi, l’apostasia è vista come una negazione della verità rivelata e può essere soggetta a pene severe. Tuttavia, ci sono interpretazioni diverse all’interno dell’Islam riguardo alla punizione per l’apostasia, con alcuni sostenitori dell’idea che la libertà di religione dovrebbe essere rispettata e che l’apostasia non dovrebbe essere perseguita come un reato.

In conclusione, l’apostasia è un concetto complesso che coinvolge prospettive politiche, critiche filosofiche e prospettive religiose. Dal punto di vista politico, l’apostasia può essere considerata un’espressione della libertà di pensiero e dei diritti individuali. Le critiche filosofiche sollevano interrogativi sulla natura dell’identità e sulla possibilità di cambiamento. Le prospettive religiose possono variare ampiamente, con alcune religioni che considerano l’apostasia come un atto negativo e altre che abbracciano la libertà di scelta e di ricerca spirituale. Alla base di tutto, è fondamentale trovare un equilibrio che garantisca il rispetto dei diritti umani, la promozione di società aperte e inclusive, e la tutela delle diverse libertà individuali e collettive.

25 giugno 2023

È bastata una giornata di rivolta per accendere l’attenzione dei media sulla guerra, già perché i centinaia di soldati morti ogni giorno non facevano e non fanno notizia… Che follia, eppure i media sembrano pilotati da autori privi di fantasia e provano con pillole ipnotiche di desideri imposti, come la fine di Putin, la Russia in crisi, la vittoria militare…

Nel giorno della festa del papà del 2022, a pochi giorni dell’invasione, dell’aggressione, della guerra in Ucraina, avevo in testa un solo augurio per ogni bimbo, avere un papà con cui giocare e non al fronte a fare la guerra.

Le immagini di ieri dell’operatore ecologico che spazza tra i carri armati della Wagner a Rostov-sul-Don, è stata emblematica di come si deve rispondere alle armi: non si combatte, si tratta e al soldato si chiede: «Cosa vuoi? Chi ti comanda? Per chi sei disposto a morire?».

Io credo che la sceneggiata di ieri abbia un regista che intende parlare ai soldati ucraini, dimostra loro che rivoltarsi al proprio comandante è possibile, se lo fanno i mercenari contro Putin, loro lo possono fare contro quei generali che li stanno mandando a morire giorno dopo giorno per un’idea di vittoria impossibile.

È girata una notizia secondo me vera perché banale: in poche ore la madre Russia ha bloccato le carte di credito e i conti correnti delle milizie mercenarie di Prigožin. Ecco come si fermano i mercenari, bloccando i soldi, ecco come si alimentano i mercenari, con il vile denaro… La rivolta di Prigožin è la difesa di una “società privata di servizi” che mamma Russia voleva e vuole nazionalizzare. Prigožin ha fame di conquista e come Zelensky vuole più armi per combattere e attaccare. Forse sarà arrestato proprio in Biolorussia, forse diventerà governatore dell’Ucraina liberata, di sicuro ha dimostrato che la guerra più utile è quella con le armi che non sparano…

I militari eseguono ordini e saranno loro a fermare la guerra a Kiev.

Era il 19 marzo 2022 e il mio augurio è sempre lo stesso: avere un papà che gioca e non fa la guerra…

Domani IoScrittore

Caro Diario, io so che tu sai come sai che esisti per tenere traccia di emozioni che altrimenti perderei per sempre, proprio come quest’intrigante attesa per domani 18 giugno…

Dal 2021 ci provo con una storia che per i 4/5 è ancora tutta da scrivere 🤣 come lo è l’incipit ({minimo 30.000 e massimo 60.000 battute spazi inclusi}) che per il terzo anno ho presentato a IoScrittore.

È una bella sfida: interessante sono i giudizi che arrivano dopo la prima fase. Ecco quelli del 2021 e del 2022… noto come da una revisione all’altra, questi giudizi siano quasi migliorati 🤣 e domani avrò quelli 2023. L’eventuale ammissione alla seconda fase mi costringerà a scriverla tutta questa mia strana storia. 🤣 Intanto affido alle tue pagine questa mia intrigante attesa.

Giudizi 2021

• Del personaggio principale si capisce troppo poco: al lettore devono essere dati più punti di riferimento, anche se magari centellinati poco a poco. Troppi interrogativi senza risposta; troppi colloqui interiori.La disposizione del testo va meglio studiata e alleggerita.La vena comica è piacevole ma non deve lasciare che tutto cada nel grottesco.I dialoghi sono male strutturati, sia per caratterizzazione grafica, sia per alternanza di battute e tendono a trasformarsi in successione di lunghi monologhi poco credibili.La lingua va rivista e resa personale con qualche guizzo di inventiva.

• In questo incipit ci sono alcune idee di fondo interessanti e alcune capacità di scrittura che, se perfezionate, potrebbero portare a risultati positivi, purtroppo ci sono anche alcuni grossi difetti che pregiudicano il risultato finale.Il personaggio principale, che rimane comunque troppo misterioso per l’intero incipit, è inserito in un’ambientazione che stuzzica l’attenzione e ha una psicologia credibile. L’uso della prima persona, le domande retoriche e il troppo ‘pensato’ a scapito del narrato/dialogato, invece, lo indeboliscono.L’idea dei poliziotti incapaci e ottusi è interessante, ma troppo insistita: li trasforma in macchiette poco credibili. I dialoghi sono male strutturati, sia per caratterizzazione grafica, sia per alternanza di battute e tendono a trasformarsi in successione di lunghi monologhi poco credibili.Se l’autore passerà al turno successivo (come gli auguro) e riuscirà a rielaborare con coraggio i punti che gli ho elencato, sicuramente le sue speranze di vittoria aumenteranno notevolmente. Per ora, tutto appare, un po’ acerbo.

• La narrazione è lenta e inconcludente, mi ha lasciato con una profonda noia e senza la minima curiosità riguardo al prosieguo della vicenda. Ho inoltre trovato la prosa troppo pesante, senza guizzi e monotematica, così come i personaggi.

• Si merita sicuramente la sufficienza, il testo non contiene errori e non ha debolezze lampanti. Parte molto bene, con un romantico flashback sui pascoli valdostani e poi un amara descrizione del presente del protagonista a sottolineare lo strappo tra le sue due vite. Dal momento in cui iniziano i dialoghi tuttavia, i personaggi (narratore compreso) perdono spessore. L’intera, lunghissima scena alla stazione di polizia non è convincente, le conversazioni sembrano costruite con il solo fine di sottolineare il carattere gioviale del maresciallo, ma risultano ridondanti e superflue. Ho utilizzato l’aggettivo “lunghissima” per descrivere la scena in centrale e mi rendo conto che forse non è affatto lunghissima, ma questa è la percezione che ne ho avuto.

• Interessante l’idea di caratterizzare il protagonista come un personaggio vagamente disturbante. Tuttavia i dialoghi non risultano realistici. Ad esempio nella fase iniziale dell’interrogatorio il maresciallo accavalla troppe domande. Inoltre sono presenti alcuni errori grammaticali (es: vikingo)

• ‘Sarei tornato… ma non trovai’, io avrei scritto invece: ‘Ci ritornai in quella campagna…ma senza trovare più gli stessi colori’. Al posto di: ‘Sarei tornato per rivivere le emozioni irruenti e straripanti che quell’estate stravolsero la mia vita per sempre’, metterei: ‘Ci tornai per poter rivivere le emozioni irruenti e straripanti di quell’estate che stravolse per sempre la mia vita. Invece, mai più…’ Insomma, bisogna lavorare sulla scorrevolezza delle frasi, e non sbagliare i tempi verbali. Simpatiche la descrizione della mucca e le manie del protagonista. Ho trovato invece poco credibili i dialoghi col maresciallo e la situazione in sé (il fatto che venga trattenuto ore in commissariato per una testimonianza, senza una spiegazione plausibile). Alcuni refusi. Tuttavia per me resta un incipit che non mi invoglia a continuare la lettura del romanzo. 5-6-5-6

• L’incipit di questo romanzo ha una verve molto romantica e quasi eterea. Il protagonista ricorda un’estate lontana, una donna, forse un vecchio amore. Il linguaggio è particolarmente ricercato nello prime venti righe o poco piu, per poi passare ad un tono piú prosaico. C’ è quasi una rottura fisica tra questi ricordi quasi nostalgici e l’inizio brusco della vita solitaria del protagonista che sembra molto piatta e abitudinaria, ma in qualche modo anche misteriosa. Angelo Maria Chanoux sembra avere relazioni e sentimenti strani con le donne. All’inizio evoca Clara che pare il classico amore perduto ma unico, poi peró questa impressione viene smentita dall’introduzione di Tiziana: un’impiegata di un supermercato che sembra del tutto ignara di questo attaccamento morboso quasi malato del protagonista. Le dinamiche relazionali appaiono esistere solo nella mente di Angelo che improvvisamente viene portato in caserma ove comincia un debole dialogo col maresciallo. Questa ultima parte vuole essere volutamente pregna di intrigo e mistero, seguire le fila del protagonista che sembra a questo punto davvero un uomo degno di un giallo alla Agatha Christie. Sembra, appunto. I personaggi sono dei cliché, dal maresciallo col vocione che suda alla Montalbano all’ispettore donna della polizia tutta gambe e flessuositá tipiche dei gialli polizieschi in TV. Il mistero che avvolge il protagonista è un cliché riveduto che parte dal classico omicidio e commisariato. Il tono si mantiene piatto, monocorde, nonostante la singolarità del personaggio e degli eventi vorrebbero trascinare il lettore nel proseguo della storia, attraendolo. Onestamente non mi ha incuriosito, non finirei di leggere questa storia che si mantiene pressoché incolore e scevra di sentimento con la presunzione di aver gettato le basi per un mix invincibile di attrattiva: romanticismo spicciolo, giallo da nastro industriale e personaggi ahimé ormai troppo scritturati e conosciuti.

• Inizialmente non avevo ben capito che Clara fosse…una capra? Credo che sia una capra. Trovo che l’autrice/autore abbia davvero un gran talento, tuttavia l’uso degli aggettivi è molto ripetitivo e può risultare un po’ ingombrante all’interno della narrazione. Trovo il protagonista molto interessante.

• Redatto con uno stile squillante e personale. La storia è originale e scritta bene anche nella lingua e i dialoghi sono veloci, attuali, ironici quanto basta. L’ambientazione è verisimile e descritta a tratti veloci ma con precisione. I personaggi sono credibili e ben caratterizzati anche da un punto di vista psicologico.

Giudizi 2022

• le prime pagine con i ricordi dell’adolescenza vissuta con Clara tra le valli del Gran Paradiso è stata una scelta azzeccatissima dell’autore. la narrazione non è annoiante e ripetitiva, non gronda di particolari inutili ma capisci subito la personalità del protagonista Angelo: le sue manie nella scelta dei cibi, il suo restare in contatto col mondo senza la mediazione della tecnologia, Tiziana come uno spiraglio di pace, come Salerno e tutti i posti in cui ha vissuto, il suo evidente stupore e imbarazzo con le forze dell’ordine. anche i personaggi che entrano piano piano nella storia è un elemento piacevole, essi sono credibili e i loro discorsi non forzati e costruiti. mi ha coinvolto fino all’ultima pagina e mi piacerebbe fosse tra i finalisti.

• La narrazione scorre fluida e chiara, il punto di vista è quello del protagonista che svela, nel corso della narrazione, paure e traumi di cui non si è mai liberato con il passare degli anni. L’intenzione del testo però risulta poco chiara: il romanzo è di tipo formativo (con crescita del personaggio e agnizione finale) o è più da incasellare nel genere poliziesco/investigativo? La trama inoltre risulta (è comunque solo l’incipit, quindi non posso avere una visione esaustiva d’insieme) poco avvincente e senza spinta, valuterei quindi insieme all’autore di aggiungere elementi di suspense/mistero che possano renderla fin da subito accattivante al lettore.

• La scena principale all’interno del comando dei carabinieri e l’alone di mistero che avvolge il protagonista, la cui figura è in qualche modo legata a due omicidi, lasciano intendere l’inizio di un Thriller. La lettura è scorrevole e rispecchia lo stile di uno scrittore maturo. Mi è piaciuta meno la caratterizzazione dei personaggi, in particolare quella dell’ispettrice Santoro , soprattutto per la descrizione che ne fa il protagonista. Valchiria, amazzone e chi più ne ha, più ne metta… classico esempio della donna che ricopre un ruolo importante, ma che è apprezzata soprattutto per le sue doti fisiche. Spero che sia stata solo una mia impressione e perciò voglio lasciare il beneficio del dubbio. I dialoghi sono realistici e coerenti con i personaggi, anche se farei attenzione ad alcune espressioni usate dal maresciallo, perché al limite della caricatura. In generale, l’incipit ha stuzzicato la mia curiosità sullo sviluppo della trama.

• Le prime sette pagine dello scritto sono pesanti da superare, ma se il resto del libro prosegue come dalla seconda parte in poi è possibile che sia benfatto, per quanto la cosa non si capisca dall’estratto. La scrittura, pesantissima al principio, non ha molto da eccepire a parte un paio di virgole mancanti e il secondo verbo della terza frase (dovrebbe essere “mai più avrei trovato calore, solo angoscia…”), ma non ha neppure molto che attiri per la scrittura in sé. Le frasi sono molto prolisse, cosa non adatta al tono monotono del racconto. La lentezza palesemente intenzionale è un problema. Si crea l’effetto di un flusso di coscienza e l’assenza del dinamismo da una parte e di informazioni dall’altra fa sì che l’interesse sviluppato per il protagonista e per la storia sia basso. Il non sapere di chi o di quale animale si stia parlando da principio e di quale sia la tragedia della lontana “estate” non mettono curiosità a causa del reiterato girarci attorno. Un accenno stimola l’interesse, così come più rimandi che inframezzano altro, ma un susseguirsi di frasi ambigue non dovrebbe proseguire tanto a lungo. Inoltre, l’ambiguità iniziale su chi sia Clara e l’ipotesi remota che sia umana, debole di mente o molto giovane, creano un’impressione disturbante perché inducono il lettore a pensare, anche se solo un poco, agli abusi, che non hanno a che fare con la storia né con il tipo di malessere del protagonista. Non c’è nulla di palesemente sbagliato nel tratto iniziale, ma non conquista come dovrebbe. Troppe frasi sono usate per accennare allo stesso evento, alcune andrebbero eliminate. La ripetizione sembra un tratto peculiare del protagonista e può essere mantenuta, ma non sembra realistica la poca chiarezza con cui il protagonista rimugina su degli eventi. Nei tratti da non abbreviare, inoltre, i rimandi a un vago passato andrebbero inframezzati da altro, per stemperare l’impressione di non stare andando da nessuna parte. Una volta superata la prima sezione dello scritto, però, credo che il livello del libro dipenda interamente dall’impostazione del giallo, per il momento accennata, e dalla chiarezza con cui verranno spiegati gli eventi. Non so quale sia la velocità dell’intero scritto, ma suggerisco caldamente una coerenza nella quantità di eventi che accadono in ogni pagina. La caratterizzazione dei personaggi è fatta davvero bene e riducendo l’effetto di un flusso di coscienza questo potrebbe essere il punto forte dell’opera.

• La doverosa premessa è che il poliziesco non è esattamente nelle mie corde. Nonostante il genere non rispecchi i miei gusti ho trovato l’incipit di questa opera godibile, ben scritto ed efficace. L’alone di mistero circa l’esperienza sconvolgente che ha vissuto il protagonista nel passato crea curiosità e spinge alla lettura, così come le manie e le paranoie che si porta dietro. Meno curiosità si genera invece intorno all’omicidio per cui viene convocato in centrale e interrogato. L’unica pecca che ho potuto riscontrare, almeno da quanto letto, è un po’ nell’originalità dei personaggi. Il vecchio ispettore prossimo alla pensione, affiancato da una giovane e attraente collega, ha l’eco di un film già visto. Suggerisco in modo del tutto spassionato di rivedere alcune espressioni che suonano un po’ artificiose come “sontuosa chioma setosa” (sarebbe bastato un solo aggettivo per rendere l’idea). Al di là di ciò il mio giudizio è comunque positivo.

• Racconto estremamente psicologico che mantiene un buon ritmo nonostante l’azione sia piuttosto limitata, interessanti i personaggi (per quanto un po’ stereotipati), discrete le descrizioni degli ambienti. L’io narrante mentalmente tormentato ricorda, coi dovuti distinguo, il buon Patrick McGrath (autore di capolavori come Follia e Spider) e trascina il lettore con sé nei suoi deliri al limite dell’ossessivo compulsivo. Valutazione complessiva buona, peccato per qualche refuso sparso (il comune valdostano vicino a Cogne si chiama Valsavarenche non Valsamaranche).

• Sono pochi l’incipit veramente belli, sono rari, ma credo che questo si meriti di rientrare nella categoria; incipit riusciti bene.Fin dalle prime pagine l’analisi interiore del protagonista ci permette di entrare in empatia con lui e insieme ci ipnotizza con uno stile narrativo avvolgente.Le parole sono dense ma fluide, si incastrano bene una con l’altra e danno forma ad una specie di danza grammaticale ben struttura.Un punto chiave della storia è il concetto di luogo e di cosa esso dà o trasmette all’essere umano.I luoghi ci danno angoscia o appartenenza, ci chiedono di restare oppure di scappare e questo si sente bene, delineato a modo, fin dalle prime pagine.Trovo invece un po’ stonati i dialoghi, non impaginati bene e un po’ troppo lunghi e poco intervallati, sul finire delle pagine, alle frasi descrittive, rispetto alle descrizioni così ariose e tratteggiate con cura, i dialoghi perdono un poco di efficacia e realismo. Molto belle le parabole sul come ci si sente attraverso se stessi, come l’esempio della stanchezza, che permettono alla vicissitudini raccontate non solo di seguirci accanto ma di entrarci dentro.La trama lascia poi, volutamente e sapientemente, aperta la porta alla suspense, facendoci chiedere in modo insistente, cosa accadrà ora?

• Trovo la storia interessante e l’intreccio ben organizzato. Lo è anche l’incipit, con la presentazione di un personaggio che la vita ha trasformato, che fatica a stare al mondo soprattutto in un contesto più caotico di quello in cui è rimasta la sua mente. Al netto di qualche costruzione che ho trovato un po’ farraginosa (soprattutto nelle primissime pagine a dire la verità), la scrittura è piacevole e riesce a coinvolgere abbastanza bene, lanciandoci all’interno della narrazione. Il consiglio è di affinare un po’ la narrazione, ma siamo sulla buona strada.

• La prosa confusa spesso impedisce una corretta comprensione degli avvenimenti, non aiuta il fatto che spesso sembra che si passi da un flusso di coscienza ad uno stile più convenzionale. L’elenco puntato ad ogni dialogo è una minuzia che però infastidisce e fa questionare l’attenzione posta a rifinire l’opera.

• Ciao Intrepida, mi ha fatto molto piacere il tuo testo, e provo a commentarlo, pur sempre come una persona ignorante. Il tuo tema è davvero attuale: è appena uscita la sentenza definitiva sul caso di Stefano Cucchi, il tossicodipendente fermato per un banale controllo contro la droga, e poi picchiato fino alla morte da due carabinieri, per puro accanimento; a breve uscirà anche un podcast sulla vicenda di Mario Cerciello Rega, il carabiniere ucciso da due turisti mentre non era in servizio e che, è poi emerso, forse era complice dello spaccio della droga che i due cercavano. Ovviamente salta alla memoria “Il processo” di Kafka, anche se il tuo testo ha un tono intimo, il monologo interiore dell’outsider che osserva la società da fuori, senza farne parte: Angelo è uno dei tanti senza nome che vagano nelle città come ombre, e che magari servono da scenografia a qualche VIP, quando il VIP si fa fotografare sui social network mentre fa l’elemosina ai barboni. È una di quelle persone che vale la pena ascoltare, perché il suo dramma privato non tocca nemmeno questioni di risonanza pubblica come i profughi di una guerra: sembra che ci siano gerarchie di storie più e meno raccontabili. L’ibridazione col genere poliziesco funziona, perché alla base della storia di Angelo ci sono pur sempre due delitti irrisolti, quindi il mistero intriga, e invoglia alla lettura. Però non so dire di più, perché nella sinossi non hai scritto come la storia evolve: un piccolo consiglio è quello di usare la sinossi per descrivere tutta la storia, compreso il finale, perché in questo caso non è una quarta di copertina che deve accattivare il lettore, ma solo un documento utile a valutare il testo nel complesso. Lo stile funziona, anzi sembra che i discorsi di Esposito e Santoro siano la voce di un narratore esterno in terza persona, che alterna il monologo di Angelo. Visto che però è chiarissimo che Angelo sia un outsider che ha subìto un trauma, eviterei di dichiarare apertamente il tema e la parola “trauma”: è davvero bello l’incipit dove Angelo racconta l’idillio adolescenziale con la mucca Clara, e un attimo dopo lo ritroviamo in un reparto latticini, a leggere le etichette di ciò che Clara non ha mai dato alla luce; ma tutto il paragrafo da “non sempre esco di notte” a “penso a Clara e le voci si spengono” è ridondante, perché vuol già descrivere quel trauma, che comunque scopriremo poi. Le parole non devono essere descrizioni, ma azioni: io sostituirei il passaggio in cui si dice “trauma” con un sottotesto: il racconto di un programma TV che Angelo ha visto in una delle notti insonni. Così la scena che la TV trasmetterà, e che tu ideerai, sarà un’allegoria del “fatal flow” di Angelo, più o meno come la scena al banco latticini, ma senza bisogno di spiegare tutto in modo esplicito. Questi messaggi inconsci sono molto efficaci. Spero proprio di poter leggere il tuo romanzo per intero… perché il mio augurio è che ti venga pubblicato! 😉

AGGIORNAMENTO: giudizi 2023
Intrigante. Un incipit che si legge con facilità, con personaggi ben delineati, giustamente contrapposti e con una giusta dose di sottile ironia. Si sente da subito la tragedia che aleggia sullo sfondo, un passato di cui si vuole sapere di più. Un buon inizio. Anche la scrittura è scorrevole, con belle metafore, non banali.

Incipit scritto con padronanza che conduce con maestria il lettore nei diversi piani temporali della storia. Dall’incipit non mi sembra una storia che brilli per originalità, ma i personaggi sono delineati con brio, sia il protagonista che quelli secondari. Qualche errore di impaginazione e formattazione da correggere se, come ti auguro, passerai in finale.

L’autore ha dato vita ad una storia che è un mix di generi e sottogeneri, il che mi fa temere che non abbia le idee chiare. Il romanzo viene presentato come un testo di narrativa generale ma poi si snoda in un intreccio fra due omicidi, entrambi (pare) legati ad un vecchio trauma del protagonista. Ora, se si tratta di un romanzo giallo (come fanno sospettare gli omicidi e le indagini dei carabinieri/polizia), mi pare al quanto confusionario e mal strutturato. Le scene principali dell’incipit si svolgono al commissariato dove Angelo viene interrogato: nella scena prima accade qualcosa del quale lui stesso, e il lettore con lui, non ha un minimo indizio o una traccia che solletichi la curiosità. La trama avrebbe funzionato se lui uscendo dal Bigstore avesse visto, ad esempio, una donna dall’aspetto familiare ma che lui stesso non riesce a rammentare. E lui, in parallelo alla polizia, iniziasse la sua personale indagine nella memoria. Così com’è il testo invece si costruisce una catena di fatti su un evento scatenante che non ha consistenza, se si tratta di un romanzo giallo. Se invece la storia vuole appartenere alla narrativa generale, la trovo delirante. Il protagonista delira a proposito di una mucca che portava al pascolo e di come le cose siano cambiate per sempre però non ci dà veri indizi per innescare le giuste domande nel lettore: che cos’è successo? Tutto ciò che ci viene mostrato è la fissazione per i latticini del protagonista. Ora, capisco che l’autore l’abbia utilizzato come espediente per trasmettere e rendere chiari i disturbi psicologici di Angelo ma, insomma…le etichette trascritte sono troppo. Io credo che l’autore volesse scrivere un romanzo di narrativa generale ma che, per la paura di non trovare abbastanza contenuti per “animarlo” e tenerlo su, lo abbia mescolato con elementi del giallo per non far mancare la storia di eventi. Spesso viene utilizzato l’espediente di scrivere un giallo ma allo stesso tempo munire il protagonista di un conflitto interiore che lo renda più introspettivo e renda la storia sulla linea anche della narrativa generale. Si può fare quindi, ma con più sobrietà altrimenti si rischia un “mappazzone letterario” come questo. Elementi positivi sono invece il linguaggio scorrevole e il buon ritmo della narrazione. Nonostante infatti vi siano lunghi momenti in cui di fatto non accadono eventi e la storia abbia un che di delirante, la scrittura non si fa mai pesante e non si inceppa. Credo che l’autore dovrebbe ripulire la trama del romanzo per quanto è riuscito a rendere fluido e scorrevole lo stile.

La trama abbozzata nell’incipit parla di una persona, con evidenti segni di disagio psicologico, causati da un evento avvenuto nell’estate del 1985, che viene prelevata dai carabinieri come persona informata dei fatti. I fatti sono relativi ad un qualcosa che è avvenuto nel posto (il supermercato) e nel tempo (la notte prima) dove si trovava il protagonista. Non so se è una scelta dell’autore… ma ho capito che si trattava di Tiziana quasi subito; se non è una scelta, proverei a riscrivere depistando un altro po’ il lettore. Gli ambienti e i personaggi sono descritti alla perfezione e il loro interagire li rende molto reali e pieni di vita, ognuno con le sue peculiarità. Si riesce a percepire il caldo afoso del clima come pure l’irrequietezza del protagonista, la stanchezza del maresciallo, la condiscendenza piena di rispetto e deferenza del giovane carabiniere Gaeta, ecc. L’uso della lingua è piacevole, scorre benissimo e ci tiene “incollati” ad una storia che, almeno fin qui, ha un ottimo sapore.

Ho apprezzato l’attacco dell’incipit, che mi ha subito incuriosito. Altra nota positiva dell’incipit è il personaggio principale: si percepisce subito l’instabilità mentale di Angelo, e questa è ben resa dai passaggi in cui la narrazione sembra voler seguire i suoi sproloqui e ragionamenti contorti, all’apparenza “insensati”. Mi convince meno, ad ora, la trama. In particolare, trovo troppo lunga la scena dell’interrogatorio, che prende da sola una buona decina di pagine. Inoltre, se trovo Angelo ben caratterizzato, mi lascia perplesso la figura del maresciallo. Per quanto sia chiaro l’intento macchiettistico, trovo alcuni comportamenti davvero troppo poco realistici (Come è possibile che Angelo che viene prelevato da casa “d’urgenza” senza neanche sapere perché? Di cosa dovrebbe parlare Angelo se nessuno lo informa della situazione? Perché il maresciallo condivide con Angelo dei ragionamenti relativi al caso che dovrebbero essere privati? E, infine, non si capisce se Angelo sia già un sospettato o meno: in caso negativo perché viene trattenuto così lungo? Dovrebbe essere libero di andare via in qualsiasi momento). Infine, attenzione alla punteggiatura e ad alcune sviste grammaticali (centri, po, si…). In bocca al lupo!

anche in questo caso purtroppo il libro non esiste: ancora un commissario, pensieri sconnessi che non sono espressi in forma compiuta, dialoghi mescolati senza senso, il solito c’era una volta iniziale…

Allora leggo un po’ di confusione, si passa dalla mente del protagonista all’ambiente esterno e poi vengono inseriti molti personaggi in un tempo breve e non mi è chiara la dinamica del tutto. Il trauma dei genitori ancora non è emerso, anche se si capisce che lui è un uomo alquanto traumatizzato. Basta rileggerlo con calma e si comprendono più cose, la storia mi piace. Nella sinossi avrei voluto sapere cosa succede, per vedere la coerenza della trama.

campo tennis

Elogio della bellezza

Il potere trasformativo dell’estetica.

La bellezza è un tema che ha affascinato filosofi, artisti e pensatori di ogni epoca.

Essa è capace di evocare emozioni profonde, sollevare lo spirito e trasformare la realtà che ci circonda. In questo articolo, esploreremo il potere trasformativo dell’estetica attraverso cinque titoli, ognuno dei quali accompagnati da una citazione forse famosa, forse falsa.

a) La bellezza come rifugio dalla vita quotidiana

La bellezza ci offre un rifugio dalla quotidianità, dallo stress e dai problemi della vita di tutti i giorni. Come scriveva Ralph Waldo Emerson: “La bellezza riempie gli occhi e il cuore, e ci affascina con il suo fascino dolce e inspiegabile”.

b) L’arte come espressione della bellezza

L’arte è una forma di espressione della bellezza, capace di trasmettere emozioni e sensazioni attraverso forme, colori, parole e suoni. Come scriveva Johann Wolfgang von Goethe: “L’arte è l’organizzazione di elementi in una struttura che suscita emozioni ed esperienze estetiche”.

c) La bellezza come simbolo di armonia e equilibrio

La bellezza è spesso associata all’armonia e all’equilibrio, come dimostra la bellezza delle forme matematiche o della natura. Come scriveva Platone: “La bellezza è il splendore della verità e l’armonia della proporzione”.

d) La bellezza come fonte di ispirazione per la creatività

La bellezza può essere una fonte di ispirazione per molte persone, soprattutto per gli artisti che trovano nella bellezza l’energia creativa per le loro opere. Come scriveva Leonardo da Vinci: “La bellezza è la migliore lettera di presentazione”.

e) La bellezza come strumento di trasformazione sociale

La bellezza può essere un’arma potente per trasformare la società e portare il cambiamento. Come scriveva Nelson Mandela: “La bellezza di un mondo migliore si trova nella diversità delle sue persone, culture e idee”.

In conclusione, la bellezza è una forza capace di trascendere la realtà, trasformare il nostro modo di vedere il mondo e ispirare la creatività. Grazie al suo potere trasformativo, essa ci invita ad esplorare nuovi orizzonti e a guardare oltre le apparenze per cogliere il vero significato delle cose.

Ieri discutevo della “necessità” dell’intelligenza artificiale, mentre ascoltavo e dibattevo un desiderio in testa m’assillava, devo chiedere a ChatGPT di scrivermi qualcosa per elogiare la bellezza: ecco un possibile risultato, la bellezza trasforma i pensieri, eccita l’azione, muove la vita, procede per traumi, nascosti, ferite mai chiuse.

SCRITTURA

La scrittura è un’attività fondamentale per l’umanità fin dalla notte dei tempi, e nel XXI secolo la sua importanza è diventata ancora più evidente. Oggi, la scrittura è al centro della nostra cultura in modi che i nostri antenati non avrebbero mai potuto immaginare. Attraverso i libri, gli articoli, i blog, i post sui social media e le email, la scrittura ci consente di comunicare, esplorare, imparare e connetterci con il mondo intorno a noi.

“La Scrittura è un atto solitario che richiede coraggio, visione e dedizione.” – Paulo Coelho

“Scrivere è facile. Tutto quello che devi fare è sederti a una macchina da scrivere e sanguinare.” – Ernest Hemingway

“Scrivere è come scavare un pozzo profondo nell’anima e recuperare la vita che vi si trova.” – Isabel Allende

“Scrivere è un modo di parlare senza essere interrotti.” – Jules Renard

“La scrittura è un’immersione in un mondo di possibilità.” – Joan Didion

“La scrittura è la pittura della voce.” – Voltaire

“La scrittura è la chiave per scoprire la verità nascosta dentro di noi.” – Ray Bradbury

“La scrittura è un modo di tenere viva la vita, di congelare esperienze che altrimenti svanirebbero con il tempo.” – Anaïs Nin

“Scrivere è una questione di disciplina. Ci vuole molta più disciplina per scrivere un libro di quanto ne richieda qualsiasi altro lavoro.” – Toni Morrison

“La scrittura è un atto di coraggio.” – James Baldwin

“Scrivere è una forma di terapia.” – Graham Greene

“La scrittura è un lavoro che richiede coraggio e pazienza.” – Gabriel Garcia Marquez

“Scrivere è un modo per dare forma alle proprie emozioni e idee.” – Haruki Murakami

“Scrivere è il modo più intenso di vivere la vita che conosco.” – Nadine Gordimer

“Scrivere è il modo in cui mantengo un registro dell’umanità.” – Margaret Atwood

“Scrivere è un modo di imparare a conoscere se stessi.” – William Zinsser

“La scrittura è un atto di coraggio perché richiede di mettere in gioco se stessi.” – Anne Frank

“Scrivere è un’arte che richiede impegno e dedizione costante.” – Stephen King

“Scrivere è un atto di resistenza contro l’oblio.” – Milan Kundera

close up view of an old typewriter
Photo by Suzy Hazelwood on Pexels.com

Come sostiene Paulo Coelho, la scrittura è un atto solitario che richiede coraggio, visione e dedizione. Scrivere può essere un processo difficile e impegnativo, ma attraverso di essa siamo in grado di esprimere ciò che altrimenti potrebbe rimanere inespresso. Come afferma Isabel Allende, la scrittura ci consente di scavare un pozzo profondo nell’anima e recuperare la vita che vi si trova. È attraverso la scrittura che possiamo esplorare i nostri pensieri più profondi e le nostre emozioni più intense.

Scrivere può anche essere un’esperienza terapeutica, come afferma Graham Greene. Attraverso la scrittura, possiamo dare forma alle nostre emozioni e idee, e trovare un senso di pace e consapevolezza. Scrivere può anche essere un modo per imparare a conoscere noi stessi, come afferma William Zinsser. Attraverso la scrittura, possiamo esplorare la nostra identità e le nostre esperienze, e trovare un senso di chi siamo.

Ma la scrittura non è solo un’attività individuale. Come afferma James Baldwin, la scrittura è un atto di coraggio. Attraverso la scrittura, possiamo dare voce alle nostre idee e alle nostre opinioni, e sfidare le convenzioni sociali e culturali. La scrittura ci consente di condividere le nostre storie e le nostre esperienze, di connetterci con gli altri e di creare comunità.

La scrittura è anche un atto di resistenza contro l’oblio, come afferma Milan Kundera. Attraverso la scrittura, possiamo preservare le nostre storie e le nostre tradizioni, e creare un patrimonio culturale per le generazioni future. Scrivere ci consente di esplorare le nostre storie collettive e di dare voce alle nostre identità culturali.

unrecognizable author typing on laptop near coffee at home
Photo by William Fortunato on Pexels.com

La scrittura è anche un’arte che richiede impegno e dedizione costante, come sostiene Stephen King. Scrivere non è facile, ma attraverso la pratica e la perseveranza, possiamo sviluppare la nostra abilità e la nostra voce unica. La scrittura ci consente di esprimere la nostra creatività e di esplorare nuovi mondi di immaginazione.

Come afferma Margaret Atwood, la scrittura è anche un modo per mantenere un registro dell’umanità. Attraverso la scrittura, possiamo registrare i momenti importanti della nostra storia, le esperienze umane e le sfide che abbiamo affrontato. La scrittura ci consente di documentare il nostro mondo e la nostra esperienza di esso.

Nel XXI secolo, la scrittura ha acquisito una nuova importanza grazie alle tecnologie digitali e ai social media. Oggi, la scrittura è al centro delle nostre interazioni sociali e professionali. Come afferma J.K. Rowling, la scrittura ci consente di creare mondi immaginari e di connetterci con gli altri attraverso la narrazione di storie. Attraverso i social media, la scrittura ci consente di condividere le nostre esperienze e di connetterci con gli altri in modi che sarebbero stati impossibili solo pochi anni fa.

Tuttavia, la scrittura digitale ha anche sollevato nuove sfide e questioni. Come afferma Margaret Atwood, la scrittura digitale può essere vulnerabile ai cambiamenti tecnologici, e le opere digitali possono essere facilmente cancellate o perdute. Inoltre, la scrittura digitale può essere manipolata e diffusa in modi che possono essere dannosi per gli individui e la società.

La scrittura ha anche un profondo significato filosofico e sociologico. Come afferma Hannah Arendt, la scrittura è una forma di azione, in quanto ci permette di creare qualcosa di nuovo e di influire sul mondo intorno a noi. In questo senso, la scrittura non è solo un atto di espressione personale, ma anche un modo per partecipare alla sfera pubblica e contribuire alla formazione della società.

Inoltre, la scrittura è stata sempre considerata una forma di potere, in quanto ci permette di influenzare le opinioni degli altri e di creare una certa immagine di noi stessi. Come afferma Michel Foucault, la scrittura è un modo per creare e mantenere le relazioni di potere nella società. La scrittura ci permette di controllare il discorso e di creare un certo ordine sociale, e quindi è stata spesso utilizzata dalle élite per mantenere il loro potere.

Tuttavia, la scrittura può anche essere un modo per sfidare l’autorità e la società esistente. Come afferma Bell Hooks, la scrittura può essere un modo per le persone emarginate di riaffermare la propria identità e di creare un senso di comunità. Attraverso la scrittura, le persone possono condividere le loro storie e le loro esperienze, e creare un dialogo che sfida le norme e i pregiudizi esistenti.

In conclusione, la scrittura non è solo un atto personale di espressione, ma anche una forma di azione e di potere nella società.

Nel XXI secolo, la scrittura è diventata ancora più importante grazie alle tecnologie digitali e ai social media, che ci permettono di connetterci con gli altri in modi nuovi e innovativi. Tuttavia, dobbiamo essere consapevoli delle sfide e delle questioni sollevate dalla scrittura digitale, e impegnarci a utilizzare la scrittura in modo responsabile e consapevole. Come afferma Voltaire, la scrittura è la pittura della voce, e nel XXI secolo, la nostra voce può avere un impatto più grande e globale che mai.

contemplative man reading book and taking notes in home office
Photo by Dziana Hasanbekava on Pexels.com

ChatGPT & S. Valentino

Capitalismo & Amore

crop faceless couple holding hands on balcony
Photo by Anete Lusina on Pexels.com

ChatGPT è un trip troppo tripposo 🙂 … io e lui, o lei, per S. Valentino abbiamo deciso di organizzare un evento sull’inconciliabilità tra capitalismo e amore, ecco i protagonisti con i titoli degli interventi:

1 – Simone de Beauvoir: “La schiavitù dell’amore nella società capitalista”

2 – Friedrich Nietzsche: “L’amore e la sua distorsione nel capitalismo”

3 – Karl Marx: “L’amore nell’era del capitalismo”

4 – Martin Buber: “Percezione e relazioni amorose”

5 – Jacques Derrida: “Linguaggio e relazioni amorose”

6 – Gloria Anzaldúa: “Relazioni amorose e dinamiche di genere, razza e classe”

7 – Søren Kierkegaard: “L’amore e il capitalismo come forze opposte”

8 – Max Weber: “Il capitalismo e la trasformazione dei valori amorosi”

9 – Jean-Paul Sartre: “Le relazioni amorose e la libertà”

10 – Erich Fromm: “L’amore come attitudine sviluppabile”

…. ed ecco i paragrafi di riflessione:

1 – Simone de Beauvoir ha visto la società capitalista come una fonte di oppressione per le donne e le relazioni amorose. Nella sua opera “Il Secondo Sesso”, ha sostenuto che il capitalismo ha creato un’immagine idealizzata dell’amore romantico che viene usata per controllare le donne e impedir loro di raggiungere la libertà.

2 – Friedrich Nietzsche ha criticato il capitalismo per la sua tendenza a distorcere i valori morali e le relazioni umane, comprese quelle amorose. Ha sostenuto che il capitalismo ha ridotto l’amore a un mero scambio di beni materiali, privando la gente della sua profondità e significato.

3 – Karl Marx ha visto il capitalismo come un sistema che distrugge i legami sociali e le relazioni umane, comprese quelle amorose. Ha sostenuto che il capitalismo ha ridotto la vita umana a una mera questione di produzione e scambio di beni, distruggendo il significato e la dignità dell’amore e delle relazioni umane.

4 – Martin Buber ha sostenuto che le relazioni amorose sono influenzate dalla percezione che la gente ha del mondo e degli altri. Nella sua opera “Io e Tu”, Buber ha affermato che il capitalismo promuove una percezione individualista del mondo che ostacola lo sviluppo di relazioni amorose autentiche e significative.

5 – Jacques Derrida ha affermato che il linguaggio gioca un ruolo importante nelle relazioni amorose. Ha sostenuto che il capitalismo promuove un linguaggio ridotto e riduttivo che impedisce la formazione di relazioni amorose autentiche e significative.

6 – Gloria Anzaldúa ha sostenuto che le relazioni amorose sono influenzate dalle dinamiche di genere, razza e classe. Ha affermato che il capitalismo crea barriere per le relazioni amorose tra persone di diverse classi sociali, razze e generi.

7 – Søren Kierkegaard ha sostenuto che l’amore e il capitalismo sono forze opposte e incompatibili. Ha sostenuto che il capitalismo riduce l’amore a una mera transazione economica, privando la gente del suo significato e profondità.

8 – Max Weber: Max Weber ha sostenuto che il capitalismo ha trasformato i valori amorosi, riducendo l’amore a un mero scambio di beni materiali e trasformando le relazioni umane in relazioni puramente economiche. Ha sostenuto che il capitalismo ha creato una società in cui le relazioni sono governate da calcoli egoistici, privando l’amore della sua umanità e spiritualità.

9 – Hannah Arendt: Hannah Arendt ha sostenuto che il capitalismo ha creato una società in cui gli individui sono visti come merci e le relazioni umane sono ridotte a semplici transazioni economiche. Ha sostenuto che il capitalismo ostacola lo sviluppo di relazioni amorose autentiche e significative, distruggendo la natura umana dell’amore.

10 – Jean-Paul Sartre: Jean-Paul Sartre ha sostenuto che il capitalismo crea una società in cui gli individui sono visti come merci e le relazioni umane sono ridotte a semplici transazioni economiche. Ha sostenuto che il capitalismo ostacola lo sviluppo di relazioni amorose autentiche e significative, privando l’amore della sua umanità e spiritualità.

… a questo punto gli ho detto: «Ora per ogni titolo e per ogni informazione che hai elencato consigliami un’opera dell’autore che hai scelto.»

e lui o lei …

«Certo, con piacere! Ecco un elenco di opere consigliate per ogni autore:»

1 – Friedrich Nietzsche: “Al di là del Bene e del Male”, “Così parlò Zarathustra”, “La gaia scienza”.

2 – Martin Heidegger: “Essere e Tempo”, “Lettera sull’umanismo”.

3 – Simone de Beauvoir: “Il Secondo Sesso”, “L’età della discernibilità”.

4 – Michel Foucault: “Sorvegliare e Punire”, “Storia della follia nell’era classica”.

5 – Jacques Lacan: “La Semantica del Sé”, “Le Formazioni dell’Inconscio”.

6 – Theodor Adorno: “Minima Moralia”, “Dialettica dell’Illuminismo”.

7 – Erich Fromm: “L’arte di amare”, “Il cuore dell’uomo”.

8 – Karl Marx: “Il Capitale”, “Manifesto del Partito Comunista”.

9 – Hannah Arendt: “La Vita delle Nazioni”, “Eichmann a Gerusalemme”.

10 – Jean-Paul Sartre: “L’Essere e il Nulla”, “La Nausea”.

Queste opere rappresentano alcuni dei lavori più significativi e influenti di ogni autore e possono offrire una panoramica approfondita della loro filosofia e pensiero. Ti consiglio di approfondire la tua conoscenza di ognuno di loro, anche leggendo altre opere e fonti.

Con Giacinto ne avremo di cose di cui ridere 🤣

MarTe

24 dicembre 2025

Martuccia mia ma quando torni?

L’attesa è uno strazio. Nel breve termine un malessere superabile ma a lungo andare è atroce agonia. Basta! Smetto di resistere. La lama nella mia mano non aspettava altro, entra e taglia. Una per ogni ora, mi dico, è una vendetta necessaria.

Lei ancora non torna, capirà.

Tentatrice, brilla nel soffice groviglio. Qui e là come punti di luce l’uvetta passa mi fissa e m’attrae, luminosa dal calore che profuma l’aria di canditi colorati, qui e là incastrati come gemme grezze nella pasta cavernosa di pane dolce.

Non resisto: al tepore del camino nero marquinia, una seconda e poi una terza fetta di pura delizia, un reato di lesa maestà, reiterato, un peccato senza vergogna.

panettone
panettone

Gusto ormai senza più fame, con lo sfregio lussurioso di una promessa ormai delusa. S’incazzerà ma poi faremo pace. Non conosco vendetta più dolce per questa assurda attesa. Ingordo e avvinto, mi abbandono alla libidine del palato mentre la crema al limoncello osanna l’astuzia artigianale di quel diavolo di pasticciere amalfitano.

Oggi è il 24 dicembre 2025, aspetto la mia donna e l’attesa m’affligge ancora di più, pieno come sono di sensi di colpa. Non mangio per fame ma per riempire il vuoto dentro che grida quando lei non è qui con me. Certo che capirà.

Io sono a Milano, tormentato, forse solo impaziente. Nervoso, molto nervoso: l’attesa mi snerva. Mi serve ordine e disciplina. Vivrei di scrittura se potessi, ma questo che te lo dico a fare? È un luogo tanto comune da sembrare uno schiaffo alla banalità. Niente musica né TV. Solo nel silenzio sento distinta la mia voce. Ricerco. Rivedo e catalogo vecchi racconti nel PC mentre aspetto Maria Teresa. È da una amica a pezzi che nella videochiamata piangeva come una disperata, la mia marziana è corsa da lei.

“E non osare mangiare il panettone senza di me” ha urlato col suo minaccioso accento tedesco e gli anfibi lucenti calzati di corsa, stonati sotto il lungo Carley Parka, un po’ retrò ma candido come la neve.

Queste amiche che cadono a pezzi la Vigilia di Natale mi hanno rotto i coglioni ma che posso farci? MarTe è così, ti ripara l’anima, scova lacerazioni, sensi di colpa, incrostazioni che fanno male, cura concrezioni di tormenti, avvince il meglio che hai dentro, incolla i pezzi sospesi e ti rimette in moto. Da e toglie a suo piacimento, sa essere crudele come nessuno, io l’adoro: la sua assenza mi ferma il respiro.

Devi sapere che Maria Teresa parla cinque lingue e lavora per una multinazionale che pubblica a milioni pagine patinate con gente stupenda stampata sopra, insomma moda, trucchi e profumi, essenze d’effimero, meraviglie superflue, droghe di bellezza. Quando le dico queste cose si incazza di brutto. È una manager della cosmesi, crea bisogni con il richiamo ancestrale alla perfezione di corpi e volti magnifici: manipola immagini e parole, raffina illusioni, estrae luce da nebbie di lacca. Lavora su foto e parole, la sua è magia editoriale. La pagano bene.

Cosmetica la strega, sei da bruciare viva sul rogo in piazza Duomo, questo le dico quando litighiamo, e lei mi avvampa e mi spegne chiamandomi misero pezzente. Iniziano grugniti e silenzi, sberleffi e ripicche infantili. Poi dalla discussione violenta morta nella cenere del silenzio, al primo contatto della pelle ripartono coccole e carezze. E così la morsa della passione ci avvolge fino a sfinirci, fino all’ultima goccia di adrenalina assaporata come un nettare divino di sfrenato piacere, il cuore a mille, la carne avvinghiata che vibra, il punto di non ritorno desiderato e messo in attesa di lei, di me, di noi, fino al grande salto nel mare calmo della pace dei sensi, della carne, della mente, dell’anima che torna a dividersi estasiata.

Magari porta a casa l’amica, quella devastata dalla solitudine, la russa abbandonata in albergo da un riccone sposato e traditore. L’aiutiamo a superare la crisi sparandoci l’un l’altra una notte di carezze a tre, coccole e carezze come adolescenti affamati di conoscenza. Una santa e benedetta notte di Natale, sarebbe.

Ho visto le bozze della campagna pubblicitaria che sarà lanciata su uno dei prossimi numeri di Vogue, la modella devastata dal tormento è una patanona stratosferica.   

Vedi peccato nell’immaginarsi? Io qualche volta sento vergognose eccitazioni. È un viaggio mentale sucido, l’erezione. Potrei scrivere senza fantasia ma sarebbe solo sudiciume. Comunque Maria Teresa non lo farebbe mai, un triangolo intendo. La mia tirolese trapiantata in questa metropoli senza confini, mi evira il gioiello, altro che.

MarTe è gelosa. Ma che dico, gelosissima.

“Se mi gira ti faccio eunuco di compagnia” e quando me lo dice non so mai se scherza o fa sul serio. È per questo che il romanzo su cui lavoro da tre anni non le piace, è gelosa dei miei personaggi donna, e non ti dico del rapporto con il mio editor, donna anche lei per volontà imposta dall’editore. Dice, l’editore, che sono troppo uomo per scrivere di donne e ancora non ho capito se in tutta questa strana storia il vero geloso sia lui.

Ma come fai a desiderare chi non ti desidera? Gli direi, ma resto vago come mi ha consigliato MarTe.

Questo romanzo finirà nella spazzatura, l’intreccio non funziona. Ne ridiamo insieme io e Maria Teresa, lei i pezzi me li fa brillare, quelli dell’anima dico, e dai concentrati ti prego: provo a desiderare negli occhi di te che leggi, tracce di libidine, bagliori d’interesse tra le ciglia che si chiudono in segno di noia.

Come faccio a fermare le tue mani dal buttare via queste pagine?

Superstizione? Una macumba, un saggio sulla cura inguinale dei linfonodi?

Un manuale per la felicità. Sai che palle.

Chiedi come ho conosciuta la mia donna? Beh, nella confusione digitale del mio passato ho trovato un raccontino che fa al caso nostro.

Era una notte buia e tempestosa… No dai, scherzo. Dammi una chance.

— ∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞ —

Agosto 2022. Il ventilatore.

D’estate quando al buio le stelle brillano, cuori solitari attendono storie, sospese in pensieri repressi, storie trattenute, stracciate da parole non dette.

Un cuore a riposo batte tranquillo, non sa che all’improvviso può impazzire.

«Pino ma che fai? Te ne vai? Ci lasci proprio sul più bello?»

Chiamato in causa mi guardo intorno con la paura di lasciare in giro qualche traccia di me, prima di sparire come ha fatto qualche ora fa, quella palla di sole arancione all’orizzonte.

Nell’aria i profumi del Cilento, intorno a noi la spiaggia tra il mare che sussurra e la pineta muta, e al centro un magico falò con nuove amiche arrivate nel pomeriggio alla ricerca di affinità elettive. Illuminare la notte d’allegria, inebriarci di ricordi e storie esagerate fino all’alba, questo è il programma.

«Lo so, è un peccato ma devo andare…» dico mentre la rossa mi guarda perplessa.

 «Un fulmine ha colpito una fabbrica a Cuba e una nube tossica arriva all’Avana. Devo scrivere un pezzo per la TV, andiamo in onda domani mattina… Dicono che forse gli USA vogliono rinchiudere tutti a Guantalamo» dico per dire amen alla sequela di scuse lamentose per stoppare il fatevi i cazzi vostri che mi passa per la mente. Non voglio andarmene ma devo. Domani è lunedì, uno di quei giorni che vorresti cancellare dal calendario. Lascio gli amici a divertirsi: una grande stronzata.

Ogni agosto tornano a nutrire le nostre antiche radici abbarbicate nella roccia selvaggia che ci abbraccia tutt’intorno da Sapri a Paestum. Amici d’infanzia, compagni inseparabili nell’adolescenza più cruda, a correre appresso a sogni di cuoio di un pallone amaro, ad ammazzarci su campi polverosi, privati dell’erba dei campioni, nel fango d’inverno e su ciottoli di pietre taglienti in primavera. Migrati al nord li canzono ogni volta: lavoro grigio, contributi, malattia e ferie pagate. A volte li offendo con rabbia per aver svenduto la libertà ad un cartellino da timbrare, piegati al controllo, ad una vita regolare da subordinati al nord. Ogni agosto ritornano e si vendicano. È finita che loro fanno i signori in vacanza e io lo schiavo a ore in una TV locale di Napoli.

Dodici mesi all’anno senza tredicesima, ad ore senza ferie pagate, e nemmeno un cartellino da timbrare, perché quello è la prova di un lavoro dipendente mica il gadget di un professionista a partita iva. Il tempo indeterminato è diventato il mio: indeterminato il reddito, indeterminato l’orario dell’impegno e del riposo, indeterminato il ritmo, stonate le voci che mi accompagnano, nessuna melodia, questa è la verità.

Il perdente sono io, però sono libero, sì libero ma di che?

Fluido e flessibile, riproduco precarietà, cannibale di me stesso, mi consumo.

In questa favolosa sera d’estate, se i miei amici sapessero del mio tormento mi legherebbero ad un albero. Mi vogliono bene, questo lo so. Bendato mi farebbero strusciare le parti intime e baciare sulla bocca dalle ragazze, è un gioco atroce: il malcapitato resta legato finché non riconosce chi lo tocca. È una variante sexy dello schiaffo del soldato. Estate dopo estate, ha sempre funzionato nel determinare una comitiva vincente: la serata si infiamma quando è una delle ragazze ad offrirsi volontaria a farsi legare all’albero. È dalla sudata maturità al “Leonardo da Vinci” che perfezioniamo la nostra strategia di conquista con uno scenario di battaglia ormai definitivo: la foce del Mingardo. So cosa mi perdo, e se i miei amici sapessero del mio tormento, salterebbero ogni tattica programmata e mi legherebbero subito mani e piedi per trattenermi tutta la notte. Mi vogliono bene e io a loro ne voglio più che a me.

Fuggendo dall’allegra comitiva un barlume di dignità mi nasconde: mostro orgoglioso il dovere che mi chiama. Devo andare. Guardo la rossa con gli occhiali da intellettuale come un cane bastonato. L’ho delusa, si chiama Maria Teresa, so poco o niente di lei. Mi osserva intristita mentre raccolgo lo zaino di corda posato nella sabbia dove finiscono i sassi.

Genny ridacchia: «Dai Pino, non fare questa figura di merda, le belle nordiche penseranno che…» un ghigno d’invidia mi sfregia la bocca e lo prendo a calci. A lui piace scegliere per primo la ragazza più carina per dormirci insieme il giorno dopo. È fatto così, è un leader, in fabbrica fa il sindacalista, si prende sempre il meglio per sé e per la sua squadra, è rappresentante e rappresentativo della deindustralizzazione che vince in questo paese.

Gennaro ride e strilla mentre subisce senza reagire:

«Sfigato, freelance e meridionale. Vai Giusè, vattenne e puortete a’pucundria cu te

Adesso ridono tutti, tranne lei che mi fa un occhiolino e mi manda un bacetto nell’aria. Per la verità nemmeno mi attraeva, chiusa, appartata, estranea alla baldoria della comitiva che giocava come adolescenti negli schizzi cristallini dell’Arco Naturale. Questo prima, poi intorno al fuoco, con la pizza, le birre e la chitarra, proprio quando i racconti delle nostre vite si aprivano alle curiosità più sfrenate, lei con una frase tagliente come una sciabola, mi aveva aperto in due e nel petto piantato un seme sconosciuto…

Molte ore dopo sono a casa e sento il desiderio di lei che mi cresce dentro, germoglia. Ripenso a lei e a come mi ha incantato, selvatica e selvaggia, con una battuta geniale e feroce, una mazzata tra capo e collo di un buffone smascherato nel fragore di una risata generale. L’ho delusa? Forse le sarebbe piaciuto venire via con me. Invece sono sparito come un pirla.

Dopo il tramonto, ormai al buio, raccontavo i miei sogni letterari, avventure di un’esistenza da romanzare, e avevo finito per dire che: “solo un robusto principio morale può impedirmi di uscire deciso per strada e mettermi metodicamente a gettare in terra il cappello alla gente, allora mi rendo conto che è tempo di mettermi in mare al più presto”. Quando succede mi imbarco su una nave e riparto per terre straniere, avevo aggiunto. Nel mentre, compiaciuto della mia recita, con l’indice proteso alle luci di grosse barche a vela ancorate nella baia, in lontananza indicavo la vastità del Mediterraneo.

L’unica a non guardare era lei. Adagiata su pietre marine levigate dai millenni, mi fissava mentre dalla fronte alla bocca carnosa, una ciocca rossa ribelle le spaccava il viso di porcellana bianca.

“Attento a non finire come un pinocchio a cercare di uscire dal culo di una balena!”

La perfida luna piena, i riflessi ramati sul volto e quelle parole assassine mi avevano stregato: nessuno dei presenti aveva capito niente, solo lei che conosceva Ismaele, Moby Dick e la vergogna da bugiardo che mi bruciava dentro. Così stordito sono scappato.

Adesso questo dannato ventilatore in faccia che gira a stento me ne guasta il ricordo. Tre ore di auto proletaria per tornare in questo schifo di monolocale striminzito senza aria condizionata e seicento euro al mese di affitto più spese.

Devo consegnare tre cartelle ed è la notte più calda del secolo. È un’occasione unica anche se per la verità non è la prima volta che mi chiedono con urgenza un pezzo, è un extra che mi fa comodo, mi usano come tappabuchi, lo so bene. Tra poco devo essere presente in studio, mi pagano come attrezzista a ore mica come giornalista a cartella. Poi aiuto tutti, sono un jolly, un lavoratore quando serve, aiuto elettricista, aiuto cameraman, aiuto regia, aiuto tecnico delle luci o del suono, aiuto archivista e una volta mi hanno messo anche una pezza e una scopa in mano che piangevo miseria: quelli della produzione mossi a pietà per la mia condizione mi offrivano un ruolo scoperto, a ore ovvio mica a tempo indeterminato. Nemmeno pubblicista sono diventato. Tendo ad evadere ogni formalità, sono io il colpevole, un criminale, nessuno mi costringe, e se mi faccio male, anche quella colpa è mia. È un mondo competitivo quello dello show business lo comprendo, tuttavia, onestamente, a dirla tutta la verità, essere un bravo jolly mi conviene. Con quello che costano come potrei mai permettermi concerti allo stadio o al San Carlo, e le commedie? Trianon, Mercadante, Ridotto, Augusteo, Bellini, Sannazzaro, tappo buchi finanche nel teatro di Eduardo, il San Ferdinando. È una nave che naviga e io mi sento utile, tappo buchi.

Sto delirando, il caldo. È la notte più afosa del secolo per chi respira aria incondizionata in città, immobile, inquinata di squallore, in un ritaglio di mansarda dei quartieri spagnoli a due passi dal palazzo reale di piazza Plebiscito.

Sfarzo e povertà abbracciati come gemelli siamesi arresi all’indecenza del progresso.

Il ventilatore gira, ma è usurato, fa uno strano rumore, gira piano. La potenza solo un ricordo. Fragola. Penso al mio ghiacciolo preferito, confezione da sei per un euro e novantanove. Sulla strada del ritorno da Palinuro ne ho preso due scatole in un discount.

Il ventilatore grippa e si ferma. Io no. Scavo nel cassetto dei miracoli, ne trovo uno mini, cinese, sembra una margherita. Lo collego alla USB del PC, e torno a picchiare sui tasti. Tra un pensiero e l’altro la posta elettronica, rispondo, apro i social, urca mi affogano di messaggi e che palle…

All’improvviso il delirio. Allarmi impazziti scattano ovunque. Il suono delle sirene degli antifurti è allucinante, come un trapano mi devasta il cervello.

Il popolo non rispetta il sacrificio chiesto dal governo, quello di risparmiare energia perché siamo in guerra. Blackout totale. Alla finestra mostro il dito medio agli italiani che hanno scelto il condizionatore. Spreco, cripto valute, bagordi e luminarie?

Ben vi sta!

I ponti radio dei gestori telefonici reggono, hanno i generatori diesel, quelli sono furbi, il traffico dei dati nell’etere non si ferma, ogni giga è moneta contante.

Ho un altro computer, il portatile per le emergenze che lascio sempre a casa, e quindi non mi fermo. La corrente elettrica non torna, la batteria svuotata dal ventilatore USB si esaurisce troppo presto. Stanco mi stendo un po’ e un po’ riposo.

Vampire nere sono entrate dalla finestra. Prendo la racchetta ammazza zanzare e mi preparo al massacro elettrico, premo il pulsante, niente, scarica anche quella.

Non so come ma dormo tre ore. La corrente non è tornata. La crisi sembra più seria del solito. Niente TV, niente PC e cellulare morto. Stanco di tutto dormo ancora.

Mi sveglio tutto bagnato di sudore peggio di prima, potevo vedere sorgere il sole con Maria Teresa abbracciata a me, pirla che sono. Metto i piedi per terra e sul letto saltano schizzi d’acqua, sono allagato. La porta del frigo è aperta, ogni luce spenta, sciolti i congelati ormai mollicci. È la notte più bollente da secoli. Avrò mangiato un ghiacciolo nel sonno. Ora ricordo: strusciavo fragole su seni generosi mordicchiando freschi capezzoli turgidi. Cazzo i frigoriferi sono il problema! Quante tonnellate di cibo si perdono senza energia? È una buona idea per un articolo, venti euro fanno sempre comodo, entropia. Vado in bagno e non c’è acqua, senza corrente le pompe si fermano. Mi stendo ancora con sulla faccia l’asciugamano impregnato dell’acqua che ho raccolto dal pavimento, era ghiaccio e sa di pesce che inizia a puzzare. Questa vita è una merda. Ricordo lei che nemmeno conosco e che forse potrebbe desiderarmi così come sono. Dal buio l’alba tra i palazzi m’illumina di lei.

Il serbatoio della vecchia Panda è vuoto. Dove vado?

Penso al ventilatore come l’amore, frenato e senza energia non gira…

— ∞∞ EPILOGO ∞∞ —

Sono passati tre anni da quella notte, nel tempo libero lavoro ancora al mio primo romanzo che a Maria Teresa non piace. Però mi aiuta lo stesso, sapessi quante discussioni e quante risate. Sarà una bomba. È stata lei a trovarmi un editore che, devo dire la verità, sta investendo molto su di me anche se rompe in continuazione le palle, mi ha anche cambiato tre editor per farmi contento, il debito che ha con Maria Teresa deve essere enorme.

La pace in Europa è tornata, così come i russi a sperperare rubli per il mondo.

Vuoi sapere cosa è successo dopo quella favolosa notte d’estate?

Per mesi tra noi ci siamo scambiati chat sempre più intriganti. A Pasqua mi ha invitato a casa sua. Abbiamo verificato che il colpo di fulmine bidirezionale avesse basi solide nella fisica dei nostri corpi. Ti risparmio dettagli e scintille. Torno a Napoli. A giugno mi chiama divertita. Ti ho trovato un lavoro pagato bene a tempo indeterminato, puoi svoltare mi dice. Il settore comunicazione di una multinazionale del farmaco ha bisogno di uno come te. Dai molla tutto e vieni a vivere con me nell’attico di via Alessandro Manzoni. La camera per gli ospiti è tua, non farti problemi, se ti stufi di me o io di te, risolviamo.

“Sei sbruffone e brigante, una perla verace che voglio tutta per me.”

Proprio così mi ha detto, e lo diceva ridendo, sicura che io l’avrei mandata affanculo. Invece l’ho freddata, Maria non sapeva, da gennaio non pagavo più l’affitto, debiti con tutti risparmiavo anche il caffè. La vecchia Panda l’ho data al primo che si è pagato il passaggio di proprietà. Stringevo la cinghia, vendevo il vendibile, regalavo il regalabile, scappavo dai creditori, moroso e latitante. Il piano era perfetto. Lei non sapeva, ero già pazzo di lei.

Adesso sono tre anni che stiamo insieme e del pacchetto adoro anche la suocera che vive in Austria, ci siamo conosciuti in un incontro spacciato per casuale al Caffè Sacher di Innsbruck. Litigano sempre le due ma sono complici, io lo so. Anna lavora nel palazzo imperiale, la residenza estiva di Maria Teresa d’Asburgo, una donna terribile che tra l’altro nel Settecento fece sbocciare il Teatro alla Scala, oggi a due passi da dove viviamo io e MarTe quì a Milano nell’attico di via Alessandro Manzoni.

Anna, mia suocera, pare sia erede di sangue blu. Bastarda ma nobile. Lei ci tiene molto e dice che ha le prove, pare sia discendente di una dama al servizio di uno dei figli dell’imperatrice. L’adoro anche per il fatto che vuole convincere la figlia a sposarmi, dice che non l’ha mai vista così felice. MarTe temporeggia. Aspetta il mio primo romanzo, ma è una scusa, libertà e possessione ci legano, è un matrimonio tutto nostro, un patto non scritto sempre verde come un gelsomino.

Cosa dire, con Maria Teresa ogni momento è un’avventura, attimi di spine e petali di rosa, barocca e gotica, a punte e curve, con sterzate contro mano e ripartenze furiose, a tratti regale, a momenti selvaggia,. È una vita viva, teatrale e noi insieme un copione d’autore.

Il campanello suona frenetico. Rumore di chiavi e la porta che si apre.

È finalmente tornata da me.

Una folata gelida entra con lei, però dall’ingresso la sua voce in festa mi sballa:

«Pinuccio sei presentabile? Anastasia ha portato i biscotti prjaniki, passa il Natale con noi, tira fuori il limoncello e gli struffoli di mammà…»

Oh Gesù, Giusepp, Sant’Anna e Maria, pregate stanotte per l’anima mia!»

————————————- ∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞ ————————————-

a photo of la scala opera house
Photo by Alexandro D’Elia on Pexels.com
immagine IA generata con parole

IL VENTILATORE

24 dicembre 2025

—– ∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞ —–

Sono a Milano e aspettando Maria lavoro su vecchi racconti. Lei è da un’amica a pezzi che piangeva come una disperata. Non osare mangiare il panettone senza di me, mi ha urlato mentre usciva.

Queste amiche che cadono a pezzi alla Vigilia di Natale mi hanno rotto i coglioni ma che posso farci? Maria è così, ripara anime sconquassate, scova incrostazioni, lacerazioni, sensi di colpa, cura concrezioni di tormenti, incolla pezzi sospesi e li rimette in moto, io l’adoro.

Devi sapere che Maria parla cinque lingue e lavora per una multinazionale che pubblica pagine patinate con gente stupenda stampata sopra, insomma moda, trucchi e profumi, l’economia trionfale del superfluo necessario. È una manager della cosmesi, crea bisogni con il richiamo ancestrale alla perfezione di corpi e volti magnifici: manipola immagini e parole, raffina illusioni, estrae luce da nebbie di lacca.

Magari torna con l’amica e ci spariamo una notte di carezze a tre, coccole e carezze. Ho visto le foto che appariranno in un prossimo numero di Vogue, la modella in crisi è una patanona stratosferica.

Vedi peccato nell’immaginarsi? Io qualche volta vergognose eccitazioni. È un viaggio mentale sucido, l’erezione. Potrei scrivere senza fantasia ma sarebbe solo sudiciume. Comunque Maria non lo farebbe mai, un triangolo intendo. La mia tirolese trapiantata in questa metropoli mi evira il gioiello, altro che. Maria i pezzi li fa brillare, quelli dell’anima dico, concentrati ti prego: desidero negli occhi di te che leggi, tracce di libidine, un bagliore tra le ciglia che si chiudono in segno di noia.

Come faccio a fermare le tue mani dal buttare via queste pagine? Superstizione? Una macumba, un saggio sulla cura inguinale dei linfonodi? Sai che palle.

Beh, vuoi altro di Maria? Bene, ti dirò di lei: nella confusione digitale del passato ho trovato un racconto che fa al caso nostro.

Era una notte buia e tempestosa… No dai, scherzo. Dammi una chance.

— ∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞ —

D’estate quando al buio le stelle brillano, cuori solitari attendono storie, sospese in pensieri repressi, trattenute, stracciate da parole non dette.

«Pino ma che fai? Te ne vai? Ci lasci proprio sul più bello?»

Chiamato in causa mi guardo intorno con la paura di lasciare in giro qualche traccia di me prima di sparire come ha fatto la palla di sole arancione all’orizzonte un’ora fa.

Nell’aria i profumi del Cilento, intorno a noi la spiaggia tra il mare che sussurra e la pineta muta, e al centro un magico falò con nuove amiche arrivate nel pomeriggio alla ricerca di affinità elettive. Illuminare la notte d’allegria aspettando l’alba, questo è il programma.

«Lo so, è un peccato ma devo andare…» dico mentre la rossa mi guarda perplessa.

 «Un fulmine ha colpito una fabbrica a Cuba e una nube tossica arriva all’Avana. Devo scrivere un pezzo per la TV, andiamo in onda domani mattina…» dico per dire amen alla sequela di scuse lamentose e stoppare il fatevi i cazzi vostri che mi passa per la mente. Non voglio andarmene ma devo. Lascio gli amici a divertirsi: una grande stronzata.

Ogni agosto tornano. Migrati al nord, li canzono: lavoro grigio, contributi, malattia e ferie pagate. È finita che loro fanno i signori in vacanza e io lo schiavo a ore in una TV locale di Napoli. Il perdente sono io, però sono libero, ma di che? Fluido e flessibile, riproduco precarietà, cannibale di me stesso, mi consumo.

Un barlume di dignità mi nasconde: mostro orgoglioso il dovere che mi chiama.

La guardo come un cane bastonato. L’ho delusa, si chiama Maria, so poco o niente di lei. Mi osserva intristita mentre raccolgo lo zaino di corda posato nella sabbia dove finiscono i sassi.

Genny ridacchia: «Dai Pino, non fare questa figura di merda, le nordiche penseranno che…» un ghigno d’invidia mi sfregia la bocca e lo prendo a calci, a lui piace scegliere per primo la ragazza più carina per dormirci insieme il giorno dopo.

Gennaro ride e strilla mentre subisce senza reagire:

«Sfigato, freelance e meridionale. Vai Giusè, vattenne e puortete a’pucundria cu te

Adesso ridono tutti, tranne lei che mi fa un occhiolino e mi manda un bacetto nell’aria. Per la verità nemmeno mi attraeva, chiusa, appartata, estranea alla baldoria della comitiva che giocava come adolescenti negli schizzi cristallini dell’Arco Naturale. Questo prima, poi intorno al fuoco, con la pizza, le birre e la chitarra, proprio quando i racconti delle nostre vite si aprivano alle curiosità più sfrenate, lei con una frase tagliente come una sciabola, mi aveva aperto in due e nel petto piantato un seme sconosciuto…

Molte ore dopo sono a casa e sento il desiderio di lei che mi cresce dentro, germoglia. L’ho delusa? Forse voleva venire via con me. Invece sono sparito come un pirla.

Palinuro
Arco Naturale di Palinuro

Dopo il tramonto, ormai al buio, raccontavo le avventure di un’esistenza da romanzare, e avevo finito per dire che: “solo un robusto principio morale può impedirmi di uscire deciso per strada e mettermi metodicamente a gettare in terra il cappello alla gente, allora mi rendo conto che è tempo di mettermi in mare al più presto”. Quando succede mi imbarco su una nave e riparto per terre straniere, avevo aggiunto. Nel mentre, compiaciuto della recita, con l’indice proteso alle luci di grosse barche a vela in lontananza, indicavo il nostro porticciolo sul Mediterraneo.

L’unica a non guardare era lei. Adagiata su pietre marine levigate dai millenni, mi fissava mentre una ciocca rossa ribelle dalla fronte alla bocca carnosa le spaccava il viso di porcellana bianca.

“Attento a non finire come un pinocchio a cercare di uscire dal culo di una balena!”

La perfida luna piena, i riflessi ramati sul volto e quelle parole assassine mi avevano stregato: nessuno dei presenti aveva capito niente, solo lei.

Adesso questo ventilatore in faccia che gira a stento me ne guasta il ricordo. Tre ore di auto proletaria per tornare in questo schifo di monolocale striminzito senza aria condizionata e seicento euro al mese di affitto più spese. Devo consegnare tre cartelle ed è la notte più calda del secolo. Il ventilatore gira, ma è usurato, gira piano. La potenza solo un ricordo. Fragola. Penso al mio ghiacciolo preferito, confezione da sei per un euro e novantanove. Il ventilatore grippa e si ferma. Scavo nel cassetto, ne trovo uno mini, cinese. Lo collego alla USB del PC, e torno a picchiare sui tasti. Tra un pensiero e l’altro la posta, rispondo, apro i social, urca mi affogano e che palle…

All’improvviso il delirio. Allarmi impazziti scattano ovunque. Il suono delle sirene degli antifurti è allucinante, come un trapano mi devasta il cervello. Il popolo non rispetta il sacrificio chiesto dal governo, quello di risparmiare energia perché siamo in guerra. Blackout totale. Alla finestra mostro il dito medio agli italiani che hanno scelto il condizionatore. I ponti radio dei gestori telefonici reggono. Ho un altro computer, il portatile, e quindi non mi fermo. La corrente elettrica non torna, la batteria svuotata dal ventilatore USB si esaurisce troppo presto. Stanco mi stendo un po’ e un po’ riposo.

Vampire nere sono entrate dalla finestra. Prendo la racchetta ammazza zanzare e mi preparo al massacro elettrico, premo il pulsante, niente, scarica anche quella.

Non so come ma dormo tre ore. La corrente non è tornata. La crisi sembra più seria del solito. Niente TV, niente PC e cellulare morto. Stanco di tutto dormo ancora.

Mi sveglio tutto bagnato di sudore peggio di prima, potevo vedere sorgere il sole con Maria abbracciata a me, pirla che sono. Metto i piedi per terra e sul letto saltano schizzi d’acqua, sono allagato. La porta del frigo è aperta, ogni luce spenta, sciolti i congelati ormai mollicci. È la notte più bollente da secoli. Ora ricordo: strusciavo fragole su seni generosi mordicchiando freschi capezzoli turgidi. Cazzo i frigoriferi sono il problema! Quante tonnellate di cibo si perdono senza energia? È una buona idea per un articolo, venti euro fanno sempre comodo, entropia. Vado in bagno e non c’è acqua, senza corrente le pompe si fermano. Mi stendo ancora con sulla faccia l’asciugamano impregnato dell’acqua che ho raccolto dal pavimento, era ghiaccio e sa di pesce che inizia a puzzare. Questa vita è una merda. Ricordo lei che nemmeno conosco e che forse potrebbe desiderarmi così come sono.

Dal buio l’alba tra i palazzi m’illumina di lei.

Penso al ventilatore come l’amore, frenato e senza energia non gira.

— ∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞ —

Sono passati oltre tre anni da questo racconto del nostro primo incontro, sono nella fredda e fastosa Milano e lavoro ancora al mio primo romanzo.

La pace in Europa è tornata, così come i russi a sperperare rubli per il mondo. Vuoi sapere cosa è successo dopo quella favolosa sera d’estate?

Per mesi tra noi chat sempre più intriganti. A Pasqua lei mi ha invitato a casa sua. Abbiamo verificato che il colpo di fulmine bidirezionale avesse basi solide nella fisica dei nostri corpi. Ti risparmio dettagli e scintille.

Torno a Napoli. A giugno mi chiama divertita. Ti ho trovato un lavoro pagato bene a tempo indeterminato, puoi svoltare mi dice. Dai molla tutto e vieni a vivere con me nel mio attico di via Alessandro Manzoni. La camera per gli ospiti è tua, non farti problemi, se ti stufi di me o io di te, risolviamo. Sei sbruffone e brigante, una perla verace che voglio tutta per me. Proprio così mi ha detto, e lo diceva ridendo, sicura che io l’avrei mandata affanculo. Invece Maria non sapeva, da gennaio non pagavo più l’affitto, moroso con tutti. Adesso adoro anche la suocera che sta in Austria, l’ho conosciuta al Caffè Sacher di Innsbruck, lavora nel palazzo imperiale, la residenza estiva di Maria Teresa d’Asburgo che tra l’altro nel Settecento fece sbocciare il Teatro alla Scala, oggi a due passi da noi.

Barocca e gotica, punte e curve, a tratti regale, con Maria la vita è viva, teatrale e noi insieme un copione d’autore.

Il campanello all’ingresso suona frenetico. È lei, finalmente tornata da me. Entra e la sua voce in festa mi sballa: «Pinuccio sei presentabile? Anastasia ha portato i biscotti prjaniki, passa il Natale con noi, tira fuori il limoncello e gli struffoli di mammà…»

Oh Gesù, Giusepp e Maria, pregate stanotte per l’anima mia.

—– ∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞ —–

Con questo racconto ho partecipato al concorso I racconti dell’Avvento 2022 organizzato dall’Associazione Culturale Libri e Recensioni.com

Ecco l’esito del concorso: https://www.librierecensioni.it/concorsi/2022classifica-concorso.html – a questo link si possono scaricare gratuitamente tutti racconti che hanno partecipato. Alcuni sono molto belli e su tutti oltre a Il quattro al posto del sette del vincitore Alfredo Ricciardi, il mio preferito è Io, sulla panchina di Paolo Moretto.

Con il senno di poi… continuo a pensare al mio Pinuccio che mangerà il panettone a Milano nel 2025 insieme alla sua amata e alla bella russa, tornata ospite gradita.

Ecco la stessa storia con 18.000 battute invece che 10.000, presentato in un altro concorso: è una storia nata da un pensiero di quel tale che dice: “Chiamatemi Ismaele“, in quel romanzo del 1851 intitolato Moby Dick, scritto da Herman Melville.

Lo so, ne sono cosciente: non può una citazione rendere degno un racconto. Però una citazione può sciogliere un cuore distratto e far nascere un grande amore. E così immaginare la pace riempie di bello un presente di merda. Intanto preghiamo…

—– ∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞ —–

MarTe – 24 dicembre 2025

L’attesa è uno strazio. Nel breve termine un malessere superabile ma a lungo andare è atroce agonia. Basta! Smetto di resistere. La lama nella mia mano non aspettava altro, entra e taglia. Una per ogni ora, mi dico, è una vendetta necessaria.

Lei ancora non torna, capirà.

Tentatrice, brilla nel soffice groviglio. Qui e là come punti di luce l’uvetta passa mi fissa e m’attrae, luminosa dal calore che profuma l’aria di canditi colorati, qui e là incastrati come gemme grezze nella pasta cavernosa di pane dolce.

Non resisto: al tepore del camino nero marquinia, una seconda e poi una terza fetta di pura delizia, un reato di lesa maestà, reiterato, un peccato senza vergogna.

Gusto ormai senza più fame, con lo sfregio lussurioso di una promessa ormai delusa. S’incazzerà ma poi faremo pace. Non conosco vendetta più dolce per questa assurda attesa. Ingordo e avvinto, mi abbandono alla libidine del palato mentre la crema al limoncello osanna l’astuzia artigianale di quel diavolo di pasticciere amalfitano.

Non sono mai ore consuete quelle passate aspettando Natale.

L’attesa della mia donna m’affligge.

Io sono a Milano, tormentato, forse solo impaziente. Nervoso, molto nervoso: l’attesa mi snerva. Mi serve ordine e disciplina. Vivrei di scrittura se potessi, ma questo che te lo dico a fare? È un luogo tanto comune da sembrare uno schiaffo alla banalità. Niente musica né TV. Solo nel silenzio sento distinta la mia voce. Ricerco. Rivedo e catalogo vecchi racconti nel PC mentre aspetto Maria Teresa. È da una amica a pezzi che nella videochiamata piangeva come una disperata, la mia marziana è corsa da lei.

“E non osare mangiare il panettone senza di me” ha urlato col suo minaccioso accento tedesco e gli anfibi lucenti calzati di corsa, stonati sotto il lungo cappotto candido come la neve.

Queste amiche che cadono a pezzi la Vigilia di Natale mi hanno rotto i coglioni ma che posso farci? MarTe è così, ti ripara l’anima, scova lacerazioni, sensi di colpa, incrostazioni che fanno male, cura concrezioni di tormenti, avvince il meglio che hai dentro, incolla i pezzi sospesi e ti rimette in moto. Da e toglie a suo piacimento, sa essere crudele come nessuno, io l’adoro: la sua assenza mi ferma il respiro.

Devi sapere che Maria Teresa parla cinque lingue e lavora per una multinazionale che pubblica a milioni pagine patinate con gente stupenda stampata sopra, insomma moda, trucchi e profumi, essenze d’effimero, meraviglie superflue, droghe di bellezza. Quando le dico queste cose si incazza di brutto. È una manager della cosmesi, crea bisogni con il richiamo ancestrale alla perfezione di corpi e volti magnifici: manipola immagini e parole, raffina illusioni, estrae luce da nebbie di lacca. Lavora su foto e parole, la sua è magia editoriale. La pagano bene.

Cosmetica la strega, sei da bruciare viva sul rogo in piazza Duomo, questo le dico quando litighiamo, e lei mi avvampa e mi spegne chiamandomi misero pezzente. Iniziano grugniti e silenzi, sberleffi e ripicche infantili. Poi dalla discussione violenta morta nella cenere del silenzio, al primo contatto della pelle ripartono coccole e carezze. E così la morsa della passione ci avvolge fino a sfinirci, fino all’ultima goccia di adrenalina assaporata come un nettare divino di sfrenato piacere, il cuore a mille, la carne avvinghiata che vibra, il punto di non ritorno desiderato e messo in attesa di lei, di me, di noi, fino al grande salto nel mare calmo della pace dei sensi, della carne, della mente, dell’anima che torna a dividersi estasiata.

Magari porta a casa l’amica, quella devastata dalla solitudine, la russa abbandonata in albergo da un riccone sposato e traditore. L’aiutiamo a superare la crisi sparandoci l’un l’altra una notte di carezze a tre, coccole e carezze come adolescenti affamati di conoscenza. Una santa e benedetta notte di Natale, sarebbe.

Ho visto le bozze della campagna pubblicitaria che sarà lanciata su uno dei prossimi numeri di Vogue, la modella devastata dal tormento è una patanona stratosferica.   

Vedi peccato nell’immaginarsi? Io qualche volta sento vergognose eccitazioni. È un viaggio mentale sucido, l’erezione. Potrei scrivere senza fantasia ma sarebbe solo sudiciume. Comunque Maria Teresa non lo farebbe mai, un triangolo intendo. La mia tirolese trapiantata in questa metropoli senza confini, mi evira il gioiello, altro che.

MarTe è gelosa. Ma che dico, gelosissima.

“Se mi gira ti faccio eunuco di compagnia” e quando me lo dice non so mai se scherza o fa sul serio. È per questo che il romanzo su cui lavoro da tre anni non le piace, è gelosa dei miei personaggi donna, e non ti dico del rapporto con il mio editor, donna anche lei per volontà imposta dall’editore. Dice, l’editore, che sono troppo uomo per scrivere di donne e ancora non ho capito se in tutta questa strana storia il vero geloso sia lui.

Ma come fai a desiderare chi non ti desidera?

Questo romanzo finirà nella spazzatura, l’intreccio non funziona. Non hai idea di quanto ne ridiamo insieme io e Maria Teresa, lei i pezzi me li fa brillare, quelli dell’anima dico, e dai concentrati ti prego: provo a desiderare negli occhi di te che leggi, tracce di libidine, bagliori d’interesse tra le ciglia che si chiudono in segno di noia.

Come faccio a fermare le tue mani dal buttare via queste pagine?

Superstizione? Una macumba, un saggio sulla cura inguinale dei linfonodi?

Un manuale per la felicità. Sai che palle.

Chiedi come ho conosciuta la mia donna? Beh, nella confusione digitale del mio passato ho trovato un raccontino che fa al caso nostro.

Era una notte buia e tempestosa… No dai, scherzo. Dammi una chance.

— ∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞ —

D’estate quando al buio le stelle brillano, cuori solitari attendono storie, sospese in pensieri repressi, storie trattenute, stracciate da parole non dette.

Un cuore a riposo batte tranquillo, non sa che all’improvviso può impazzire.

«Pino ma che fai? Te ne vai? Ci lasci proprio sul più bello?»

Chiamato in causa mi guardo intorno con la paura di lasciare in giro qualche traccia di me, prima di sparire come ha fatto qualche ora fa, quella palla di sole arancione all’orizzonte.

Nell’aria i profumi del Cilento, intorno a noi la spiaggia tra il mare che sussurra e la pineta muta, e al centro un magico falò con nuove amiche arrivate nel pomeriggio alla ricerca di affinità elettive. Illuminare la notte d’allegria, inebriarci di ricordi e storie esagerate fino all’alba, questo è il programma.

«Lo so, è un peccato ma devo andare…» dico mentre la rossa mi guarda perplessa.

 «Un fulmine ha colpito una fabbrica a Cuba e una nube tossica arriva all’Avana. Devo scrivere un pezzo per la TV, andiamo in onda domani mattina…» dico per dire amen alla sequela di scuse lamentose per stoppare il fatevi i cazzi vostri che mi passa per la mente. Non voglio andarmene ma devo. Domani è lunedì, uno di quei giorni che vorresti cancellare dal calendario. Lascio gli amici a divertirsi: una grande stronzata.

Ogni agosto tornano a nutrire le nostre antiche radici abbarbicate nella roccia selvaggia che ci abbraccia tutt’intorno da Sapri a Paestum. Amici d’infanzia, compagni inseparabili nell’adolescenza più cruda, a correre appresso a sogni di cuoio di un pallone amaro, ad ammazzarci su campi polverosi, privati dell’erba dei campioni, nel fango d’inverno e su ciottoli di pietre taglienti in primavera. Migrati al nord li canzono ogni volta: lavoro grigio, contributi, malattia e ferie pagate. A volte li offendo con rabbia per aver svenduto la libertà ad un cartellino da timbrare, piegati al controllo, ad una vita regolare da subordinati al nord. Ogni agosto ritornano e si vendicano. È finita che loro fanno i signori in vacanza e io lo schiavo a ore in una TV locale di Napoli.

Dodici mesi all’anno senza tredicesima, ad ore senza ferie pagate, e nemmeno un cartellino da timbrare, perché quello è la prova di un lavoro dipendente mica il gadget di un professionista a partita iva. Il tempo indeterminato è diventato il mio: indeterminato il reddito, indeterminato l’orario dell’impegno e del riposo, indeterminato il ritmo, stonate le voci che mi accompagnano, nessuna melodia, questa è la verità.

Il perdente sono io, però sono libero, sì libero ma di che?

Fluido e flessibile, riproduco precarietà, cannibale di me stesso, mi consumo.

In questa favolosa sera d’estate, se i miei amici sapessero del mio tormento mi legherebbero ad un albero. Mi vogliono bene, questo lo so. Bendato mi farebbero strusciare le parti intime e baciare sulla bocca dalle ragazze, è un gioco atroce: il malcapitato resta legato finché non riconosce chi lo tocca. È una variante etero dello schiaffo del soldato, ha sempre funzionato estate dopo estate nel determinare una comitiva vincente: la serata si infiamma quando è una delle ragazze ad offrirsi volontaria. È dalla sudata maturità al “Leonardo da Vinci” che perfezioniamo la nostra strategia di conquista con uno scenario di battaglia ormai definitivo: la foce del Mingardo. So cosa mi perdo, e se i miei amici sapessero del mio tormento, salterebbero ogni tattica programmata e mi legherebbero subito mani e piedi per trattenermi tutta la notte. Mi vogliono bene e io a loro ne voglio più che a me.

Fuggendo dall’allegra comitiva un barlume di dignità mi nasconde: mostro orgoglioso il dovere che mi chiama. Devo andare. Guardo la rossa con gli occhiali da intellettuale come un cane bastonato. L’ho delusa, si chiama Maria Teresa, so poco o niente di lei. Mi osserva intristita mentre raccolgo lo zaino di corda posato nella sabbia dove finiscono i sassi.

Genny ridacchia: «Dai Pino, non fare questa figura di merda, le belle nordiche penseranno che…» un ghigno d’invidia mi sfregia la bocca e lo prendo a calci. A lui piace scegliere per primo la ragazza più carina per dormirci insieme il giorno dopo. È fatto così, è un leader, in fabbrica fa il sindacalista, si prende sempre il meglio per sé e per la sua squadra, è rappresentante e rappresentativo della deindustralizzazione che vince in questo paese.

Gennaro ride e strilla mentre subisce senza reagire:

«Sfigato, freelance e meridionale. Vai Giusè, vattenne e puortete a’pucundria cu te

Adesso ridono tutti, tranne lei che mi fa un occhiolino e mi manda un bacetto nell’aria. Per la verità nemmeno mi attraeva, chiusa, appartata, estranea alla baldoria della comitiva che giocava come adolescenti negli schizzi cristallini dell’Arco Naturale. Questo prima, poi intorno al fuoco, con la pizza, le birre e la chitarra, proprio quando i racconti delle nostre vite si aprivano alle curiosità più sfrenate, lei con una frase tagliente come una sciabola, mi aveva aperto in due e nel petto piantato un seme sconosciuto…

Molte ore dopo sono a casa e sento il desiderio di lei che mi cresce dentro, germoglia. Ripenso a lei e a come mi ha incantato, selvatica e selvaggia, con una battuta geniale e feroce, una mazzata tra capo e collo di un buffone smascherato nel fragore di una risata generale. L’ho delusa? Forse le sarebbe piaciuto venire via con me. Invece sono sparito come un pirla.

Dopo il tramonto, ormai al buio, raccontavo i miei sogni letterari, avventure di un’esistenza da romanzare, e avevo finito per dire che: “solo un robusto principio morale può impedirmi di uscire deciso per strada e mettermi metodicamente a gettare in terra il cappello alla gente, allora mi rendo conto che è tempo di mettermi in mare al più presto”.Quando succede mi imbarco su una nave e riparto per terre straniere, avevo aggiunto. Nel mentre, compiaciuto della mia recita, con l’indice proteso alle luci di grosse barche a vela ancorate nella baia, in lontananza indicavo la vastità del Mediterraneo.

L’unica a non guardare era lei. Adagiata su pietre marine levigate dai millenni, mi fissava mentre dalla fronte alla bocca carnosa, una ciocca rossa ribelle le spaccava il viso di porcellana bianca.

“Attento a non finire come un pinocchio a cercare di uscire dal culo di una balena!”

La perfida luna piena, i riflessi ramati sul volto e quelle parole assassine mi avevano stregato: nessuno dei presenti aveva capito niente, solo lei.

Adesso questo dannato ventilatore in faccia che gira a stento me ne guasta il ricordo. Tre ore di auto proletaria per tornare in questo schifo di monolocale striminzito senza aria condizionata e seicento euro al mese di affitto più spese.

Devo consegnare tre cartelle ed è la notte più calda del secolo. È un’occasione unica anche se per la verità non è la prima volta che mi chiedono con urgenza un pezzo, è un extra che mi fa comodo, mi usano come tappabuchi, lo so bene. Tra poco devo essere presente in studio, mi pagano come attrezzista a ore mica come giornalista a cartella. Poi aiuto tutti, sono un jolly, un lavoratore quando serve, aiuto elettricista, aiuto cameraman, aiuto regia, aiuto tecnico delle luci o del suono, aiuto archivista e una volta mi hanno messo anche una pezza e una scopa in mano che piangevo miseria: quelli della produzione mossi a pietà per la mia condizione mi offrivano un ruolo scoperto, a ore ovvio mica a tempo indeterminato. Nemmeno pubblicista sono diventato. Tendo ad evadere ogni formalità, sono io il colpevole, un criminale, nessuno mi costringe, e se mi faccio male, anche quella colpa è mia. È un mondo competitivo quello dello show business lo comprendo, tuttavia, onestamente, a dirla tutta la verità, essere un bravo jolly mi conviene. Con quello che costano come potrei mai permettermi concerti allo stadio o al San Carlo, e le commedie? Trianon, Mercadante, Ridotto, Augusteo, Bellini, Sannazzaro, tappo buchi finanche nel teatro di Eduardo, il San Ferdinando. È una nave che naviga e io mi sento utile, tappo buchi.

Sto delirando, il caldo. È la notte più afosa del secolo per chi respira aria incondizionata in città, immobile, inquinata di squallore, in un ritaglio di mansarda dei quartieri spagnoli a due passi dal palazzo reale di piazza Plebiscito.

Sfarzo e povertà abbracciati come gemelli siamesi arresi all’indecenza del progresso.

Il ventilatore gira, ma è usurato, fa uno strano rumore, gira piano. La potenza solo un ricordo. Fragola. Penso al mio ghiacciolo preferito, confezione da sei per un euro e novantanove. Sulla strada del ritorno da Palinuro ne ho preso due scatole in un discount.

Il ventilatore grippa e si ferma. Io no. Scavo nel cassetto dei miracoli, ne trovo uno mini, cinese, sembra una margherita. Lo collego alla USB del PC, e torno a picchiare sui tasti. Tra un pensiero e l’altro la posta elettronica, rispondo, apro i social, urca mi affogano di messaggi e che palle…

All’improvviso il delirio. Allarmi impazziti scattano ovunque. Il suono delle sirene degli antifurti è allucinante, come un trapano mi devasta il cervello.

Il popolo non rispetta il sacrificio chiesto dal governo, quello di risparmiare energia perché siamo in guerra. Blackout totale. Alla finestra mostro il dito medio agli italiani che hanno scelto il condizionatore. Spreco, cripto valute, bagordi e luminarie?

Ben vi sta!

I ponti radio dei gestori telefonici reggono, hanno i generatori diesel, quelli sono furbi, il traffico dei dati nell’etere non si ferma, ogni giga è moneta contante.

Ho un altro computer, il portatile per le emergenze che lascio sempre a casa, e quindi non mi fermo. La corrente elettrica non torna, la batteria svuotata dal ventilatore USB si esaurisce troppo presto. Stanco mi stendo un po’ e un po’ riposo.

Vampire nere sono entrate dalla finestra. Prendo la racchetta ammazza zanzare e mi preparo al massacro elettrico, premo il pulsante, niente, scarica anche quella.

Non so come ma dormo tre ore. La corrente non è tornata. La crisi sembra più seria del solito. Niente TV, niente PC e cellulare morto. Stanco di tutto dormo ancora.

Mi sveglio tutto bagnato di sudore peggio di prima, potevo vedere sorgere il sole con Maria Teresa abbracciata a me, pirla che sono. Metto i piedi per terra e sul letto saltano schizzi d’acqua, sono allagato. La porta del frigo è aperta, ogni luce spenta, sciolti i congelati ormai mollicci. È la notte più bollente da secoli. Avrò mangiato un ghiacciolo nel sonno. Ora ricordo: strusciavo fragole su seni generosi mordicchiando freschi capezzoli turgidi. Cazzo i frigoriferi sono il problema! Quante tonnellate di cibo si perdono senza energia? È una buona idea per un articolo, venti euro fanno sempre comodo, entropia. Vado in bagno e non c’è acqua, senza corrente le pompe si fermano. Mi stendo ancora con sulla faccia l’asciugamano impregnato dell’acqua che ho raccolto dal pavimento, era ghiaccio e sa di pesce che inizia a puzzare. Questa vita è una merda. Ricordo lei che nemmeno conosco e che forse potrebbe desiderarmi così come sono. Dal buio l’alba tra i palazzi m’illumina di lei.

Il serbatoio della vecchia Panda è vuoto. Dove vado?

Penso al ventilatore come l’amore, frenato e senza energia non gira…

— ∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞ —

Sono passati tre anni da quella notte, nel tempo libero lavoro ancora al mio primo romanzo che a Maria Teresa non piace. Però mi aiuta lo stesso, sapessi quante discussioni e quante risate. Sarà una bomba. È stata lei a trovarmi un editore che, devo dire la verità, sta investendo molto su di me anche se rompe in continuazione le palle, mi ha anche cambiato tre editor per farmi contento, il debito che ha con Maria Teresa deve essere enorme.

La pace in Europa è tornata, così come i russi a sperperare rubli per il mondo.

Vuoi sapere cosa è successo dopo quella favolosa notte d’estate?

Per mesi tra noi chat sempre più intriganti. A Pasqua mi ha invitato a casa sua. Abbiamo verificato che il colpo di fulmine bidirezionale avesse basi solide nella fisica dei nostri corpi. Ti risparmio dettagli e scintille. Torno a Napoli. A giugno mi chiama divertita. Ti ho trovato un lavoro pagato bene a tempo indeterminato, puoi svoltare mi dice. Il settore comunicazione di una multinazionale del farmaco ha bisogno di uno come te. Dai molla tutto e vieni a vivere con me nell’attico di via Alessandro Manzoni. La camera per gli ospiti è tua, non farti problemi, se ti stufi di me o io di te, risolviamo.

“Sei sbruffone e brigante, una perla verace che voglio tutta per me.”

Proprio così mi ha detto, e lo diceva ridendo, sicura che io l’avrei mandata affanculo. Invece l’ho freddata, Maria non sapeva, da gennaio non pagavo più l’affitto, debiti con tutti risparmiavo anche il caffè. La vecchia Panda l’ho data al primo che si è pagato il passaggio di proprietà. Stringevo la cinghia, vendevo il vendibile, regalavo il regalabile, scappavo dai creditori, moroso e latitante. Il piano era perfetto. Lei non sapeva, ero già pazzo di lei.

Adesso sono tre anni che stiamo insieme e del pacchetto adoro anche la suocera che vive in Austria, ci siamo conosciuti in un incontro spacciato per casuale al Caffè Sacher di Innsbruck. Anna lavora nel palazzo imperiale, la residenza estiva di Maria Teresa d’Asburgo, una donna terribile che tra l’altro nel Settecento fece sbocciare il Teatro alla Scala, oggi a due passi da dove viviamo io e MarTe. Anna, mia suocera, pare sia erede di sangue blu, lei ci tiene molto e dice che ha le prove, pare sia discendente di una dama al servizio di uno dei figli dell’imperatrice. L’adoro anche per il fatto che vuole convincere la figlia a sposarmi, dice che non l’ha mai vista così felice. MarTe temporeggia. Aspetta il mio primo romanzo.

Cosa dire, con Maria Teresa ogni momento è un’avventura, attimi di spine e petali di rosa, barocca e gotica, a punte e curve, con sterzate contro mano e ripartenze furiose, a tratti regale, è una vita viva, teatrale e noi insieme un copione d’autore.

Il campanello suona frenetico. Rumore di chiavi e la porta che si apre.

È finalmente tornata da me.

Una folata gelida entra con lei. Dall’ingresso la sua voce in festa mi sballa:

«Pinuccio sei presentabile? Anastasia ha portato i biscotti prjaniki, passa il Natale con noi, tira fuori il limoncello e gli struffoli di mammà…»

Oh Gesù, Giusepp, Sant’Anna e Maria, pregate stanotte per l’anima mia!

————————————- ∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞ ————————————-

Chi è arrivato fino a questo punto merita un premio: in questo racconto c’è un’altra grande citazione: … “nebbie di lacca”.

nebbie di lacca

PRIGIONE

Cara amica mia ti scrivo perché non so parlarti. Quello che dico è altro da quello che vorrei farti sentire. Già è vero, sai ascoltare e mi conforti sempre: le tue parole sono panna sul mio cuore e vorrei per sempre nutrirmi di tanta dolcezza, vorrei allungare i nostri incontri, inchiodare il sole nel cielo affinché mai arrivasse il tramonto sulle nostre giornate passate insieme. Forse meno arduo fermare il tempo, e così l’estasi vibrante nei tuoi occhi diventare la ragione della mia vita.

Non è possibile invece, il silenzio tra noi è assurdo, fragoroso e rumoroso, devastante come la nube tossica di paure che mi paralizzano i pensieri. Non voglio perderti. Non posso perderti eppure sei come una goccia arida che scivola sul vetro di un grattacielo affollato, in allarme senza corrente elettrica di una sera, un esilio di tempesta.

Piove ma vorremmo scappare fuori a bagnarci e vivere, invece chiusi come zombi ammutoliti disperdiamo le nostre energie nello sguardo di una notte nera come la pece, che arriva sempre. Parliamo tanto fino a stordirci, di questo e di quello, di sacrifici e doveri, di progetti e fallimenti, di luoghi sconosciuti e di terre promesse.

Ci piace dissertare su verità e bellezza, di come trovare nel buio i colori delle emozioni ma niente di noi, di come mi trema la carne sotto la pelle immobile e controllata, vestita di niente, all’apparenza fredda e razionale. Così ti vedo ma non voglio perderti. Io non oso e nemmeno tu ne hai il coraggio, questo lo sento, forse l’immagino per sperare ancora, per godere del silenzio tra noi che ci tiene uniti.

È la prigione che vogliamo? Impazzire sarebbe evadere e correre mano nella mano, impazzire sarebbe perderti e non incontrarti più. Impazzire è pensarti lontana mentre perdo le tue parole sagge piene di accortezze gentili.

La tua voce è rovente e mi ascolti mentre non so dirti quello che vorrei.

Asserragliati nelle trincee del nostro ultimo scontro ci stiamo distruggendo.

Indisponibili alla resa lottiamo senza tregua, il silenzio che vince.

man holding his head while reading a letter
Photo by Ron Lach on Pexels.com

da un esercizio nel gruppo FB scrittori e scrittici emergenti – 2000 battute: #sese_20righe_silenzio

hands of a person with tattoo hanging from steel bars
Photo by RODNAE Productions on Pexels.com
lamp on deck behind bars
Photo by Ron Lach on Pexels.com
grey steel grill
Photo by Cameron Casey on Pexels.com

CASA

Dal 24 novembre in poi le abitudini cambiarono per tanta gente e per tanta altra gente no. Che ne sai della gente quando sei piccolo, abituato in una città piccola, al tuo vicolo piccolo, alla tua scuola piccola, ai tuoi amici piccoli anche loro. Invece tutto intorno vedi grande, il mare, la campagna e le montagne lontano, gli adulti, grandi anche loro. Che ne sai di quello che succede, quando all’improvviso il mondo cambia intorno a te e la normalità diventa un ricordo, un desiderio di quello che ti manca perché in fondo era un’abitudine che ti piaceva.

Il bagno nella vasca, le paparelle e le carezze di mammà. Il latte, i biscotti, la cartella arancione enorme e quasi vuota, piena di emozioni che raccontavi a papà che sera dopo sera ti insegnava a leggere perché ci teneva che suo figlio non finisse stracciato dalla fatica nei campi o nella fabbrica. Lo hai capito dopo come fosse già devastato dentro, dall’amianto e dalla vergogna.

L’inverno quello freddo ancora non c’era dalle mie parti. Tutto era normale come la guerra per strada tra clandestini e militari, come la culla di parole complicate diffuse dal velenoso tubo catodico della TV, e nel toccarla il friccicore sul ditino ti piaceva, non come la scottatura sul forno pieno di torta della nonna.

Che ne potevi sapere di quella moderna tangenziale in costruzione di fianco al grande ospedale di San Leonardo già finito ma ancora chiuso? La paura della morte e il terrore degli adulti li scopri all’improvviso nell’uragano di tormento che li fa impazzire e tu allora ti senti ancora più piccolo e ti accucci nel silenzio sul sedile sdrucito dell’auto, sotto la coperta.

Tornando dal paese dopo la raccolta delle olive, incontrammo tante case scassate, la nostra ancora in piedi per fortuna. Prendemmo poche cose e dalla notte del 24 novembre 1980 dormimmo nella Renault rossa, parcheggiati in fila indiana sulla superstrada, così la chiamava papà. Solo pochi giorni per fortuna, quella negata ai profughi senza casa dove tornare.

da un esercizio del gruppo FB SESE (scrittori e scrittrici emergenti)

city landscape people street
Photo by ahmet özcan on Pexels.com

ACQUA

«Ascolta ragazzo, la tua storia è dolorosa, il posto non ti piace, capisco se non vorrai accettare questa sistemazione… Ma dimmi, cosa sai di me?»

«Non mi volevi, questo so!» Rabbia. Delusione.

Lentamente il vecchio avanza strisciando i piedi sul pavimento antico lastricato di lavoro e di storie dimenticate: «Non volevo la loro unione. Di te non sapevo niente, sono scappati da me…»

Mentre mette sul fuoco un tegame nero e un pentolino per l’orzo della colazione, la voce del nonno rimbomba nella cucina contadina, vuota di colori, abbandonata: «Non ho mai saputo niente di te…» Tre uova, un barattolo di zucchero e la bottiglia d’olio osservano la scena dei due che si guardano negli occhi mentre lacrime tristissime riflettono la vampa del legno d’ulivo che arde nel camino. Le mani protese del giovane afferrano il tepore che si diffonde nello stanzone gelido, freddo come la sala mortuaria dell’ospedale dove aveva salutato i corpi dilaniati dei suoi genitori. Il dolore straziante avvicina i due come puntini uniti da una chiazza nera d’inchiostro che macchia improvvisa la pagina bianca di parole tutte da scrivere.

 «Ascolta ragazzo mio, ci sono momenti che cambiano lo stato delle cose, guarda il vapore come galleggia nell’aria, portandosi appresso l’odore dell’orzo…»

«Che vuoi dire nonno?»

«La mia bambina non la volevo dividere con nessuno. Tua madre era troppo giovane ma non mi ero accorto come ormai fosse già unita a tuo padre, nel corpo e nello spirito. Li vedevo lavorare e giocare insieme: per me era troppo presto… Mi sono opposto e l’ho chiusa in casa. Avevo solo lei dopo la morte di tua nonna. Solo lei… Come d’estate è la temperatura a fare la differenza: l’acqua bolle e nelle bolle l’acqua è vapore che vola via. Così sono scappati come vapore, spariti. Ma come l’inverno gela l’aria, anche l’acqua si ferma e diventa ghiaccio: due atomi di idrogeno e uno di ossigeno sono uniti e sono acqua così è la loro unione, un matrimonio indissolubile, anche nella morte, un amore per sempre.»

dal mio esercizio/contest nel gruppo FB #sese20righe_matrimonio

human hand under pouring water
Photo by Farooq Khan on Pexels.com

INTERESSI

Mostra interesse. Interessato alla sua vita, ai sui desideri. Così si apre la porta, anche la più chiusa, quella blindata dal sospetto, serrata dalle delusioni, e poi mettici dentro un piede per fermare ogni resistenza alla tua volontà. Entra e sovverti il rapporto di forza con la diffidenza, trasforma le sue paure in un bisogno, l’esigenza che tu sei lì per soddisfare e allora vendi, devasta, vendi l’impossibile: il sogno. Poi con la tua penna preziosa la firma nel contratto sarà una formalità al tintinnio: un brindisi di nuova amicizia. Mostra interesse e porta a casa la commessa. Mostra interesse: quella bugia funziona, funziona sempre ma l’equilibrio è pericoloso come camminare su una corda tesa sull’abisso. Ho fatto palestra e fortuna vendendo armi ai ribelli; l’interesse negli occhi degli oppressi è una scintilla che accende rivoluzioni. Con l’interesse alle loro proteste ho aperto i cuori di gente che vibravano di passione. Quella settimana ho amato una donna bellissima, danzato con lei canti tribali e alla luce d’avorio di luna piena, succhiato l’anima da pelle nera lucente, alla mia guerrigliera affamata di sesso e di vittoria. Mi scrive ancora nostro figlio sopravvissuto alla strage, è in salvo in un collegio costoso nella capitale. È sopravvissuto alla guerra e a sua madre, guerriera nella giungla. Poi ho fatto tanti soldi vendendo armi al governo che ha massacrato i ribelli mostrando interesse per la ragione di stato, per l’ordine e il controllo come sottomissione al paese produttore di armi sporche del sangue di soldati bambini pieni di veleno. Ho portato a casa commesse milionarie mostrando interesse per la guerra, quella giusta dei vincitori. Mio figlio ancora non sa delle mie bugie e mi scrive ancora, ha la pelle mulatta di un amore corrotto dal sogno di libertà. Aspetto che si faccia grande e mi possa raggiungere nella mia villa lussuosa, aspetto che mi sgozzi con le sue mani innocenti per morire mai assolto da quella bugia raccontata a sua madre.  

dal mio esercizio/contest nel gruppo FB #sese20righe_bugia

ALBERTO

La solita vita. Grigia. Anonima. Necessaria. Né veloce né lenta ma costante. Programmata in un loop senza uscita, definita, codificata, censita e trascritta. Fino a quel giorno nessuno poteva immaginarsi altro perché nessuno sapeva.

Non vai in Svizzera per cambiare vita, ci vai per la tranquillità, per l’equidistanza dalle parti in conflitto. La sicurezza. La neutralità. Devi campare tu e la tua famiglia e di te, quell’impiego, grigio, anonimo, tranquillo, necessario, di te aveva bisogno.

Così Alberto fu assunto e per anni lavorò in quell’ufficio grigio. Rigoroso, preciso, puntuale, metodico, un impiegato modello, questo era Alberto e per questo piaceva al capo, e per questo fu assunto e vi lavorò per anni, nell’ombra e nella luce di una normalità quieta, una vita ordinaria, anonima, ma solo fino a quel momento quando tutto cambiò nei giorni delle rivoluzioni che agitavano i popoli della vecchia Europa.

Se l’innesco di un incendio può avere sempre una spiegazione, l’evento che ne consegue ha vastità che la ragione deve al divino, all’ignoto, alla definizione dell’imponderabile consistenza della materia che alimenta le fiamme.

Caso o volontà divina, quel giorno l’intuizione scosse la solita vita dell’impiegato, e non fu rabbia o collera, furono i colori rifratti nel muro di polvere illuminato dal sole che entrava da una vecchia finestra di quell’ufficio anonimo, ordinato e straboccante di idee e brevetti, fu l’immaginazione a cavalcare la luce, a vedere nella materia l’energia che muove l’universo, ad attraversare il muro del tempo dissolto con il paradosso dei fratelli gemelli secondo cui uno invecchia mentre l’altro che viaggia alla velocità della luce resta giovane.

Alberto ragionava come l’uomo sa fare con schemi del passato, ma tuttavia pensava fuori recinti razionali di gabbie scontate: forse è questo l’ovvio spazio infinito di una mente libera?

Una scintilla mette in moto una macchina, una scintilla innesca un incendio, l’intuizione quel giorno fu la scintilla che cambiò la storia del mondo, e così aggiunse a mano una nota al lavoro che nessuno conosceva: l’Energia è uguale alla massa per la velocità della luce al quadrato. E=mc2

dal mio esercizio/contest nel gruppo FB #sese20righe_intuizione

PRESCRIZIONE

Ti parlo e non mi ascolti come fanno tutti del resto. Ti guardo e non mi guardi come fanno i distratti o gli spocchiosi aperti solo su sé stessi. Già, l’apertura mentale sull’ombelico mi sembra un buon tema di ricerca, un progetto di sopravvivenza, ma nemmeno lo consideri. A sentirlo cantare l’ombelico del mondo viene voglia di ballare ma poi? L’idea del centro, la viltà degli affari, il piacere dell’élite a gustarsi l’agio e la bellezza pagata con il sangue degli ultimi, e penultimi, quelli prima degli ultimi, e fantasmi, e a ballarci sopra con la polvere di ossa spaccate che si alza come nebbia artificiale a nascondere l’atrocità dei servi. Stanno tutti bene quelli che vedi, tutti comodi quelli che senti, occupati e frenetici quelli che ti circondano. È un continuo imbroglio, da millenni, la pietà. Ti parlo, non mi ascolti e fai bene, non hai bisogno di me, l’ho capito ma sono io ad avere bisogno di me. Non ti permetto più di farmi male, desidero la tua indifferenza, invece mi attacchi e contesti le mie idee, i miei pensieri fermentano come veleno nelle tue parole, mi attacchi e mi distruggi. Italo

«Grazie Caterina, il tuo caffè risuscita… oggi è una bella giornata, vero?» la guarda posando la penna.

«Si dottore, non fa caldo, non fa freddo e il giardino è in fiore…» e lo dice canticchiando mentre appoggia con delicatezza il vassoio dorato sull’imponente scrivania di noce, tra carte e libri, aperti e chiusi, nell’unico spazio libero da parole scritte.

«Grazie Caterina, le adulazioni mi commuovono, dalle tue labbra risuonano con l’armonia dell’innocenza… lo sai vero che hai il nome di una regina?»

«Sì dottore, me lo dite in continuazione, serve altro?»

«Dimmi la signora dorme?»

«Certo, doppia dose di sonnifero come lei ha prescritto.»

«Bene, oggi rossetto vermiglio. La svegli alle diciassette con un bacio in fronte e gli dai questa lettera insieme al suo cioccolatino preferito, allo specchio comincerà ad urlare e tu sarai pronta con le solite benzodiazepine…»

dal contest sese20R  del gruppo FB Scrittori e Scrittici Emergenti con tema “te lo dovevo dire” e limite 2000 battute

TORMENTI

Camminava da ore sulla strada bagnata da tormenti. Le gocce di pioggia fine fine come spilli gli pungevano la faccia e rendevano pesante metro dopo metro il giaccone di lana, quello blu, preso al volo per uscire immediatamente a cercarla. Con lo sguardo alto sulla folla, dentro la folla, oltre la folla di gente che non sapeva, non poteva sapere e al più non poteva che fregarsene. Il cellulare spento e niente messaggi sul tavolo o sotto la calamita sul loro frigo da oltre vent’anni, scelto insieme tra mille.

Al mattino, prima di andare, aveva intuito che quell’ultima notte insieme poteva essere l’ultima per sempre. Poi i doveri e il lavoro l’avevano distratto ma tornato a casa, l’intuizione era diventata realtà: lei non c’era, il suo cellulare spento, abbandonato in camera da letto.

Camminava e il tormento della strada affollata senza di lei aumentava, l’avrebbe trovata nel loro posto magico, ne era sicuro ma mentre avanzava deciso controllava i volti e gli ombrelli aperti che si urtavano frenetici per tornare a casa come non aveva fatto lei quella sera.

Raggiunse il porto, superò il molo più grande mentre il faro scagliava in lontananza un fascio infinito di luce nel buio del mare, buio come il suo timore, agitato come il suo tormento. Arrivò allo scoglio dove con gli amici e don Tonino s’erano giurati amore eterno, sposati, dove il loro primo bacio anni e anni prima fu il battesimo di una relazione immortale.

Lui si era umiliato, si era annullato, non esisteva che lei e per lei avrebbe dato la vita. Ad ogni crisi per ore su quello scoglio abbracciato dal mare aperto, tornavano uniti e si giuravano di non lasciarsi mai. Gli schizzi di un’onda gigante rimbalzarono sul muro di pioggia diventata battente ma lui avanzò ancora.

Lei non c’era. Si arrese immobile all’evidenza mentre un’altra onda alta quindici metri, improvvisa, lo affogò per sempre.

Anche lei tornò su quel masso di cemento a cercare lui, ci tornò con il bel tempo, serena. 

racconto 2000 battute proposto al contest #sese20righe_lamorteèdonna del gruppo FB Scrittori E Scrittrici Emergenti

LA SCELTA

«Che mi dici di quei segni ai polsi, sul braccio e sul collo?»

«Cime, corde marinare come quelle che tendono le vele» il tono deciso non ammette repliche, conosce bene il mare, lui il male, lei la scienza. Con lei sarebbe andato ovunque, ma a veleggiare come voleva lei mai, non aveva paura del mare, aveva paura di quanto lei gli piacesse, aveva paura di annegare dentro di lei, di affogare ancora una volta nell’amore.

«Strangolata?» le chiede con distacco ma la tensione sporca la voce, e lei lo sa, fino alla soluzione del caso l’empatia con la vittima lo torturerà ogni minuto, lo conosce bene e ha smesso di invitarlo ad uscire, oltre la relazione professionale ne avverte il disagio, il rifiuto, capitolo chiuso.

«È morta nella notte, tra le due e le cinque, credo da almeno dieci ore. Domani dopo l’autopsia ne sapremo di più e sarò più precisa. Adesso vado, qui ho finito. Ascolta, è stata lavata e profumata e poi vestita, non ci sono altre tracce e so cosa stai per chiedermi, no! Niente sesso.»

Si lasciano senza salutarsi, come fanno sempre ormai da mesi. Sono colleghi, oltre il lavoro non si cercano e anche se il desiderio coinvolge entrambi, è un capitolo chiuso.

Il tenebroso Costanzo torna in centrale dove il colpevole si è consegnato e ha confessato. Cambia umore, i colleghi della OMICIDI lo conoscono bene, quando ha tra le mani il responsabile del delitto è un’altra persona, affabile, leggero, torna a scherzare, a essere l’amico che tutti vogliono avere.

«Perché lo hai fatto?»

Per chiudere il caso il poliziotto vuole il movente: quasi con tenerezza prova ad entrare in quello sguardo vitreo che gli da sui nervi, gli afferra le spalle, lo agita con delicatezza, prende tra le mani la faccia dell’uomo assente, e con voce pacata ci riesce, sveglia l’assassino.

«Era troppo pesante commissario, mi schiacciava il cuore, il corpo, la mente, troppo pesante commissario, un fardello troppo pesante, ho scelto la leggerezza.»

Solo per pochi minuti gli occhi criminali si sciolgono come il vetro nelle fornaci di Murano, mentre lacrime roventi gli rigano la faccia, parla di quel famoso romanzo tascabile. Lo ha tirato fuori dal cappotto e glielo porge «Legga le righe che ho segnato, capirà: ho respirato i suoi ultimi sospiri e come l’elio rende un palloncino meno pesante dell’aria, così mi sono sentito leggero, tanto leggero da volare via. La mia scelta non merita attenuanti, lo dica al giudice, tenetemi in gabbia per sempre, legato, io ne voglio ancora…» raffreddato dalla confessione l’uomo diventa muto, dopo un’ultima frase : «Legga solo quello, il resto è una storiella come la mia.»

Uscito dalla stanza gelata di silenzio raggiunge la strada ancora scura e deserta. Il sole appena sorgente dietro i palazzi della città che dorme, gli scalda il cuore, e pensa a quelle belle cosce che lei nasconde come un’arma letale, con un sorriso malandrino stampato in faccia prende il cellulare e chiama il suo medico legale:

«Che vuoi? Non riesci a dormire?»

«No, non voglio dormire, si è costituito e ha confessato, il caso è chiuso»

«E ti pare una buona ragione per svegliarmi? Non potevi aspettare domani…»

«No, non posso… Hai mai letto Kundera? Lo so è l’alba, dimmi solo se posso passare da te…»

“Se l’eterno ritorno è il fardello più pesante, allora le nostre vite su questo sfondo possono apparire in tutta la loro meravigliosa leggerezza. Ma davvero la pesantezza è terribile e la leggerezza è meravigliosa? Il fardello più pesante ci opprime, ci piega, ci schiaccia al suolo. Ma nella poesia d’amore di tutti i tempi la donna desidera essere gravata dal fardello del corpo dell’uomo. Il fardello più pesante è quindi allo stesso tempo l’immagine del più intenso compimento vitale. Quanto più il fardello è pesante, tanto più la nostra vita è vicina alla terra, tanto più è reale e autentica. Al contrario, l’assenza assoluta di un fardello fa sì che l’uomo diventi più leggero dell’aria, prenda il volo verso l’alto, si allontani dalla terra, dall’essere terreno, diventi solo a metà reale e i suoi movimenti siano tanto liberi quanto privi di significato. Che cosa dobbiamo scegliere, allora? La pesantezza o la leggerezza? “Questa domanda se l’era posta Parmenide nel sesto secolo avanti Cristo. Egli vedeva l’intero universo diviso in coppie di opposizioni: luce-buio, spesso-sottile, caldo-freddo, essere-non essere. Uno dei poli dell’opposizione era per lui positivo (la luce, il caldo, il sottile, l’essere), l’altro negativo. Questa suddivisione in un polo positivo e in uno negativo può apparirci di una semplicità puerile. Salvo in un caso: che cos’è positivo, la pesantezza o la leggerezza? Parmenide rispose: il leggero è il positivo, il pesante è negativo. Aveva ragione oppure no? Questo è il problema. Una sola cosa era certa: l’opposizione pesante-leggero è la più misteriosa e la più ambigua tra tutte le opposizioni.” Milan Kundera – L’insostenibile leggerezza dell’essere

… da un esercizio SESE20R di scrittura creativa del gruppo FB Scrittori E Scrittici Esordienti. Il tema proposto era leggerezza.

INCROCI

Sapevi perché eri lì ma non come c’eri finita. Le persone dipendenti smettono all’improvviso di assumerla poi soffrono di una forma perversa di abbandono, lentamente il corpo se ne va. Ricade. Ci provano, ma per ragioni che nessun medico sa spiegare, il cuore non si ripara. Che esiste una categoria di persone senza cuore. Che la delusione non serve. Che non c’è tempo per sentirsi sollevati. Che la preda sei tu e puoi solo scappare. Che la botta bianca di calore chiude gli occhi e spegne il cervello. Che lo stomaco vuoto non fa male quanto un intestino trafitto da spine. Che ti piega in due. Che la testa ricade sull’asfalto insieme al busto. Che struscia sul muro lercio in fondo al vicolo. Che è buio per strada anche di giorno. Che il verme dentro è impossibile da saziare. Che a morire non sei capace e farsi uccidere non paga nessuno. Che non eri sola ma l’ostilità aumentava, ogni volta, alla fine dei perdoni ripartivano i processi. Che ricadono altri e allora ricadi anche tu. Che non c’è tempo per pensare. Che devi agire. Che a lamentarsi sono quelli che non sanno cos’è, sanno perché ma non come ci sei finita. In ospedale. Che ti hanno lasciato sempre sola, dopo. Che adesso ti stanno chiamando mentre sogni un nuovo posto dove vivere. Un colloquio. La selezione. Un lavoro dignitoso. Che stai per entrare. Che questa volta non scappi. Che è reale. “Che più del sessanta per cento di tutti gli arrestati per crimini connessi a droga e alcol dichiara di essere stato oggetto di abusi sessuali da bambini, mentre i due terzi del restante quaranta per cento affermano di non riuscire a ricordare la propria infanzia con sufficiente precisione per dire qualcosa riguardo a eventuali abusi.” Che anche questo hai elaborato. Che è di uno scrittore famoso. Che hai fatto bene a tenerla fuori dal curriculum. La verità. Che sembreresti macchiata e questo non aiuta. Sporca e questo non redime. Umiliata e questo non crea empatia. Che stanno chiamando te mentre una mano stringe la tua. Muoviti ti dice e tu lo senti. Lucida. Che a stare fermi si muore. Che eri in coma, ricaduta, quell’ultima volta. Che quella mano ti scuoteva per svegliarti mentre adesso ti accompagna ovunque. Che quel bel medico scontroso ti aveva salvato la vita e fatto di te la sua dipendenza. Che non esiste strada senza incroci. Che se manca la corrente i semafori non hanno luce. Che vai, adesso vai, la testa alta e vai. Lo scrittore famoso? Morto suicida. Tu no sei viva e allora goditela, la vita.

manhattan bridge
Photo by Guilherme Rossi on Pexels.com

da un esercizio di scrittura creativa del gruppo FB Scrittori e Scrittici Emergenti – #sese20righe_strada

FURORE


Furore? È il giorno della rivolta.

Viviamo senza cielo, il nostro sole è il magma bollente, il centro della Terra.

            «Ho una domanda Fidel: ribelli si nasce o si diventa?»

            «Oggi il mare è rosso Ernesto, l’ossigeno non è più una molecola naturale prodotta dai verdi, è chiaro che lo siamo diventati… Ma che ti prende? Ti sembra questo il momento? Concentrati e stai zitto!»

Le ultime dosi di eccitol gli provocano effetti indesiderati. Dubbi incertezze e distrazioni prendono il controllo, tremori, anche adesso. Nelle retrovie, lontano dal fiordo, nella roccia profonda, millenaria, il dottore aveva minimizzato ancora una volta: “Non è niente, stai bene, puoi combattere” aveva detto dopo gli ultimi test d’ammissione.

Riflesse nel visore vede gocce gonfie di sudore rompersi e dalla fronte scendono nel generatore d’aria del casco da combattimento.

Chi non suda non vive, gli insufficienti sono esseri estinti, come tutti i vegetali sulla crosta ormai deserta. Non è una regola o una legge, sono secoli che la vita discrimina: sopravvive solo l’evidenza della riproduzione.

Dai segnali fluorescenti quasi interni alla sua pupilla destra, l’occhio libero di Ernesto, si sposta verso il compagno al suo fianco, immobile come lui, dietro al cannone quantico pronto a fare fuoco.

            «No Fidel, io non credo, la vita si ribella alla morte, ma ne parleremo dopo. Nel gran consiglio della caverna regnante, ti hanno messo in discussione, ti vogliono fuori dal governo. Dovrò difenderti fratello mio ma adesso pensiamo alla missione, ora i nemici sono gli acquatici.»

            «Attento Ernesto, guarda! Le vedi le bolle? Stanno arrivando.»

Mille anni fa l’atmosfera fu violata, cambiò colore, la scienza dei nostri avi smise di funzionare. Ogni previsione fallì. La variante aliena costrinse i sopravvissuti a scappare dall’aria tossica: gli abissi negli oceani o la terra sotto le montagne, non vi fu altra scelta. I ricchi tecnologici s’impadronirono dei mari, ai poveri non restò che scavare. La mutazione anfibia arrivata dopo, oggi li condanna: umani come pesci a respirare l’acqua salata. La genetica li ha resi schiavi di una risorsa evaporata, consumata, il mare è sempre più rosso, stanno soffocando.

            «I bastardi vogliono le nostre gemme di clorofilla, oggi troveranno la morte!»

            «No Fidel, non ci sono masse fredde in movimento, il mio radar è vuoto, non c’è attività sotto la superfice, tu dove le vedi queste bolle?»

I due si guardano perplessi oltre la visione dei livelli vitali fuori scala che nel casco segnalano tensioni fisiche fuori controllo. L’ignoto è una frusta che taglia ogni scudo emozionale, sono allenati e preparati ma la paura rende umano ogni soldato. Non si fidano, altre battaglie sono finite male e questa non sarà l’ultima. La vita si ribella alla morte, questo è sicuro, si nasce ribelli, aveva pensato Ernesto la notte prima di partire, o forse era già giorno, non ricordava bene la sequenza degli eventi ma adesso ha altro per la testa; la sudorazione aumenta come la tensione per la sorte di suo fratello in armi. Il respiro affannoso diventa opprimente scansione del tempo sospeso nel dubbio. Le domande servono ma nel dubbio puoi mai fermare l’azione?

Fuori le bolle adesso sono evidenti, aumentano, si vedono, ma i sensori visivi dell’apparato neuro connesso alla tuta non rilevano movimenti sotto la superfice rossa di questo mare mutante: mai come ora, è la lingua rovente di un diavolo furente che li minaccia fin dentro casa.

“Hanno scelto il fiordo leggendario come è previsto nelle scritture” aveva detto Fidel prendendo il controllo dell’apparato di guerra.

L’invasione è imminente. L’agitazione cresce, rende catatonica l’attesa. Sulle spiagge antiche, la polvere di roccia altissima, a strapiombo da millenni, si è ceramizzata, non esiste più sabbia ma un pavimento rugoso, duro più del vecchio cemento usato nell’antichità. Questo nuovo mondo ci ha tolto l’aria, l’abbraccio, l’incontro delle emozioni umane, intanto bolle sconosciute emergono senza suoni, mute.

Ernesto si rigira imprigionato nella tuta tecnologica che gli stringe ogni muscolo dolorante, è una camicia di forza; anche questo aveva detto al suo dottore.  Si sente affogare di sudore, alza le braccia davanti a sé per pararsi dalla tremenda emersione che li aspetta: «Arrivano!»

E allora? Teso come una corda di una vela piena di vento forte, con uno spasmo faticoso riprende il controllo delle mani, afferra i comandi e spara all’impazzata verso quella minaccia invisibile.

Entra decisa senza bussare. Capelli sciolti, lisci e rossi, tacco nove, tailleur incollato e trucco pesante, striscia i piedi per non farsi sentire nel buio della stanza tanto rovente da fermarle il respiro, conosce la strada e va diritta all’interruttore per aprire la persiana motorizzata.

            “Aria, aria e luce, luce” pensa nel silenzio appena disturbato dal potente motore elettrico che tira su la tapparella d’alluminio verniciato di verde.

Lei, architetto dei vip, sospira languida al primo fascio di sole che illumina il suo cristo umido e velato, atletico campioncino di tuffi e nuoto; accanita nello sguardo sul letto che brilla, indugia sui muscoli e ne ammira una possente erezione, poi grida:

            «Libero alzati. Sei in ritardo!»

Il piccolo si sveglia incazzato nel suo sudore rovente.

            «Cazzo mamma ma perché? Chiudi e vai affanculo!»

Il lenzuolo inzuppato gli attorciglia anche la testa, in un attimo si libera mentre pettorali e bicipiti guizzano luminosi come lampi strobo, scatta come una molla d’acciaio e tira le gambe verso la faccia, si chiude girandosi sul lato verso la porta opposta alla luce, diventa un feto in automatico senza pensare, serrando un cuscino blu mare tra le gambe. La voce cruda del figlio non la ferma. Invadendo lo spazio tra i due, un potente fascio di luce dalla finestra rimbalza da un poster patinato diventato da tempo insopportabile alla donna. L’abbaglio fastidioso le chiude gli occhi e la scuote dal momento di estasi in cui il corpo perfetto del figlio l’aveva rapita.

            «Ancora pensi a quella trecciolina svedese? Alla tua età, tuo padre sul muro teneva appese foto che …»

            «Sì, che incendiavano desideri e urlavano passione, e che palle mamma, sempre la stessa storia, stavo sognando e tu…»

            «Sì amore, immagino cosa stavi sognando, ma non voglio sapere niente, è tardi e devo andare, muoviti, la colazione è pronta!»

            «Sì, appunto, devi andare a fare in culo e rimanerci, chiudi! Ti ho detto chiudiiii!»

Incurante e determinata a portare a termine il solito rituale mattutino, con delicatezza accompagna la super poltrona nera da gaming con la meglio ergonomia di livello professionale disponibile sul mercato, e si sposta dalla finestra girando intorno all’immensa scrivania tecnologica devastata dal disordine. Adesso i tacchi stridono frenetici sul pennellato di Vietri: quel pavimento le era costato un occhio della testa ma ne andava fiera come di quell’essere possente che aveva generato, bello come il sole della sua Costiera. Mentre pensa a quell’assurda fissazione del figlio di tenere spento il condizionatore nelle notti più torride dell’estate, raccoglie un libro volato per terra nello scatto pudico del suo erede solo qualche secondo fa. Tra le mani ne guarda accigliata la copertina colore avana con la foto di due palme sottili, altissime, e una ciminiera sbuffante di una fabbrica sullo sfondo. “Affatto caraibico” pensa leggendone il titolo: “Che” Guevara economista.

            «La devi smettere di prendere i libri di tuo padre dallo scantinato, sono inutili. Come te lo devo dire? Medicina o Architettura, è deciso! Alla meno peggio Ingegneria, ce ne sono tante, che dici? L’aerospaziale per esempio, la Martucci dice che sei sempre con la testa tra le nuvole. Comunque, a questo proposito il nonno ti aspetta. Ha detto che ti deve dare una cosa, si è raccomandato molto. Se non vuoi andare in farmacia vai a casa sua così saluti anche la nonna» e lo dice mentre lo guarda con tenerezza aspettandosi una risposta in sintonia alla sua supplica.

            «La prof non capisce un cazzo, peggio di te!» la voce schiarita del ragazzo accompagna un dito che si alza dal pugno chiuso adagiato sul ginocchio scoperto, è un indice medio, nerboruto e teso verso la faccia di lei.

            «Signorino Orsini lei è un grande cafone, non le consento di maltrattare sua madre in questo modo. Villano e cafone…» stizzita rialza la voce mentre il libro vola nella stanza planando tra l’iMac argento ventiquattro pollici e due pile di DVD che dal tavolo crollano sul pennellato di Vietri con un rumore assordante di plastiche spaccate. 

            «Sei pessima! Smettila, fai solo casini, lasciami dormire in pace, vai via…» e lo dice serafico mentre il dito ribelle rientra nel pugno chiuso afferrando il prezioso lenzuolo bianco ricamato con fiori di seta. Tira un lembo fino a coprirsi la folta criniera rasta, quando decide di stare zitto perché sa che finisce male se dice quello che sta pensando: “Tintura, silicone e tacchi a spillo ti stanno rovinando. Mammina cara, sei ridicola!”

            «Libero alzati. Sei in ritardo. Dai non farti pregare, Gianni ti aspetta all’entrata del Policlinico, è un amico fidato, ti accompagna all’aula dei test d’ammissione. Avevi promesso che ci saresti andato…» dice lei provando una timida carezza ferma in aria a pochi centimetri dal contatto fisico che desidera con tutta sé stessa da troppo tempo.

            «Lo hai sentito, lui che dice?»

            «Tuo padre? Dice che sarà in piazza Plebiscito sotto Palazzo reale per una manifestazione contro la guerra, dice che gli farebbe piacere passare una giornata con te. Puoi raggiungerlo dopo i test all’università, tanto faranno sera, pare organizzino anche un concerto. Però non fare tardi e stai alla larga da quelle sue sciatte compagne di strada!» mitraglia parole senza pause con acuti lancinanti di disprezzo.

            «E il nonno che vuole?»

            «Vuole regalarti un viaggio per la maturità e aiutarti a scegliere, lo conosci è un vecchio saggio evergreen, muore dalla voglia di coccolarti un po’…» dice lei con un tono tornato sinuoso, materno.

L’aria pulita del mattino addolcisce l’animo dei due, i loro pensieri prendono a svolazzare leggeri. La camera passa dal conflitto ad una tregua condizionata.

            «Vai mamma, tranquilla, sto bene.»

Lei si arrende, ammutolita, e strisciando i piedi si avvia verso la porta.

            «Mamma aspetta, ti ricordi quella bella settimana a Positano?»

            «E chi se la scorda, andasti in fissa per i tuffi dalle grandi altezze. Furore, un incubo! Perché me lo chiedi?»

            «Mi prenoti una settimana in quella villa a cinque stelle del tuo amico? Dai, tu fammi questo regalo.»

            «Va bene Libero, ti accontento però tu oggi vai a fare i test d’ammissione a Medicina!» sorride compiaciuta. Uscendo chiude la porta senza fare più rumore.

L’attimo di pace diventa frenesia, il giovane di belle speranze allunga la mano verso il comodino dove afferra l’iPhone antracite e inizia a scrivere:

@GretaThumberg ciao, ti scrivo perché adesso so cosa dobbiamo fare, ti vengo a prendere e ti spiego 🤗 PS 😱 tic tac tic tac… su youtube ho visto Sara la tua agente italiana 🤣 mi è piaciuta molto: “un altro mondo è possibile perché la guerra è fossile, la pace è riciclabile” 👏 non ti muovere, arrivo! 😘

Soddisfatto rimette lo smartphone sul comodino dove nella notte aveva buttato la maglietta e il pantaloncino griffati che indossava la sera prima. Mette a fuoco i colori del suo rifugio e con una capriola fulminea cambia posizione mettendo i piedi al posto della testa. Steso sul letto, finalmente libero e rilassato con il finestrone dell’attico di mamma alle sue spalle, ammira la ragazza illuminata a giorno nel poster gigante che riempie il muro. Chiude gli occhi e si sente abbracciato a Greta, a respirarsi con lei bocca nella bocca. Fusi in un corpo solo si tuffano nel fiordo con tutto il mondo collegato in diretta che li sta osannando. L’attimo di estasi diventa frenesia, una scossa violenta gli attraversa il corpo incurvandolo verso l’alto, poi ricade in un secondo avvinto senza forze con il cuore che martella pesante nel petto. La frenesia diventata amplesso si placa nella pace dei sensi, gira il collo dietro la spalla aprendo gli occhi verso il blu che lo guarda dall’alto mentre un jet taglia il cielo con una scia bianca densa di speranza:

“Amore, voglio solo più amore, voglio di te il furore dell’amore. È deciso, andrò a Lettere per studiare come rendere passione il desiderio della vita. Per vincere la guerra bisogna volare alto, allora dottore sì, ma di parole.”


I RACCONTI DELLA DIVINA

tra il verde, il giallo e il blu della Costiera Amalfitana

Autori Vari, 2022 Officine Zephiro Editore

Prefazione di Vito Pinto

Caro Diario, anche a mente fredda non riesco ad estraniarmi da questa raccolta di racconti, è ovvio mi dirai, ne contiene uno tuo e quindi… Si è vero c’è FURORE e ancora stento a crederci: osare e partecipare, sgombrare la mente, rimescolare i pensieri e mettere la cera e togliere la cera… Lucidarsi serve, e tu caro Diario, come uno specchio a riflettere tutto il bello che leggo e rileggo tra le mie mani, con occhi avidi di parole… l’arte di belle persone con la passione della scrittura!

La grandezza di questa raccolta la fa l’insieme dei racconti, la cinquina premiata e gli altri menzionati, nell’abbraccio di un evento culturale di grande prestigio quanto di una scommessa estremamente ambiziosa. Scommessa vinta e rilanciata per il prossimo 2023 da Alfonso Bottone, Direttore artistico con la D maiuscola, al servizio della bellezza eterna della “Divina”. Sono caduto nella sua rete e della sua pesca non posso che nutrirmi, mai sazio nel volerne condividere sentimenti, visioni, emozioni, estasi di vita, avvinto nella sua presa tentacolare, perché coraggio e bellezza sono le due facce di una moneta che non dovrebbe mai avere un prezzo, la esaltano e la disprezzano, la comprano e la vendono, la rubano, la copiano e ne nasce di nuova, si chiama arte e a ben dire la poesia e la letteratura come la natura vergine, ne fanno parte in un solo insieme. Né noia né stanchezza ma solo coraggio e bellezza.

CUORE DI CORALLO di Ivano Ciminari è un racconto che sfida l’oblio della ragione, che sfonda la roccia dell’indifferenza, che riporta a galla tesori dell’anima mai scavati, fantasie e spettri crudeli, fantasie e fantasmi così possenti da frustare e rimettere in moto desideri di giustizia e di evoluzione esistenziale cui tutti dovremmo tendere. La leggenda si fa maestra, madre di vita e letteratura finissima suo strumento di comunicazione.

FRATELLI di Elvira Rossi è un racconto che regala emozioni profonde e grida al mondo la grandiosità dell’umanità che nonostante tutto è amore. Quello dei naufraghi che hanno perso tutto e che si aggrappano alla vita per continuare ad amarsi. Un padre, un figlio, una nuova casa, il dolore perenne dei ricordi, la complessità irrisolta del presente, il futuro costruito giorno per giorno sul dolore, sulla fatica del bisogno di rinascita: FRATELLI è un racconto universale, tosto e struggente, da condividere come vera speranza di umanità, per non essere scogli isolati in mezzo al mare, ma artefici di un mondo migliore.

LUCI E OMBRE di Angela Torri è un racconto sulla forza delle “femmine”, un racconto che attraverso l’emigrazione di una giovane di oggi, racconta le migrazioni di ieri, e quindi la nostalgia della propria terra. Ad emergere è la forza della memoria che si tramanda tra generazioni e che si pianta nell’anima e poi fiorisce nel momento del bisogno. Tra le lacrime della sofferenza di chi è costretto lontano dalle proprie origini, il ricordo si fa tenace consapevolezza, e alla fine l’esempio tremendo del passato rende il presente una sfida da raccogliere: crescere con le montagne avanti da scalare.

LA CASA DI PIETRA GRIGIA di Angela Procaccini è un fantastico tributo alla memoria di Simonetta Lamberti, vittima innocente delle mafie, morta il 29 maggio 1982. Il racconto riporta le sensazioni, la gioia e la grazia di lei, bimba di dieci anni, in vacanza con la madre a Praiano mentre percorre la strada che porta il suo nome e che collega la Statale della Costiera amalfitana giù al mare della Praia. Per non dimenticare mai.

SALE di Fausta Altavilla è un racconto dedicato a Cetara e alla sua famosa colatura di alici. Da adolescente, con il ricordo della morte del nonno, Salvatore racconta di se e della sua complicata vita familiare. Dal Canton Ticino con la madre ritorna al paese e dai giochi passa alle cose serie che gli hanno lasciato un segno profondo, la lavorazione delle alici che gli mostrò la nonna, lo spirito del pescatore e soprattutto il mare, quello profondo, ricco di alici, blu cobalto, il mare unico della Costiera amalfitana.

ANDREA E KAFKA di Mauro Valentini è un racconto noir di grande coinvolgimento e tensione. Un delitto non è mai un evento scontato ma dentro un momento di vacanza quale quello che si può vivere in estate in Costiera Amalfitana, questo delitto prende la forma dirompente del mistero, dell’inaspettato. Ad essere protagonisti sono i pregiudizi verso quelle differenze sociali che mettono subito nella lista nera chi lavora rispetto a chi è in vacanza ma l’autore mette in fila emozioni e avvenimenti, rende le scene vivide e alla fine fa trionfare la letteratura, la verità. È un giallo di grande qualità con un finale che rende merito alla bellezza delle passioni.

mooring bollard with rope

INNAMORARSI AD AMALFI di Rosa Cianciulli è una bella storia d’amore, l’amore per un posto unico come Amalfi. La storia è particolare: una ragazza napoletana emigrata a Torino nel dopoguerra che torna al Sud per ritrovare zia Maria, la sorella della madre. Non svelo niente ma posso dire che è un racconto tenerissimo per come racconta bene la magia che trasforma in positivo le persone: vivere in un posto meraviglioso fa stare bene. Scontato? Magari lo fosse per tutti.

DIVINA AGLI OCCHI DI CHI NON VEDE di Lucia Quaranta è semplicemente splendido. “Se sposti i confini incominci a viaggiare…” questa è la frase su cui l’autrice ha costruito un racconto avvincente, tenerissimo e pieno d’amore, di quell’amore che stenti a credere possa esistere, di quell’amore che rende degna la vita di essere vissuta. Pertanto posso solo dire che in un’epoca in cui i confini sono ancora pretesto di guerre l’idea dell’amore di chi non vede è forse la vera speranza che ci rimane.

SOGNO DI UN’ESTATE CETARESE di Graziella Anastasio racconta i suoni di Cetara: le parole e la vita delle persone, la riscoperta di tutte quelle emozioni che investono chi ritorna, di chi poi presenta al mondo il suo sogno oltre le radici. Il passato, oltre le immagini e le visioni, oltre le relazioni che rendono condiviso l’orgoglio e la riconoscenza per questa terra unica oltre il personale e la soggettività delle proprie esperienze.

FURORE di Pietro di Gennaro >>> leggilo a questo link

“i racconti della Divina” sono stati valutati da una giuria composta da Michele Buonomo, componente del Direttivo nazionale di Legambiente, Vincenzo Falco, dirigente Istituto Istruzione Superiore “Marini-Gioia” Amalfi, Andrea Ferraioli, presidente Distretto Turistico Costa d’Amalfi, Michele Ingenito, scrittore – giornalista – docente universitario, e Vito Pinto, giornalista – scrittore.

Il 7 luglio 2022, il Presidente di giuria Michele Buonomo e il Sindaco di Atrani Luciano De Rosa Laderchi, hanno premiato i vincitori del Concorso Internazionale “i racconti della Divina”. Primo classificato Ivano Ciminari di Salerno, seconda Elvira Rossi di Salerno, al terzo posto Angela Torri di Ferentillo (TR), quarta Angela Procaccini di Napoli, al quinto posto Fausta Altavilla di Manfredonia (FG). Menzioni inoltre a Mauro Valentini di Pomezia (RM), Rosa Cianciulli di Castelfiorentino (FI), Lucia Quaranta e Pietro Di Gennaro di Salerno, Graziella Anastasio di Cetara. 

AVVOCATI

Avvocato io, avvocato lei, con il senno di poi non avrei scelto un avvocato. Perché? Perché il senno di poi è una sciagura, quando ti va bene finisci in tribunale e perdi, perché se vinci il tormento aumenta, “avevo ragione” ti perseguita e si placa solo con un appello che preghi in segreto lei possa presentare. Magari perdo in appello e il mio senno di poi sparisce, finalmente. Perdere per un avvocato è tutto sommato meno pesante della sconfitta per un cliente, lui ti paga lo stesso e comunque, vuoi mettere la speranza che si apre con un appello? Così posso perdere e mettermi il cuore in pace, quel cretino di cuore che mi ritrovo nel petto, cieco come un pipistrello di giorno, un vampiro di notte, sì era quello che mi piaceva della mia bella vampira, tutto il sangue gli avrei donato volentieri quando mi succhiava sul collo durante l’amplesso.

Con il senno di poi avrei scelto un’altra, altro che avvocato come moglie, è stato un continuo dibattimento, a cominciare dalla luna di miele ma anche prima nella scelta del viaggio di nozze: è che ci piace discutere e avere ragione, e oggi anche di più dopo la separazione consensuale, un vero atto di guerra, altro che pace.

Tutto era perfetto fino a quel giorno, un maledetto giorno qualunque. Con il senno di poi avrei dovuto rinunciare a quel mandato che ci vedeva contrapposti a rappresentare due che volevano divorziare e non volevano divorziare veramente, lui un camorrista, lei una camorrista peggio di lui. Perché non ho rinunciato? Perché doveva rinunciare lei non io!

Da quel giorno il nostro rapporto è trasceso e ci siamo portati il conflitto dentro casa, ci siamo inaciditi come il vino rimasto troppo tempo all’aria, nella bottiglia, per quanto prezioso e sopraffino.

Così è andata e ora spero di perdere con lei perché solo così sparirà la mia ossessione, nella testa quella voce che mi ripete all’infinito, “avevo ragione” non dovevi sceglierti un avvocato come sposa.  Chi ha ucciso chi? Ma che domande sono?

un esercizio di scrittura creativa – 2000 battute – dal contest SESE20righe sul gruppo FB Scrittori e Scrittrici Emergenti – tema: il senno di poi

PISTOLA

Ti ho messo una pistola in mano e adesso ti guardo, sparami penso e ti fisso negli occhi, immobile.

«Chi sei veramente?» mi urli contro e il sangue alla testa alimenta la tua collera. Urli e io ti vedo bruciare come Johnny il Ghost Rider. Immaturo mi dici. Ripeti più volte lo dovevo capire prima. Tu appassionata ai miei fumetti per starmi più vicino, dentro le mie fantasie.

«Ti odio, ti odio!» mi urli contro, tra parole e silenzi increduli di tanto dolore.

«Perché? Perché?»

Perché tu non lo puoi sapere. Non ti ho mai raccontato quello che è successo a me, nessuna pietà, non volevo guastarti con quel dolore che sento ancora, il mio. Non ho giocato con i tuoi sentimenti, ti volevo e ti voglio ancora ma non voglio il tuo perdono, voglio la tua ira conficcata nel mio petto come una pallottola di pistola che spara tutta la rabbia che adesso hai in corpo. Questo voglio ma non ti parlo, non reagisco, perché sono il tuo carnefice, e tu lo vedi il ghiaccio nei miei occhi e così più forte la collera ti avvampa. Che aspetti? Mi chiedo. Nelle mani hai la prova del mio tradimento, nel cellulare che nell’aria fai vorticare insieme alle tue belle braccia allenate, i messaggi e le foto hard di me e di lei, la tua migliore amica.

Che aspetti? Sparami! E tu lo fai. Colpiscimi. E tu lo fai. L’angolo dello smartphone mi apre una ferita sulla tempia, e le tue lacrime copiose, e tuoi lunghi capelli arruffati, e i tuoi pugni violenti, si mischiano al sangue che inizia a sgorgare dalla faccia. Brava così, penso, colpiscimi più forte, me lo merito.

Amo il tuo ardore possente: così sei nel piacere, così sei nell’attacco, violenta, metodica, furente.

«Ti uccido! Ti uccido!» Urli mentre le tue nocche bianche come magli si abbattono sui miei zigomi ossuti, e adesso il sangue, il mio e il tuo, è avvinghiato come noi nei nostri amplessi. Una medaglia? Tu sei me, io allo specchio vedo il mio dolore di allora, necessario per fare di te una regina di kickboxing.

«Adesso basta, fermati! La lezione è finita» ti afferro le mani e ti fermo, adesso sì che puoi diventare una medaglia d’oro e anche di più.

esercizio gruppo FB Scrittori E Scrittrici Emergenti

#sese20righe_ioallospecchio

IL FILOSOFO

Vi racconto la fortuna di aver conosciuto il mio filosofo del cuore.

Quello è stato il giorno in cui ho capito la differenza tra crepa e crepato.

Pioveva quel giorno, ma essere bagnati davanti a quella porta non era affatto scomodo. Prima di entrare lui si componeva, passava il pettine nei capelli per sistemarsi il ciuffo, la prima impressione è quella che conta, diceva.  Ricordo come fosse adesso, io dietro e lui che suona il campanello.

«Buon giorno signor Alberto, puntualissimo, questa volta mio marito aveva ragione, prego accomodatevi…» che bella signora penso, mentre sono attirato dentro lo scollo della sua corta vestaglia di seta. Alberto non la degna di uno sguardo e senza convenevoli, come suo solito, aspetta guardandosi attorno nel ricco salone impreziosito da molti trofei sportivi. Lei con eleganza lascia la porta aperta e ci fa strada accompagnandoci lungo un corridoio adornato di deliziose opere moderne. Passiamo avanti anche ad una grande stanza attrezzata a palestra, sembra volerci dimostrare l’origine della perfetta tornitura delle sue splendide gambe o forse che in quella casa vivono maschi allenati?

«Nicò, hai sentito?» mi dice il maestro a sottolineare il grande tonfo provocato dalla porta d’ingresso sbattuta con forza dalla signora: «Mai guardare il corpo delle donne quando sei nella loro casa…»

Già trasalito dal rumore improvviso, quelle parole mi incasinano di più i pensieri ma Alberto mi riporta alla realtà: «Raccogli gli attrezzi!»

«Signora l’elemento è crepato, va sostituito. Adesso dobbiamo andare.»

«No che dite, non potete lasciarmi con l’acqua che scorre, dite a me, quanto sarebbe la spesa?»

«Non meno di mille e non più di duemila, dobbiamo rompere ma prima andare a comprare il pezzo.»

«Sì, sì va bene, ma vi prego tornate presto.»

Fuori dall’appartamento Alberto completa il discorso: «È vero le occasioni le ho avute, ci ho rimesso tanti soldi, e niente che una grande escort non poteva fare meglio. La crepa si ripara, il crepato no.»

Quando un filosofo parla con l’evidenza delle sue esperienze tutto si aggiusta o ogni dubbio… crepa?

Da un mio esercizio 20 righe del gruppo FB SESE (Scrittori e Scrittrici emergenti)

ALDERICO

Alderico il mio collega d’ufficio non è uno scrittore. Non scrive mai, nemmeno i biglietti d’auguri a Natale, né legge, nemmeno le circolari. Rifiuta appunti e anche il quotidiano al bar non lo interessa. Nemmeno quando in prima pagina andò a finire l’orrendo omicidio di Carla, la collega del cinquantesimo piano.

Non si informa, non studia più, fosse per lui l’editoria sarebbe estinta. Sa parlare, racconta e articola discorsi compiuti, ma a fatica, balbetta e ci rinuncia sempre. Alza le spalle e se ne va, senza mai un finale degno. Gli piace ascoltare però e non si perde mai una presentazione o un convegno, preferisce la trama dei grandi classici e si annoia quando toccano argomenti come le tecniche della scrittura creativa o la differenza tra un vero scrittore ed un dilettante, sputacchia, bestemmia, si alza e se ne va. Con lui i suoi quattro amici che si porta dietro, un gruppetto di intellettuali con papillon, scarpe lucide e camici a fiori, sempre gli stessi, è il suo branco. Lo seguono ovunque. Il più delle volte lo trascinano mentre lui balbetta, sputacchia, e bestemmia sempre. Almeno cinquecento pagine, con gli anni ’80 del secolo scorso la letteratura è morta, dice.

Eppure, ogni volta che in pubblico parla, affascina la platea, poi balbetta, la la la faccenda si crepa, sputacchia, balbetta ancora, alza le spalle e va via seguito dal branco che dai quattro angoli della sala lo raggiungono sulla porta. Più che una claque è un servizio d’ordine, applaudono Alderico o aggrediscono chi osa lamentarsi e peggio contestare Alderico. In silenzio, come arrivano così spariscono. Poi li vedi discutere animatamente al parco intorno ad una panchina, in mezzo a pusher africani e bambini incustoditi che giocano a pallone. Ultimamente, ad ondate ripetute, anche dall’europa dell’est, emigrazioni di donne, pusher e bambini incustoditi. Quando trovano un barbone è festa di papillon, bevono insieme, condividono la panchina, urlano, ballano e cantano, venerando il mondo homeless, prevedono la fine del mondo e il ritorno nelle caverne, a disegnare graffiti.

Amici e colleghi con crapule solenni, lo adorano, lo prendono in giro, da lontano, alle spalle, si divertono e lo evitano volentieri. È facile, Alderico non rivolge mai la parola a nessuno, ma in città senza Alderico in sala non inizia niente o quasi, la mezz’ora accademica non si nega a nessuno, poi se ne fa a meno volentieri. Però senza Alderico il professore, ogni evento perde importanza.

La provincia è così, elitaria a prescindere. Ha bisogno di personaggi.

Non ci sa fare con niente, Alderico lo conoscono tutti, non gli daresti un soldo bucato, ma quando parla affascina, venderebbe un sacco di libri se solo si decidesse a scrivere. Ci hanno provato ma lui, balbetta, sputacchia e se ne va. Se non bestemmia è perché gli manca l’aria e ha fretta di nascondersi. È un tipo sorpassato, per gente colta, affascina anche quando non parla, come fuori moda è un’attrazione fatale. Pagano da bere e da mangiare ai papillon pur di dare importanza all’evento. Le agenzie lo sanno bene, promettono pacchetti completi di campagne pubblicitarie e di successo assicurato. L’alternativa è l’oblio e Alderico lo sa, è il suo nirvana.

Anche se non sono un giornalista conosco tutto di tutti e, in tutta onestà, i discorsi di Alderico hanno equilibrio narrativo, usa parole e concetti densi di rimandi colti e raffinati. Eppure… Io credo che tutto dipenda dalla sua idiosincrasia verso i nuovi media, i social, e così via. Insomma, oggi si sa che passa tutto da lì e lui non vuole saperne. Si ostina con la sua essenza irriproducibile, osteggia singolarità e non ripete, come Paganini. È puerilmente convinto che basti la qualità e la cultura, il momento non le repliche. Si illude insomma e cambia papillon ogni giorno.

Lui, d’altronde, non fa mistero della sua avversione ai dilettanti, di coloro che promuovono imbarazzanti operette, quelle senza idee, prive d’esperienze vissute in prima persona, insomma, quelli che non li cerca nessuno. Basterebbe una congrega platoniana, ecco, quello ci vorrebbe per trattenerlo ancora. Invece no. Alderico continua a rifiutare aficionados, selfie e come tutti quelli come lui, si guarda bene dall’impegnarsi a lasciare un segno per gli altri, una rapida intesa, una lezione in saldo. Tutti immobili nella loro supponente superiorità di ritenerlo infondo inutile. Nemmeno una raccolta firme per salvaguardare la sua memoria. Un orpello insomma, un pezzo di scenografia.

Faceva il professore, l’ha inglobato una multinazionale. In ufficio? Io sono un testimone affidabile, ogni giorno gli sento dire: «La vita è breve, passiamo oltre.»

Al lavoro Alderico è un’altra persona, giacca, cravatta, e mai un papillon.

presentato sul gruppo FB Libri e Recensioni ed inviato al Concorso Lucius Annaeus Seneca -VII° Edizione: https://www.uniba.it/it/bacheca-opportunita-enti-esterni/anno-2023/premio-accademico-internazionale-di-letteratura-contemporanea-lucius-annaeus-seneca-settima-edizione

 

…quello che la primavera fa con i ciliegi

un piccolo esercizio di scrittura del fantasma, la traccia è questa frase:

vorrei fare con te quello che la primavera fa con i ciliegi” di Pablo Neruda

«Non ti fermare, continua» le dice con la gioia di un amore ritrovato, e lei non si ferma: sono gesti ipnotici senza tempo, scosse tenere, ripetute, delicate. Sospirando ad ogni reazione della pelle la vede riflessa, e immobile sulla sedia difronte allo specchio, gode di tante carezze inattese finalmente tornate intime. 

La continua a fissare con lo sguardo incollato ai suoi occhi che però sono sfuggenti – cosa sta pensando? – si chiede mentre nota che le sue pupille azzurro limpido, sono nervose, in cerca di vastità indecifrabili, guardano fuori verso la finestra a lato della toeletta per il trucco, già di nonna prima della sua infanzia; lei è assente, guarda lontano oltre le imposte spalancate sulla primavera che pulsa fuori, esplosa nel giardino.

«Amo di più la terra quando prende forma il caldo risveglio alla morte dell’inverno» dice senza fermarsi, sempre più dolce, assaporando la brezza tiepida che le arriva in faccia dal suo giardino, denso di gemme in fiore sull’albero più vecchio, quello più alto, e così si immagina bambina, arrampicata e felice.

La continua a cercare nello specchio ma non riesce ad afferrarne gli occhi, e allora vede i suoi capelli finissimi dorati di miele: le ondeggiano liberi sul viso senza trucco mentre la chiusura prolungata delle palpebre con ciglia quasi invisibili, sugella intensamente il piacere fisico nel respirare i profumi dei ciliegi in fiore.

È un attimo di estasi: «siamo ancora insieme, solo questo conta, il nostro inverno è morto», dice come se stesse parlando a qualcuno sull’albero, ma lei non si ferma, non rallenta, le sue carezze si fanno sempre più delicate mentre nei suoi occhi si combattano mille luccichii, colorati dalle gocce di rugiada che rinfrescando i primi petali dischiusi, riflettono il sole in ogni direzione.  I bagliori della luce nello specchio stridono con la pacatezza irreale della voce diventata adolescente, confligge l’amore e l’assenza di emozioni. Un brivido freddo inonda l’altra donna più giovane che smette di godere, e allora le prende la mano, la ferma rabbiosamente, si alza e abbracciandola con forza, la riporta alla realtà: «basta mamma! basta spazzolare, basta coccole! adesso ti metti seduta e lo faccio io a te! oggi devi uscire da questa stanza, ci vestiamo insieme e andiamo a fare shopping in centro, ti ricordi come mi dicevi? vorrei fare con te quello che la primavera fa con i ciliegi…»

pablo neruda

Pablo Neruda

Tu giochi tutti i giorni con la luce dell’universo.
Sottile visitatrice, tu vieni nel fiore e nell’acqua.
Sei più di questa bianca testolina che stringo
ogni giorno tra le mie mani come un grappolo.
A nessuna assomigli da quando ti amo.
Lascia che io ti distenda fra le ghirlande gialle.
Chi scrive il nome tuo con lettere di fumo tra le stelle del sud?
Oh, fammi ricordare come eri allora, quando ancora non esistevi.
D’un tratto il vento ulula e picchia alla mia finestra chiusa.
Il cielo è una rete cagliata piena di tetri pesci.
Qui vengono a battere tutti i venti, tutti.
Già si sveste la pioggia.
Passano gli uccelli in fuga.
Il vento. Il vento.
Io solo posso battermi contro la forza degli uomini.
La bufera fa turbinare le foglie oscure
e scioglie tutte le barche che stanotte si sono ancorate in cielo.
Tu sei qui. Oh, tu non scappi.
Tu mi risponderai sino all’ultimo grido.
Raggomitolati al mio fianco come se avessi paura.
Eppure, qualche volta un’ombra strana è corsa nei tuoi occhi.
E ora, anche ora, tu mi porti, mia piccola, caprifogli,
e hai perfino i seni profumati.
Mentre il vento triste galoppa e uccide farfalle
io ti amo e la mia gioia morde la tua bocca di susina.
Che dolore avrai patito ad assuefarti a me,
alla mia anima sola e selvaggia, al mio nome che tutti respingono.
Tante volte abbiamo visto ardere la prima stella baciandoci negli occhi
e tante volte i crepuscoli girare a ventaglio sulle nostre teste.
Le mie parole su di te sono cadute accarezzandoti.
Da tanto tempo ho amato il tuo corpo di aprica madreperla.
E ti credo addirittura padrona dell’universo.
Ti porterò dalle montagne fiori allegri, copihues,
nocciole brune, e ceste silvestri di baci.
Voglio fare con te
ciò che la primavera fa con i ciliegi.

un anno dopo, piccolo autoediting per un altro gruppo FB (Libri e Recensioni)

#novelledomenicali

«Non ti fermare, continua» le dice con la gioia di un amore ritrovato, e lei non si ferma: sono gesti ipnotici senza tempo, scosse tenere, ripetute, delicate. Sospirando ad ogni reazione della pelle la vede riflessa, mentre immobile, seduta sulla sedia difronte allo specchio, gode di tante carezze inattese finalmente tornate intime. 

La continua a fissare con lo sguardo incollato ai suoi occhi che però sono sfuggenti – cosa sta pensando? – si chiede mentre nota che le pupille azzurro limpido sono nervose, in cerca di vastità indecifrabili: guardano fuori verso la finestra a lato della toeletta per il trucco, già di nonna prima della sua infanzia. Lei è assente, in piedi alle sue spalle, guarda lontano oltre le imposte spalancate sulla primavera che pulsa fuori, esplosa nel giardino.

«Non ti fermare, ti prego… Continua». La cerca, non la lascia andare. E lei non si ferma, continua con gesti ipnotici di braccia e mani sulla testa, sulle spalle scoperte, carezze tenere come una volta, di quando era bambina.

Prova a fermare con parole preoccupate quegli occhi che tante volte le hanno fatto paura. Non ci riesce, lei è assente, guarda lontano oltre la finestra, cerca il mondo fuori che esplode di ricordi.

«Amo di più la terra quando prende forma il caldo risveglio alla morte dell’inverno» dice senza fermarsi, sempre più dolce nei movimenti, assaporando la brezza tiepida che le arriva in faccia dal giardino, denso di gemme in fiore sull’albero più vecchio, quello più alto, e così si immagina bambina, arrampicata e felice.

La continua a cercare nello specchio ma non riesce ad afferrarne gli occhi, e allora ne guarda i capelli finissimi dorati di miele che ondeggiano liberi sul viso senza trucco. Osservando con attenzione come la chiusura prolungata delle palpebre renda brillanti le sue ciglia bianche quasi invisibili, si arrende e si lascia andare allo stesso piacere fisico di respirare il profumo dei ciliegi in fiore.

È un attimo di estasi: «Siamo ancora insieme, solo questo conta, il nostro inverno è morto», dice come se stesse parlando a qualcuno sull’albero, e non si ferma, non rallenta, le carezze si fanno sempre più delicate mentre nei suoi occhi si combattano mille luccichii, colorati dalle gocce di rugiada che, rinfrescando i primi petali dischiusi del mattino, riflettono il sole in ogni direzione.  I bagliori della luce nello specchio stridono con la pacatezza irreale della voce diventata adolescente, confligge l’amore e l’assenza di emozioni. Un brivido freddo inonda l’altra donna più giovane che smette di godere, e allora le prende la mano, la ferma rabbiosamente, si alza e abbracciandola con forza, la riporta alla realtà: «Basta mamma! Basta spazzolare, Basta coccole! Adesso ti metti seduta e lo faccio io a te! Oggi devi uscire da questa stanza, ci vestiamo insieme e andiamo a fare shopping in centro, ti ricordi come mi dicevi? Vorrei fare con te quello che la primavera fa con i ciliegi…»


2021, 2022… ancora un anno in avanti, veloce e lento come il vento dei pensieri mentre fuori il tornado dell’AI ci avvolge, nel niente e nel tutto vomitato di parole

ONANISMO MENTALE

ecco una pratica di autoediting con ChatGPT 3,5, quello gratis 😂

Richiesta: “Riscrivi questo testo come lo farebbe Stephen King”

“Non ti fermare, continua”, le sussurra con l’estasi di un amore ritrovato, e lei non si ferma: gesti ipnotici senza tempo, carezze tenere, ripetute e delicate. Ogni reazione della sua pelle è un sospiro che lei osserva riflesso, immobile sulla sedia di fronte allo specchio, godendo di queste carezze inattese finalmente intime.

La fissò intensamente, gli occhi incollati ai suoi, ma quegli occhi erano fugaci, sfuggenti – cosa sta pensando? – si chiese mentre notava che le pupille di un azzurro limpido erano nervose, alla ricerca di vastità indecifrabili: guardavano oltre la finestra, accanto al tavolo da trucco, che era già di nonna prima ancora della sua infanzia. Lei era assente, in piedi dietro di lei, con lo sguardo rivolto lontano, oltre le imposte spalancate che rivelavano la primavera che palpitava fuori, un esplosione nel giardino.

“Non ti fermare, ti prego… Continua”. La cercava, non voleva lasciarla andare. E lei non si fermava, continuava con quei gesti ipnotici di braccia e mani sulla testa, sulle spalle scoperte, carezze tenere come un tempo, quando era solo una bambina.

Provò a fermare con parole preoccupate quegli occhi che tante volte l’avevano spaventata. Non ci riuscì, lei era ancora assente, lo sguardo perso lontano oltre la finestra, alla ricerca del mondo che esplodeva di ricordi.

“Amo di più la terra quando prende forma il caldo risveglio alla morte dell’inverno”, disse senza interrompersi, sempre più dolce nei movimenti, assaporando la brezza tiepida che le accarezzava il viso dal giardino, denso di gemme in fiore sull’albero più antico, il più alto. E così, si immaginò bambina, arrampicata e felice.

Continuava a cercarla nello specchio, ma non riusciva ad afferrare i suoi occhi. Allora osservò i suoi capelli finissimi, dorati come il miele, che fluttuavano liberamente sul viso privo di trucco. Notò come il lento abbassamento delle palpebre rendesse le sue ciglia bianche quasi invisibili e, arrendendosi, si abbandonò al piacere fisico di respirare il profumo dei ciliegi in fiore.

Fu un attimo di estasi: “Siamo ancora insieme, solo questo conta, il nostro inverno è morto”, disse come se stesse parlando a qualcuno sull’albero. E non si fermava, non rallentava, le carezze diventavano sempre più delicate, mentre nei suoi occhi si scontravano mille scintille, colorate dalle gocce di rugiada che, frescando i primi petali del mattino, riflettevano il sole in ogni direzione. I bagliori di luce nello specchio contrastavano con la voce pacata, ma l’amore e l’assenza di emozioni. Un brivido freddo avvolse l’altra donna, più giovane, che smise di godere. Allora la prese per mano, la fermò con rabbia, si alzò e la abbracciò con forza, riportandola alla realtà.

“Basta, mamma! Basta spazzolare, basta coccole! Adesso siediti e sarò io a prendere cura di te! Oggi devi uscire da questa stanza, ci vestiremo insieme e andremo a fare shopping in centro. Ti ricordi quando mi dicevi che vorresti fare con me quello che la primavera fa con i ciliegi…”

L’atmosfera si fece più cupa, il tono della voce si trasformò in uno sguardo di determinazione. La giovane donna cercava di riportare sua madre nel mondo reale, liberarla dalla trappola dell’ozio e dell’immobilità. Era giunto il momento di rompere quelle catene, di affrontare la vita con coraggio e riscoprire la gioia delle esperienze condivise.

Stephen King avrebbe potuto descrivere questa scena con una tensione palpabile, facendo emergere i contrasti tra passato e presente, tra l’amore e il desiderio di cambiamento. Avrebbe forse amplificato il senso di inquietudine e il richiamo alla realtà, rendendo il momento di trasformazione ancora più intenso.